KATHMANDU, 22 Aprile (IPS) – Da un lato centinaia di dimostranti, la maggior parte universitari in t-shirt: qualcuno sventola le bandiere di partito, altri hanno i pugni alzati; “Via il re!”, gridano. Di fronte a loro, schiere di poliziotti armati, in tuta mimetica e giubbotto antiproiettile. Quasi tutti hanno bastoni lunghi un metro (i “lathis”) e indossano gli elmetti; alcuni impugnano scudi di plexiglas, fucili o le più massicce granate lacrimogene.
A un tratto qualcuno urla un ordine e la polizia si lancia in avanti agitando i bastoni in aria. I manifestanti si disperdono. Un ragazzo cade a terra e viene subito raccolto da una guardia che lo percuote con violenza, una, due, tre volte, lo colpisce alle braccia sollevate per proteggersi, poi un altro poliziotto lo blocca, lo afferra e lo trascina verso un autocarro in sosta pieno di altri dimostranti malmenati.
La battaglia termina infine, ma la lotta per il controllo politico di questa nazione dell’Asia meridionale continuerà per le strade: nei media, dove i mezzi privati e pubblici diffondono versioni degli stessi eventi diverse tra loro quanto il giorno e la notte; negli uffici di governo, dove lo staff, minacciato di licenziamento, è “invitato” ad unirsi alle proteste; e nei centri sanitari, che offrono cure gratuite ai protestanti feriti, mentre le autorità deportano i medici stranieri.
La scorsa settimana, gli impiegati della Corte suprema hanno scioperato con un sit-in sul posto di lavoro per esprimere la loro solidarietà ai manifestanti, che continuano a protestare in tutto il paese dopo i 12 giorni di sciopero generale convocato dall’opposizione dei sette grandi partiti politici (SPA). A Kathmandu circolava solo qualche automobile privata e una minima parte dell’enorme massa di motociclette che di solito invadono le strade della capitale; la maggior parte dei commercianti ha chiuso i battenti, temendo rappresaglie da parte degli attivisti del partito.
Le casalinghe parlavano del sale e lo zucchero che scarseggiano dai loro rifornitori abituali, mentre i giornali riportavano in prima pagina le voci di un imminente stato d’emergenza. Poi il governo ha vietato le proteste intorno alla Ring Road, che circonda Kathmandu — dopo averle dichiarate illegali nel centro della città — dove negli ultimi giorni si erano riunite migliaia di persone; ma la SPA ha annunciato un raid massiccio in questa zona.
I media locali hanno scritto che diverse persone sono rimaste ferite nella capitale quando la polizia ha sparato proiettili di gomma contro i manifestanti. Nel distretto sud-occidentale di Rupandehi, altre persone sono state gravemente ferite dagli stessi proiettili mentre tentavano di cancellare su un’insegna la scritta “Governo di Sua Maestà” per sostituirla con la nuova frase “Governo del Nepal”. Altre novanta sono rimaste ferite per gli spari e le percosse della polizia, o sopraffatte dai gas lacrimogeni.
In questo paese dell’Asia del sud migliaia di persone sono state arrestate tra cui, secondo le notizie locali, 20 giornalisti condannati a tre mesi di prigione per aver manifestato in un’area proibita.
“Una valanga di proteste a Kathmandu”, recitava il titolo di The Kathmandu Post, di proprietà delle Kantipur Publications, spietati critici della presa di potere del re; mentre la notizia del giorno sull’edizione on-line del giornale governativo Rising Nepal, erano gli auguri di Re Gyanendra al Presidente Bashar Al-Assad in occasione della giornata di festa nazionale della Siria.
Mentre la Kantipur TV diffonde le scene scioccanti della brutalità della polizia, l’emittente pubblica Nepal TV si sofferma sulle immagini di poliziotti e militari di guardia agli angoli delle strade, e su interviste a sparuti gruppi di persone contrarie all’opposizione.
“È compito dei media far arrivare alla gente le giuste informazioni, e noi pensiamo di averlo fatto. Crediamo che nessuna delle due parti debba violare i diritti umani, e stiamo anche mostrando persone che lanciano sassi contro la polizia”, ha affermato Kailash Sirohiya, direttore delle Kantipur Publications.
Il 9 aprile, il ministro delle comunicazioni Shrish Shumsher Rana ha dichiarato ai giornalisti: “Oggi la stampa dice che non c’è libertà. Io credo che il diritto alla vita sia più importante”, ha riportato NDTV.com.
Rana aveva convocato gli operatori della maggiore TV via cavo del paese intimando loro di interrompere le trasmissioni della Kantipur TV. Solo uno ha protestato, e solo per qualche ora, ha detto Sirohiya, intervistato nel suo ufficio di Kathmandu.
La Kantipur, alla quale il governo, dopo il colpo di stato del Re, ha sequestrato le attrezzature televisive e ha sospeso temporaneamente i programmi radiofonici, deve affrontare anche un’altra minaccia, secondo Sirohiya: in caso di stato d’emergenza, i media sarebbero la prima vittima.
Ricevono aiuti, invece, le vittime delle dimostrazioni spesso violente delle scorse settimane: un fondo raccolto per i dimostranti feriti ha raggiunto i 10 milioni di rupie (138.000 dollari Usa). Presso l’Om Hospital, i feriti negli scontri ricevono cure gratuite, segnala il direttore Harish Joshi.
“La maggior parte di loro va in ortopedia, per fratture agli arti e altre ferite”. Finora l’ospedale ha medicato una quarantina di feriti, tra cui qualche poliziotto. Ha anche istituito un proprio fondo per coprire i costi delle cure, e il personale si è impegnato a rinunciare alla paga di una giornata.
La settimana scorsa il governo ha deportato due medici stranieri che stavano soccorrendo alcuni manifestanti, perché non avevano il visto per lavorare.
I direttori dell’Om Hospital non temono ripercussioni dal governo monarchico, assicura Joshi. “Lo stiamo facendo per motivi umanitari, e anche perché è un nostro diritto. Non è contro qualcuno in particolare; è per la democrazia”.
Per 14 mesi, i rappresentanti di molti paesi hanno sollecitato Re Gyanendra a ripristinare immediatamente la democrazia multipartitica. Ma il monarca non ha voluto abbandonare il suo progetto di convocare le elezioni generali per riprendere il potere entro tre anni – e, secondo molti osservatori, questa fermezza avrebbe dimostrato la debolezza della comunità internazionale.
La settimana scorsa, Rana ha ribadito la posizione del governo, che non accetterà aiuti dall’esterno, né dalle Nazioni Unite né da altre organizzazioni, per risolvere i problemi politici. “Siamo forse così incapaci di risolvere i problemi della nostra nazione da soli?”, ha chiesto ai giornalisti.
“Siamo convinti che ciò che abbiamo fatto non abbia avuto un impatto sufficiente”, ha osservato Pauli Mustonen, chargé d’affaires presso l’Ambasciata di Finlandia, parlando a nome dell’Unione europea.
“È in corso una discussione su cosa si può fare; si parla ad esempio di dure sanzioni, ma non siamo ancora giunti ad una conclusione”, ha detto all’IPS.
Secondo organizzazioni come Amnesty International e l’International Crisis Group, le sanzioni potrebbero prevedere il rifiuto di visti per lasciare il paese per i funzionari governativi nepalesi, o il congelamento dei loro conti correnti esteri.
“Stiamo vedendo e constatando che il paese va incontro a problemi ancora più grandi”, ha aggiunto Mustonen, il che significa che la maggior parte dei governi dell’Ue non ha ancora pianificato nuove attività di sviluppo per sostituire gli attuali progetti. Dal 1977, l’Unione europea ha fornito aiuti al Nepal per 158 milioni di dollari Usa.