ELEZIONI: La nuova Europa al voto

LISBONA, 11 giugno 2004 (IPS) – Nel 1952, sei paesi del vecchio continente fondarono la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), ma neanche l’osservatore più lungimirante poteva prevedere che quel trattato costituiva l’embrione di una superpotenza economica, che oggi supera addirittura gli Stati Uniti.

lI 1° maggio è stato il giorno della nascita della nuova Europa, non più separata dalla “cortina di ferro” che per 45 anni ha diviso il continente in “capitalisti” e “comunisti”.

Per la prima volta, 10 paesi sono entrati in Europa simultaneamente: Cipro, la piccola isola di Malta (colonia inglese fino al 1964) e 8 paesi del defunto blocco sovietico.

Per comprendere a fondo le ragioni dell’allargamento di oggi, bisogna tornare al ’52 e alle spinte che portarono i membri del trattato CECA (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo e Olanda) e la Repubblica Federale Tedesca a firmare, cinque anni più tardi, il trattato di Roma con cui nasceva la Comunità Economica Europea (CEE).

Danimarca, Regno Unito e Irlanda vennero annesse nel 1973, la Grecia nel 1981, Spagna e Portogallo nel 1986. Nel 1992, con il trattato di Maastricht, nacque l’Unione Europea (UE) e nel 1995 si unirono Austria, Finlandia e Svezia.

Con l’ingresso di Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia, l’Europa si allarga a 25 paesi, passando da una popolazione di 378 milioni a 453 milioni di persone.

Secondo le stime ufficiali Eurostat, il PIL dell’Unione raggiungerà 12,1 mila miliardi di dollari: supererà quindi leggermente i 12,04 mila miliardi di dollari del PIL statunitense, che perderà così il primato di potenza economica mondiale.

A Lisbona, Gunter Verheugen, commissario per l’Allargamento, ha affermato che far parte dell’Europa vuol dire “puntare tutto sulla pace”.

Verheugen ha ricordato che “uomini come Robert Schuman, Jean Monet (in Francia) e Konrad Adenauer (in Germania) capirono che bisognava ristabilire la pace nel nostro continente una volte per tutte, e che l’unico modo possibile erano integrazione economica e sviluppo di politiche comuni”.

Lo scenario politico dell’Ue è stato dominato dalla destra sin dal 2000, quando i paesi allora candidati votarono per la prima volta per il Parlamento Europeo.

Il Parlamento Europeo di Strasburgo è costituito da 622 seggi: 231 assegnati al Partito Popolare Europeo e 173 al Partito Socialista Europeo, seguiti dai Centristi Democratico-liberali e Riformisti (52 seggi), il gruppo confederale della Sinistra unita/Verdi dei paesi nordici (49), i Verdi/Libera Alleanza Europea (44) e il gruppo di Estrema Destra dell’unione per l’Europa delle nazioni (23). I 50 seggi rimanenti sono destinati a partiti più piccoli e a parlamentari indipendenti.

Luis Sarfield Cabral, analista economico portoghese, ha affermato che “entrare in Europa, nonostante le incertezze, era ed è una priorità per molti stati, poiché significa rafforzare la democrazia nei paesi più instabili”.

Tuttavia, il processo di allargamento ha sollevato nuovi dubbi sul futuro dell’Unione.

La domanda più frequente, aggiunge Cabral, sembra essere se l’Unione “diventerà semplicemente una zona di libero commercio, come auspicato da chi non crede possibile l’integrazione tra i paesi (ma che ha comunque approvato l’allargamento), o se i membri principali (Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna) prenderanno la direzione dell’Unione, snaturandone il senso comunitario”.

L’allargamento preoccupa soprattutto Spagna e Portogallo, i paesi meno sviluppati dell’Unione, che vedono destinare ai nuovi membri i fondi strutturali, di coesione e di investimento.

Inoltre, l’ingresso di paesi come Ungheria, Slovenia e Repubblica Ceca, con alti tassi di produttività e manodopera a basso costo, determinerà una maggiore competizione.

I paesi dell’ex blocco sovietico hanno affrontato sforzi notevoli per arrivare preparati all’importante appuntamento di sabato 1° maggio.

Fino agli inizi degli anni novanta, le economie di questi paesi erano pianificate. Da allora, si sono avuti cambiamenti profondi: industrie e banche sono state privatizzate, mercati e prezzi liberalizzati, nuovi enti di controllo hanno garantito un'equa concorrenza e il sistema giudiziario è stato rettificato.

Eppure, in quanto a numero di autovetture, telefonini e computer, questi paesi hanno i tassi più bassi, superati addirittura dal Portogallo, che è ultimo nella classifica europea.

Su un altro piano, però, i paesi dell’ex blocco sovietico superano tutti gli altri: l’accesso a eventi culturali come concerti, balletti o rappresentazioni teatrali e l’abitudine alla lettura. In Ungheria, 465 su 1000 abitanti leggono il giornale ogni mattina, un numero di gran lunga superiore alla media di Francia (181), Spagna (120), Portogallo (91) e Grecia (82).

Un altro importante indicatore è la quota del PIL destinata a ricerca e sviluppo, da cui emerge che la Slovenia (1,5% del PIL) supera Italia (1,0%) Irlanda (1,2%), Grecia e Portogallo (0,7).

Il tasso complessivo di mortalità infantile dei 15 (4,5 per 1000 nascite) è quasi uguale al tasso dei 10 nuovi membri, con l’eccezione di Lettonia (9,8 per 1000), Lituania (7,9), Polonia (7,5) e Ungheria (7,2).

Il tasso medio di mortalità infantile dei 25 stati membri si attesterà a 4,8 nascite per 1000, inferiore quindi al tasso statunitense di 6,9 per 1000.

Il tasso medio di disoccupazione dei 15 è ora all’8% e con l’ingresso dei nuovi membri arriverà al 9%, tre punti percentuali in più del tasso statunitense. L’inflazione, invece, rimarrà invariata al 2% e quindi inferiore agli Stati Uniti.

Le differenze nei salari minimi nazionali sono sicuramente il fattore più allarmante, facendo temere ‘un’invasione dall’Est’. La Francia ha gli stipendi più alti, 1926 dollari al mese, il Portogallo i più bassi, 516 dollari.

Dei 10 nuovi membri, solo Malta ha salari minimi superiori a quelli del Portogallo. Con 664 dollari al mese è sul livello della Spagna e molto vicina a Grecia (720 dollari) e Slovenia (560 dollari).

L’IPS ha raccolto le opinioni di alcuni immigrati dei paesi dell’est a Lisbona e di residenti a Budapest e Varsavia.

Antón Mifka, un metalmeccanico slovacco, ha affermato che il 70% dei suoi connazionali ha votato per l’accesso alla comunità “perché sono convinti che le condizioni di vita miglioreranno”.

Ma ha anche deplorato le manovre del governo di centro destra di Bratislava, che per incoraggiare gli investimenti esteri ha modificato le leggi sul lavoro, facilitando assunzioni e licenziamenti.

Il dottore estone Marko Kalle, proprietario di una piccola impresa di strumenti chirurgici, ha affermato che pur non essendo particolarmente entusiasta dell’entrata nell’Ue, “Bruxelles può solo essere meglio dei Soviet”.

Andrea Czakóné, dipendente della Pepsi in Ungheria, dice che è ancora da dimostrare se l’ingresso sarà positivo per il paese, “perché se il costo del lavoro sale, le imprese straniere lasceranno il paese”.

Henryk Janka, un fabbro polacco, ha commentato amaramente: “L’attività del fabbro è un lavoro in via d’estinzione, e la Polonia andava nella stessa direzione. Non abbiamo scelta. L’unica alternativa è un’alleanza con la Russia, e io preferisco senza alcun dubbio l’Ue”.