EGITTO: Aumentano i processi militari ai civili nel dopo Mubarak

IL CAIRO, 1 settembre 2011 (IPS) – Il processo di Amr El-Buheyri in un tribunale militare è durato appena cinque minuti. Il trentatreenne egiziano è stato arrestato il 26 febbraio e condannato senza la presenza di un avvocato a cinque anni di carcere per aver violato il coprifuoco e aggredito un pubblico ufficiale durante una manifestazione al Cairo.

El-Buheyri è solo uno dei migliaia di civili processati dai tribunali militari da quando il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) ha preso il potere a febbraio, durante la rivolta che ha rovesciato il dittatore Hosni Mubarak. I tribunali speciali, che spesso riuniscono decine di imputati davanti a un giudice militare, sono noti per le loro sentenze rapide e severe. Agli imputati è regolarmente negato l'accesso all'assistenza legale e le sentenze sono inappellabili.

Mubarak ha usato questi processi profondamente ingiusti contro i cittadini che avevano osato sfidare il suo regime: islamici, lavoratori disobbedienti e diversi oppositori politici. I governanti militari egiziani sembrano aver adottato la stessa politica dell'ex dittatore.

“I processi militari sono un'arma nelle mani dello SCAF”, dice l'avvocato Ahmed Ragheb, direttore esecutivo del Centro di Giustizia Hisham Mubarak. “Stanno usando i tribunali militari perché possono esercitare maggiore controllo rispetto ai tribunali civili, che invece hanno giudici indipendenti e responsabilità legale”.

Secondo Ragheb, negli ultimi sei mesi oltre 12mila egiziani sono stati condannati dai tribunali militari, mentre durante i 30 anni di governo Mubarak i tribunali militari ne avevano processati meno di 2mila.

“Purtroppo, i processi militari sono diventati la norma e quelli civili l'eccezione”.

Gli attivisti, che hanno visto i loro coetanei arrestati e processati dai tribunali militari, sostengono che le accuse di possesso d'armi o di aggressione sono inventate e che il ricorso massiccio ai processi militari negli ultimi mesi ha lo scopo di trasmettere un chiaro messaggio: la critica al regime non sarà tollerata.

Dalla cacciata di Mubarak, i manifestanti hanno chiesto di velocizzare le riforme e hanno accusato il consiglio Militare al potere, così come i membri del deposto regime, di proteggere i propri interessi. Molti sostengono che lo SCAF abbia tentato di screditare la rivoluzione, bollando i manifestanti come teppisti o agenti stranieri.

Un gruppo di manifestanti donne arrestate a marzo sono state costrette a sottoporsi a “controlli della verginità” e minacciate con l'accusa di prostituzione.

“Vogliono picchiarci e umiliarci per spaventare le persone e spingerle a non manifestare” , dice Eman Hussein, di 23 anni, i cui genitori hanno cercato di impedirle di partecipare alle proteste.

Le organizzazioni per i diritti hanno messo in guardia sui continui abusi subiti dai civili nelle carceri militari. Gli ex detenuti hanno affermato in conferenza stampa di essere stati vittime di frequenti pestaggi e umiliazioni da parte dei loro carcerieri, e alle volte anche costretti a denudarsi davanti ai loro compagni di cella.

“E' molto umiliante stare nudo di fronte a 180 persone”, ha detto Mohamed Soliman, un civile che è stato rilasciato dopo aver trascorso quasi due mesi in una prigione militare.

I capi militari hanno negato le accuse di torture e abusi.

Lo SCAF ha recentemente riconosciuto il diritto a un processo equo così come sancito dalla Dichiarazione internazionale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, ma ha detto anche che i processi militari sono stati finora necessari a causa della spirale di criminalità che ha accompagnato la rivolta e che ha portato alla cacciata di Mubarak. Ha puntualizzato che solo i casi di “teppismo” associati alle armi, stupri o aggressioni al personale militare erano stati deferiti ai tribunali militari. “Nessun civile deve essere giudicato dai tribunali militari”, ha detto il generale maggiore Mamdouh Shaheen, membro dello SCAF. “Ma in questa situazione di emergenza …i tribunali militari prendono il posto dei tribunali civili finché non saranno di nuovo in grado di lavorare”.

Adel Ramadan, un avvocato dell'Iniziativa egiziana per i Diritti Personali, sostiene che la sicurezza è migliorata e che i tribunali civili del paese sono in grado di gestire il carico di lavoro aggiuntivo. A tutti i cittadini, anche ai sospetti teppisti, ricorda che hanno il diritto a un processo equo, e a coloro che sono stati condannati dai tribunali militari dice che dovrebbero essere rilasciati o nuovamente processati da un tribunale civile.

E' anche preoccupato per il sistema giudiziario parallelo. Mentre i civili sono stati deferiti ai tribunali militari per velocizzare i processi, Mubarak e i suoi ex funzionari della sicurezza sono stati processati dai tribunali civili, nonostante l'accusa di aver ucciso circa 850 manifestanti durante la rivolta.

“Sembra che il processo equo sia garantito solo ai privilegiati”, dice Ramadan.

Lo SCAF ha fatto poco per fugare questa convinzione. I tribunali militari continuano a trattare casi che vanno dai piccoli furti ai crimini violenti, con sentenze che vanno dai sei mesi ai 25 anni di carcere. Almeno una decina di imputati, compresi minorenni, hanno ricevuto condanne a morte.

Casi di rovesciamento della sentenza sono rari, ma ci sono. All'inizio di questo mese lo SCAF ha assolto il blogger Loai Nagati, arrestato mentre documentava gli scontri tra polizia e manifestanti al Cairo il 28 giugno, e l'attivista Asmaa Mahfouz, accusata di incitare le masse contro il consiglio militare in un messaggio sulla sua pagina Twitter. Sono stati rilasciati dopo massicce proteste per le accuse e il rilascio sembra volto solo a placare la società.

Mona Seif, coordinatore della campagna “No ai processi militari”, sostiene che la reazione del consiglio militare sarebbe stata calcolata, con il rilascio di una serie di attivisti di primo piano senza mostrare clemenza per migliaia di detenuti poveri e diseredati.

“Gli unici casi in cui l'esercito ha rilasciato detenuti civili o ha promesso un nuovo processo sono stati quelli in cui ha avuto forti pressioni mediatiche”. I mezzi di informazione e le campagne sui social network hanno certamente contribuito alla liberazione di alcuni attivisti politici, ma adesso stiamo cercando di attirare l'attenzione su migliaia di cittadini regolari che sono ancora detenuti nelle carceri militari nonostante non facciano parte di questo sistema”. © IPS