Gli stati complici delle detenzioni segrete

GINEVRA, 7 giugno 2010 (IPS) – La pratica delle detenzioni segrete utilizzata nella lotta al terrorismo a partire dagli attacchi dell’11 settembre 2001, un segreto ormai noto a tutti, è stata documentata ufficialmente in un rapporto su questo tipo di abusi presentato la scorsa settimana al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Il carcere di Guantanamo Dipartimento della Difesa Usa

Il carcere di Guantanamo
Dipartimento della Difesa Usa

Nonostante la natura controversa del dossier, la cui discussione veniva rimandata da mesi, nessuno dei paesi presenti all’incontro lo ha categoricamente negato.

La pratica della detenzione segreta non è una novità: aveva già assunto le dimensioni di vero e proprio crimine contro l’umanità durante le dittature degli anni ’70 e ’80 in America Latina, ma dopo l’11 settembre si è diffusa ampiamente come strategia antiterroristica guidata dagli Stati Uniti.

Oltre alle prigioni segrete, tra i metodi contro il terrorismo utilizzati dal 2001 figura anche quello dei “trasferimenti illegali”, ossia la consegna dei prigionieri ai paesi in cui è consentita la tortura.

Il rapporto, commissionato dalle Nazioni Unite e stilato da quattro esperti indipendenti, descrive nel dettaglio le attività illegali e i trasferimenti aerei, con scali negli stati complici, per il trasporto dei presunti terroristi.

“Si tratta di un documento importante perché unisce informazioni note da tempo anche alla coscienza pubblica, ma in modo sporadico”, ha dichiarato all’IPS Peter Splinter, rappresentante di Amnesty International presso le Nazioni Unite a Ginevra.

Il rapporto “concentra l’attenzione su quanto sia diffuso e reale il problema della detenzione segreta oggi”, ha aggiunto.

Gli autori del rapporto sono il finlandese Martin Scheinin, relatore speciale dell’Onu per i diritti umani e l’antiterrorismo; l’austriaco Manfred Nowak, relatore speciale dell’Onu per la tortura; il pachistano Shaheen Ali, vice presidente del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria; e il sudafricano Jeremy Sarkin, presidente del gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate o involontarie.

Secondo il dossier, molti paesi, adducendo preoccupazioni per la sicurezza nazionale, “spesso percepite o presentate come emergenze e minacce senza precedenti, ricorrono alla detenzione segreta”.

“Il diritto internazionale proibisce in modo netto la detenzione segreta, che viola diversi diritti umani e leggi umanitarie che non possono essere derogate in nessuna circostanza”, si legge nel rapporto.

“Ricorrere alla detenzione segreta significa in pratica far uscire (i detenuti) dal contesto legale e rendere inutili i sistemi di tutela definiti dagli strumenti internazionali, come l’habeas corpus”, aggiunge.

Tra le raccomandazioni, lo studio suggerisce il divieto assoluto della detenzione segreta e la registrazione puntuale delle incarcerazioni, anche nel caso di conflitti armati, come stabilito dalla Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra.

Riguardo alla discussione del Consiglio in merito al rapporto, secondo Scheinin “è andata meglio del previsto. Lo studio era molto controverso e ora sembra che si sia consapevoli del fatto che la questione è così seria da non poter essere banalizzata dall’ostruzionismo procedurale”.

L’esperto ha poi sottolineato che alcuni dei paesi inizialmente contrari al rapporto, come l’Egitto, “hanno scelto di non parlare” durante il meeting, mentre altri “hanno usato toni più forti”, come la Siria, la Russia o l’Algeria, che parlava a nome del Gruppo Africano. Altri ancora, come l’Etiopia, la Cina, il Nepal e il Canada, hanno invece sollevato questioni specifiche.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, che per la loro politica antiterroristica post 11 settembre figurano spesso nel rapporto insieme alla CIA (Central Intelligence Agency), Shaheen Ali riferisce che l’ambasciatrice americana al Consiglio dei diritti umani Eileen Donahoe ha approvato lo studio, pur avendo sollevato preoccupazioni sui metodi utilizzati nella sua elaborazione.

Scheinin ha dichiarato all’IPS che gli Usa non sono riusciti a mettere in atto la decisione presa dal Presidente Obama subito dopo la vittoria alle elezioni del gennaio 2009 di chiudere la base navale statunitense a Guantanamo.

“Questo ovviamente significa che per il diritto internazionale gli Stati Uniti continuano a violare i loro obblighi in materia di diritti umani non chiudendo” il centro di detenzione e non consentendo il processo ai detenuti, ha proseguito.

L’esperto ha però dichiarato che “a livello locale e politico, capisco la situazione. Il governo non è in grado di fare nulla se la legislatura vieta alcune possibilità, come portare fisicamente una persona da Guantanamo al continente americano”.

Il risultato, ha poi sottolineato, sono le pressioni sugli sforzi finalizzati a convincere paesi terzi ad accogliere i detenuti di Guantanamo.

È lunga la lista dei paesi e dei territori menzionati nello studio dell’Onu come parte attiva a diversi livelli o come complici nelle pratiche di detenzione segreta, consegne o trasferimenti aerei per facilitare la consegna dei detenuti.

Nel documento appaiono: Tailandia, Polonia, Romania, Afghanistan, Repubblica Ceca, Uzbekistan, Marocco, Lituania, Kosovo, Bosnia Erzegovina, Siria, Pakistan, Iraq, Giordania, Egitto, Etiopia, Gibuti, Regno Unito, Germania, Canada, Italia ed Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia.

“Non è un problema che riguarda pochi paesi, come sembrano suggerire alcune delegazioni, ma anzi coinvolge molti paesi con la complicità di diverse intelligence e servizi di polizia”, ha affermato Splinter.

Diversi paragrafi del rapporto sono dedicati al principale precursore dell’attuale fenomeno della detenzione segreta: l’Operazione Condor, un piano coordinato negli anni settanta e ottanta dai governi militari di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay inteso a individuare, catturare ed eliminare gli oppositori di sinistra.

Silvia Cao, rappresentante dell’Argentina, ha osservato che nel suo paese la dittatura militare del 1976-1983 ha incarcerato illegalmente 14.500 persone in prigioni clandestine, la cui esistenza veniva sistematicamente negata dal regime. (I gruppi per i diritti umani parlano di 30mila vittime delle sparizioni forzate).

Il governo argentino si è detto “profondamente preoccupato” per il fatto che la detenzione segreta venga ancora praticata nel mondo, con diversi pretesti, come la dichiarazione dello stato d’emergenza, le guerre internazionali o la lotta globale al terrorismo, ha affermato Cao.

La delegata uruguaiana Lourdes Boné ha ricordato che i centri di detenzione segreta, l’incarcerazione arbitraria e la sparizione forzata erano elementi ricorrenti anche durante la dittatura che ha interessato il suo paese dal 1973 al 1985. © IPS