LIBIA: Per i libici una speranza concreta

WAZZIN, Libia, 24 agosto 2011 (IPS) – Ho 60 anni e non avrei mai pensato di vedere con i miei occhi questo momento”, dice Najib Taghuz dal confine libico-tunisino. Questo ingegnere della città di Gehryan, appena liberata, è diretto in Tunisia – la moglie deve essere operata alla mano sinistra. Ma spera di tornare presto in una nuova Libia.

Karlos Zurutuza/IPS. Karlos Zurutuza/IPS.

Karlos Zurutuza/IPS.
Karlos Zurutuza/IPS.

“Appena Gheddafi cadrà, la Libia potrà dire di essere finalmente entrata nel 21esimo secolo”, aggiunge Taghuz. Si sta chiedendo se lo lasceranno entrare in Tunisia con un souvenir che ha appena trovato sul cammino, i frammenti di una granata anticarro. “Devo assolutamente portarla oltre il confine come ricordo”.

Con la chiusura della frontiera settentrionale tra Tunisia e Libia – era in mano a Gheddafi fino a qualche giorno fa – il confine a sud controllato dai ribelli resta l’unico modo per entrare e uscire dal paese in guerra. La linea Dehiba-Wazzin era stata presa dai ribelli ad aprile, e da allora è sotto controllo come centro vitale per i rifornimenti verso le montagne libiche di Nafusa.

Con l’impasse avuta per mesi sui fronti di Brega e Misrata, i libici di Nafusa hanno avuto un ruolo chiave nell’ultima avanzata verso Tripoli.

Le attività al confine sono febbrili. Ma la gioia dei rifugiati che tornano a casa dall’ovest del paese contrasta con la delusione di chi è ancora costretto a lasciare la Libia. “Non ci siamo sentiti sicuri a tornare alle nostre case a Tripoli, quindi ci siamo diretti qua”, spiega il tripolino Hassan Harem alla frontiera.

“Negli ultimi mesi abbiamo vissuto condizioni terribili: continui bombardamenti degli aerei Nato, niente carburante, spesso niente cibo… dopo quello che abbiamo passato, non potevamo sopportare le continue sparatorie per le strade”, aggiunge Harem, un impiegato di 32 anni che ha lasciato il lavoro due mesi fa. Ma con un po’ di fortuna, dice, tra pochi giorni potrà tornare.

I libici non sono i soli a fuggire dal confine meridionale. Kadir Harthem, un oftalmologo egiziano, fa parte della legione di lavoratori stranieri che aspettano di essere evacuati via mare.

“Alcuni colleghi mi hanno detto che sarebbero partiti con la prima nave disponibile. Appena ho visto la possibilità, ho preso la macchina e sono venuto qui”. Dopo sette anni di lavoro a Tripoli, adesso spera di trovare un lavoro al Cairo.

Dal lato tunisino, bisogna passare per lunghi ed irritanti controlli dei passaporti, mentre le operazioni sono molto più veloci sul fronte controllato dai ribelli libici: non bisogna riempire nessun formulario, né sottoporre i bagagli ad ispezioni. Un funzionario dei ribelli al comando registra il passaporto in una banca dati, e siamo già in Libia.

A sole tre miglia da qui sorge il villaggio di Wazzin, il più colpito tra le diverse roccaforti di pietra sparse nel deserto libico. Wazzin ha pagato il prezzo della sua prossimità alla frontiera contesa: gli attacchi delle forze di Gheddafi lo hanno trasformato in un villaggio fantasma in rovina. Appena tre settimane fa, non c’era nessun abitante nei paraggi con cui poter parlare. Ma dopo il recente bombardamento della Nato a Ghezaia, da cui erano stati lanciati i missili di Gheddafi contro Wazzin, alcuni abitanti del posto sono tornati a ricostruire le loro case.

A circa 80 chilometri in Libia c’è il checkpoint di Nalut. Qui, tre guerriglieri seduti all’ombra lungo la strada seguono gli eventi di Tripoli in diretta TV.

“Dopo aver cacciato i fedeli di Gheddafi dalle loro basi nel deserto due settimane fa, siamo riusciti a ripristinare l’elettricità. Ci servono sette giorni per riparare tutta la rete, ma la luce è tornata definitivamente”, dice un ribelle sorridente che indossa una maglia della squadra di calcio del Barcellona e un cappello con la bandiera dei ribelli.

Sono i giorni del digiuno del Ramadan. Dopo il tramonto, e dopo le preghiere, i guerriglieri e i civili locali si riuniscono nella piazza del villaggio dove la Croce Rossa serve un pasto gratuito.

Il ribelle Akram dice che restituirà il suo fucile il più presto possibile, e tornerà ad aprire il suo negozio di alimentari.

“Ho 40 anni, quando sono nato Gheddafi era già al potere da due anni. Non ho mai conosciuto nessun’altra forma di governo. Mi sono sempre chiesto come sarebbe stata la democrazia, e quanto tempo avremmo dovuto aspettare per averla in Libia”. Potrebbe non dover aspettare ancora a lungo. © IPS