Turchia – Israele: il divorzio storico

Equilibri.net, 4 giugno 2010 (Equilibri) (IPS) – L'asse Turchia-Israele che ha per almeno una quindicina d’anni rappresentato un alleato fondamentale per l'Occidente soprattutto nella travagliata regione mediorientale è definitivamente crollato. Il graduale deterioramento dei rapporti tra i due paesi osservato negli ultimi mesi e male-interpretato come il risultato del riavvicinamento tra la Turchia e i governi islamici della regione si è concluso sull’orlo della rottura delle relazioni diplomatiche, e con scenari preoccupanti per l’avvenire in Medio Oriente.

Cenni storici

Le relazioni turco israeliane iniziarono ufficialmente nel 1949, quando la Turchia fu il primo paese a maggioranza musulmana a riconoscere la nascita dello stato ebraico. Il riconoscimento diplomatico del neonato Stato fu un forte segnale della posizione che la Turchia intendeva prendere nell'arena internazionale, all'indomani dello scoppio della Guerra Fredda.

Dalla metà degli anni ’90, le relazioni tra i due Paesi hanno subito un’accelerazione che ha portato alla firma nel 1996 del primo accordo di cooperazione militare che tra le altre cose prevedeva la possibilità per Israele di utilizzare lo spazio aereo turco a fini di addestramento.

Israele rappresentava una fonte di avanzata tecnologia militare, e un alleato importante per contrastare la Siria con cui Ankara rischiò di andare in guerra nel 1998, mentre da parte sua la Turchia offriva profondità strategica ad un Paese dalle esigue dimensioni: una collaborazione fondamentale per due Paesi che condividevano lo stesso senso di insicurezza e di estraneità nei confronti del proprio vicinato.

Tuttavia, le circostanze strategiche che hanno portato all’emergere di quest’alleanza strategica sono progressivamente mutate, radicalmente negli ultimi mesi.

L’invasione dell’Iraq nel 2003 ha infatti imposto ad Ankara di riconsiderare la propria posizione in una prospettiva regionale e il governo turco si è ritrovato a dover fronteggiare una volta per tutte le molte questioni irrisolte con i vicini.

In quest’ottica, il nuovo Ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu si è fatto promotore della dottrina di “azzeramento dei problemi”, secondo la quale data la collocazione geografica, la Turchia ha diverse identità da cui deriva la necessità di un impegno in politica estera su più fronti: in Africa, nel Caucaso, nel mondo arabo.

Conseguenze di questo nuovo approccio del governo turco alla scena internazionale sono state il riavvicinamento all’Armenia e alla Siria, culminato con i lavori per la creazione di un Consiglio di Cooperazione Strategica, peraltro già istituito tra Turchia e Iraq; la storica visita a Erbil per annunciare l’apertura di un consolato generale e infine la mediazione tra Iran e la comunità internazionale sulla questione del nucleare che ha portato alla firma di un accordo sponsorizzato da Turchia e Brasile.

Al di là di obiettivi economici, la cooperazione regionale è d’altra parte di fondamentale importanza per il governo di Ankara se la Turchia vuole contrastare efficacemente una volta per tutte le azioni del PKK.

I rapporti con Israele

Alla luce di questi sviluppi, le relazioni turco-israeliane non potevano che rallentare. A Tel Aviv non sono stati graditi i continui bacchettamenti delle politiche israeliane da parte di Ankara. Inoltre, il cambiamento di rotta della politica estera turca solleva sospetti ed è stato interpretato come un infausto avvenimento, che potrebbe rafforzare la posizione iraniana in seno ai negoziati sul nucleare e rendere ulteriormente più complicati i tentativi delle grandi potenze di impedire che Teheran si doti di un’arma nucleare.

Tuttavia, gli smacchi subiti non erano irreparabili. A ben guardare infatti, i rapporti turco-israeliani hanno da sempre fluttuato in concomitanza degli sviluppi riguardanti il conflitto israelo-palestinese, per esempio in occasione della guerra del 1967 o della dichiarazione di Gerusalemme a capitale dello stato ebraico, e della conseguente ambivalenza che la Turchia ha mantenuto sulla questione e hanno in generale risentito di un’opinione pubblica che tendenzialmente ha sempre simpatizzato per la causa palestinese.

Va inoltre tenuto presente che, nonostante alcune divergenze, l’alleanza strategico-militare tra i due Paesi non sembrava essere in discussione, visto che nuovi accordi nel campo della difesa erano stati conclusi -per esempio uno secondo il quale Israele avrebbe dovuto vendere 10 droni Heron alle forze aeree turche, per un totale di 180 milioni di dollari- e l’industria della difesa costituiva sempre uno dei settori principali di scambio tra i due Paesi.

L’episodio dell’attacco alla flottiglia della pace ha invece probabilmente segnato il punto di non-ritorno nel confronto tra Ankara e Tel Aviv. La Marina israeliana, in azione congiunta con gli elicotteri, ha causato nove morti nell’assalto alla Mavi Marmara, che portava aiuti umanitari a Gaza e sfidava il blocco israeliano.

E' plausibile ritenere che, agli occhi di Israele, tale azione avrebbe dovuto rappresentare l’occasione giusta per far sapere alla Turchia che altre intromissioni nelle politiche israeliane non sarebbero più state tollerate, al di là di come l'operazione sia effettivamente sfociata nell'uccisione di alcuni occupanti della nave. Israele dunque avrebbe colto l’occasione per mandare il messaggio ad Ankara, tuttavia con un’azione organizzata decisamente in modo superficiale.

D’altra parte il governo Netanyahu, sicuro della sua posizione di forza di fronte al malleabile alleato americano, non ha ritenuto necessario agire con maggiore cautela. L’assalto in acque internazionali, la fallimentare condotta dell’assalto da parte dell'élite dell’esercito israeliano, la morte degli attivisti e lo schiaffo al governo turco hanno concorso a creare un incidente diplomatico di proporzioni grandissime, dal momento che anche alcuni attori tradizionalmente pro-israeliani si trovano in difficoltà a giustificare l’azione.

Erdogan ha condannato l’attacco israeliano con parole durissime, definendolo terrorismo di Stato, chiedendo che Israele paghi per l’azione commessa e richiamando immediatamente in patria l’ambasciatore a Tel Aviv. Inoltre, il governo turco ha fatto sapere che Erdogan potrebbe decidere di sospendere le relazioni economiche, militari ed energetiche con lo stato ebraico. © Equilibri