BRASILE: Perché i ricchi sono ricchi?

RIO DE JANEIRO, 3 maggio 2004 (IPS) – Dopo anni di studi incentrati sulle fasce sociali più povere, gli analisti cercano ora una soluzione alle enormi differenze di reddito, proprio osservando i ricchi

”Per determinare il potenziale di redistribuzione del reddito, dobbiamo studiare l’ineguaglianza dall’estremo opposto”, ha detto all’IPS Marcelo Medeiros, dell’Istituto di ricerca economica applicata (IPEA).

Medeiros ha recentemente terminato due “saggi di discussione” su risorse di reddito e struttura familiare degli strati sociali più abbienti. Contemporaneamente, un gruppo di professori delle università di San Paolo, ha pubblicato “Os ricos no Brasil” (I ricchi in Brasile).

Si tratta dei primi studi condotti sull’élite che “aprono nuove prospettive” sulla possibilità di trasferire il benessere delle fasce ricche della popolazione a quelle povere, ha affermato Medeiros.

L’analisi di Medeiros prende in considerazione i dati ufficiali dal 1997 al 1999 e sembra però evidenziare le difficoltà di una redistribuzione del reddito.

Secondo i dati, il reddito da lavoro rappresenta tre quarti degli introiti della classe benestante, mentre solo il 2 per cento proviene da interessi, dividendi o altri servizi finanziari.

Il reddito da lavoro comprende i salari, ma anche forme indipendenti di retribuzione e benefici che impiegati e funzionari ricevono direttamente dall’azienda e che possono essere confusi con il reddito capitale.

Il versamento delle pensioni rappresenta il 18 per cento del reddito degli abbienti, mentre l’affitto di immobili, il 5 per cento.

Per “fascia ricca” della popolazione, Medeiros indica, al settembre 1999, chi aveva un reddito familiare di almeno 2.170 reais al mese (1.140 dollari), lo 0,9 per cento di una popolazione di 170 milioni di persone.

Secondo gli studi condotti dalle università di San Paolo, i ricchi, alla fine del 2000, avevano un reddito familiare superiore ai 10.900 reais (5.600 dollari). In vent’anni, la popolazione benestante del paese è quindi più che raddoppiata, passando da 507.600 nel 1980 a 1,16 milioni nel 2000, cioè dall’1,8 per cento al 2,4 per cento degli abitanti del Brasile.

Marcio Pochmann, coordinatore del progetto “Atlante dell’esclusione sociale” contenuto nel libro “Os ricos no Brasil”, individua la causa di questa crescita nell’espansione del mercato finanziario. Il benessere infatti, non è più generato dalla produzione di beni ma dal gioco in borsa.

A San Paolo, dove Pochmann esercita come segretario del lavoro, questo cambiamento è evidente; molte industrie hanno chiuso e la città è diventata la capitale finanziaria del paese.

Nel 1980, a San Paolo, viveva il 37,8 per cento dei brasiliani benestanti; nel 2000 la percentuale è salita al 58, mentre nelle altre grandi città è scesa drasticamente.

Tra le principali cause, la chiusura delle borse di Rio de Janeiro e di Belo Horizonte, che hanno lasciato a San Paolo il monopolio del mercato finanziario.

Per ridistribuire il reddito nazionale, Pochmann suggerisce un maggiore carico fiscale sulle fasce ricche della società. Ma ha anche affermato che il governo brasiliano sta facendo l’esatto contrario, tassando i poveri proporzionalmente di più.

Gli esperti hanno sottolineato che tra il 1992 e il 2002, il salario medio dei lavoratori è sceso dal 45 al 36 per cento del PIL, mentre il peso fiscale complessivo è passato dal 26 al 36 per cento del PIL.

Questi risultati contraddicono le conclusioni di Medeiros, secondo cui il mercato finanziario influisce relativamente poco sul reddito dei brasiliani ricchi.

Siamo ad uno stadio iniziale delle ricerche, ha detto Medeiros. Il reddito da lavoro non è stato ancora definito e molto probabilmente i risultati “si vedranno solo in futuro”.

Nell’analisi di Medeiros, uno dei principali fattori di disuguaglianza in Brasile è l’enorme differenza di salario tra ricchi e poveri. I primi percepiscono un salario più alto del 14,2 per cento.

Medeiros ha inoltre concluso, contrariamente a quanto molti pensano, che la relazione tra struttura familiare e distribuzione del reddito (le famiglie ricche sono composte in media da 2,3 membri, quelle povere da 4,0), non è un fattore decisivo.

Anche per Pochmann è importante analizzare le caratteristiche e le risorse di reddito delle fasce abbienti, allo scopo di definire politiche comuni per ridurre la povertà e le disuguaglianze.

Secondo “Estatísticas do século XX”, pubblicato l’anno scorso dall’Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística (IBGE), nel 1960, il 10 per cento più ricco del Brasile guadagnava 34 volte di più del 10 per cento più povero. Nel 1990, la differenza era di 60 volte.

E secondo l’attuale presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula, circa 40 milioni di persone, un quarto della popolazione, sono a rischio fame.

Fino a oggi, ha affermato Medeiros, la ricerca si è concentrata sui poveri e ha sicuramente fornito alcune “buone diagnosi”, ma anche la certezza che la crescita economica senza politiche sociali adeguate non basta a ridurre le disuguaglianze.

Un altro punto di forza di questi studi era rappresentato dai presunti benefici delle politiche di pianificazione familiare, risultate inefficaci e molto costose.

I tentativi di pianificazione familiare hanno prodotto solo “risultati irrilevanti”, ha detto Medeiros, mentre i singoli individui li hanno avvertiti come una forte intromissione nelle loro vite.