EDITORIALE: Quanto vale l’aiuto pubblico

WASHINGTON, 27 settembre 2011 (IPS) – Il rapporto appena pubblicato “Efficacia degli aiuti 2005-2010. Progressi nell’implementazione della Dichiarazione di Parigi” ci pone un importante interrogativo: siamo migliorati sul piano dell’efficacia degli aiuti allo sviluppo, rispetto a cinque anni fa?

I dati che emergono dal rapporto fanno riflettere. A livello globale, solo uno dei 13 obiettivi stabiliti nel 2010 dalla Dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti è stato raggiunto, e per di più con un margine molto ristretto.

Quando più di 100 nazioni tra paesi donatori e in via di sviluppo sottoscrissero nel 2005 la Dichiarazione di Parigi, decisero di aderire ad un insieme di principi volti a far fronte alle principali preoccupazioni in tema di sviluppo all’inizio del 21esimo secolo; e al tempo stesso si impegnarono a raggiungere entro il 2010 una serie di obiettivi intesi a garantire che i fondi destinati agli aiuti producessero risultati migliori e più duraturi.

Alcune analisi indipendenti hanno mostrato che quei principi hanno lasciato il segno: sono stati adottati come norme globali di buona prassi, indirizzando interessi diversi verso mete comuni e concreti obiettivi di sviluppo. E in molti casi hanno cambiato il modo stesso di concepire lo sviluppo, mettendo in primo piano le preoccupazioni dei paesi riceventi e migliorando le aspettative di tutte le parti in causa.

In sostanza, lo scorso decennio è stato un buon periodo per lo sviluppo. Più di un terzo delle nazioni in via di sviluppo è rientrato nel novero di paesi a più alto reddito. Tra il 2001 e il 2010, gli sforzi a livello mondiale hanno comportato un aumento reale del 60% nell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS). La rapida crescita economica della prima metà del decennio ha prodotto una sensibile riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo, al punto che oggi possiamo affermare che il primo degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG), ossia ridurre della metà il numero delle persone che vivono con meno di un dollaro e 25 centesimi al giorno, potrà essere raggiunto entro il 2015.

Eppure, i progressi legati agli specifici obiettivi concordati nella Dichiarazione di Parigi si stanno producendo a un ritmo molto più lento e disomogeneo nelle diverse regioni del mondo di quanto ci aspettassimo. Molti paesi in via di sviluppo, ad esempio, si sono impegnati ad attuare le nuove indicazioni per migliorare la gestione dei fondi pubblici, mentre molti donatori continuano a non utilizzare i nuovi sistemi. È chiaro che molto resta ancora da fare per rispondere alle attuali e pressanti sfide.

Il mondo è profondamente cambiato dalla nascita del sistema degli aiuti così come lo conosciamo oggi, circa 60 anni fa. Gli ultimi decenni hanno visto un’esplosione nel numero di organizzazioni e paesi che sostengono lo sviluppo, inclusi paesi a reddito medio ed economie emergenti che offrono sempre più direttamente aiuti allo sviluppo al di fuori degli schemi tradizionali del passato. Contemporaneamente, aumentano le organizzazioni non governative e della società civile, le fondazioni private e le imprese entusiaste di partecipare alla ricerca di soluzioni ai pressanti problemi mondiali.

E mentre i tanti attori in gioco apportano nuovi fondi, e nuove prospettive, crescono anche le sfide che i paesi in via di sviluppo devono affrontare e imparare a gestire. Per risolvere questioni transnazionali come la salute, la sicurezza, l’occupazione, le migrazioni, l’insicurezza alimentare e il cambio climatico servono risposte coordinate e, soprattutto, una forte volontà politica.

In questo scenario, lavorare insieme è diventata una delle sfide più grandi, per riuscire a ridurre le disuguaglianze.

Il quarto Forum di alto livello sull’efficacia dell’aiuto (HLF-4) che si terrà a Busan, Corea, alla fine di quest’anno ci offre un’opportunità unica. Ad appena quattro anni dalla scadenza del 2015 per il raggiungimento degli MDG, questo incontro rappresenta una delle ultime occasioni per riunire in un gruppo così ampio i leader dello sviluppo. A Busan, avranno la possibilità di rilanciare gli impegni presi, così come di porre le basi per un approccio moderno, inclusivo e trasparente allo sviluppo internazionale.

Si potrà dare vita a un nuovo partenariato globale per lo sviluppo, non solo per far fronte alle sfide attuali, ma anche per confrontarsi sulle diverse esperienze e coordinare un impegno congiunto in vista delle sfide future. In questo senso, la cooperazione allo sviluppo è solo parte della soluzione. Pur avendo un ruolo indispensabile nella riduzione della povertà e lo sviluppo economico, sul lungo periodo occorre ridurre la dipendenza dagli aiuti tradizionali, senza ovviamente mettere a rischio il benessere delle popolazioni e dei paesi a più basso reddito.

Bisogna quindi prendere in considerazione l’interdipendenza e la coerenza di tutte le politiche pubbliche, non solo delle politiche dello sviluppo, per permettere a tutti i paesi di sfruttare appieno le opportunità offerte dagli scambi e dagli investimenti internazionali. Occorre migliorare l’impatto delle diverse fonti di finanziamento, comprese le risorse locali, gli investimenti pubblici e privati, la filantropia, i fondi contro gli effetti del cambio climatico, per raggiungere i nostri obiettivi comuni.

Lo sviluppo non può essere raggiunto con un approccio unico: in questo senso, le partnership possono funzionare solo se guidate dai paesi in via di sviluppo, e ritagliate su bisogni e situazioni specifiche di ogni singolo paese, in particolare negli stati fragili e segnati dai conflitti.

In Busan, avremo l’opportunità di voltare pagina e fare in modo che il prossimo decennio sia positivo non solo per lo sviluppo, ma anche per cambiare realmente il modo di raggiungerlo.© Terra

* Bert Koenders e Talaat Abdel-Malek, co-presidenti del Gruppo di lavoro sull’efficacia degli aiuti.

** Articolo pubblicato sul quotidiano Terra il 24 settembre 2011