GOLFO DEL MESSICO: Ecosistema in pericolo

ATLANTA, Georgia, 18 maggio 2010 (IPS) – Una quantità di petrolio vicina ai 70mila galloni al giorno si sta riversando sulla costa del Golfo del Messico da quando la piattaforma Deepwater Horizon, gestita dalla Bp, è esplosa lo scorso 20 aprile.

Gli sforzi per fermare la falla, a oltre 1500 metri di profondità si sono rivelati vani. La perdita di greggio della Deepwater Horizon farà scomparire il disastro della Exxon Valdez – 250 mila barili di greggio, nel 1989 – finora considerato il peggior disastro ambientale della storia degli Stati Uniti.

Non si sa ancora quanto petrolio potrà uscire dal pozzo prima che si riesca a chiudere la falla. L’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (Epa) ha raccolto all’inizio di maggio alcuni campioni di acqua davanti alla costa della Louisiana e ha riscontrato componenti chimici dovuti alla presenza di petrolio. Secondo l’Epa, però, fino a quel giorno non c’era un rischio immediato per “la vita acquatica, i pesci e i crostacei”.

Tuttavia, Riki Ott, una tossicologa marina che ha scritto due libri a proposito dell’impatto della Exxon Valdez, afferma che la situazione è di gran lunga peggiore di quanto le autorità non ammettano.

“Bp sta cercando di far passare l’idea che le cose stanno funzionando perché il petrolio non ha raggiunto la costa – dice Ott -. Siamo molto lontani dalla verità: il petrolio sta uscendo in quantità enormi e loro lo stanno disperdendo con i solventi chimici, che sono altrettanto tossici”.

Bp sostiene di aver usato finora 400mila galloni di solventi (circa 1 milione e 600mila litri) e di averne ordinati altri 805mila galloni. “I solventi sono molto tossici per le forme di vita più giovani – spiega Ott -. Bp sostiene che non sono tossici e dunque non c’è da preoccuparsi, ma i soli dati sulla tossicità dei solventi sono basati su esperimenti in cui gamberetti o crostacei vengono immersi in vasche chiuse con petrolio o solventi. Dopo 48 o 96 ore si conta quanti ne sono morti. Ma gli esemplari più giovani sono molto più vulnerabili degli adulti e il Golfo non è una scatola. C’è una esposizione continua al petrolio e ai solventi, il greggio supera i mille metri di profondità, un’intera colonna d’acqua inquinata”.

Dagli studi fatti da Riki Ott sulle aringhe dell’Alaska, è emerso che alcuni parassiti di solito presenti nello stomaco di questi pesci si erano spostati nell’apparato muscolare, per evitare il petrolio ingerito dai pesci. Questa migrazione di parassiti ha causato l’indebolimento delle difese immunitarie delle aringhe e problemi all’apparato riproduttivo: “Il 99,9 per cento delle uova di aringhe contaminate con il petrolio sono morte”, spiega Ott.

Il danno si trasmette lungo la catena alimentare: “I gamberetti che durante la posa delle uova stanno nelle paludi costiere, migrano poi verso il mare aperto e diventano cibo per altri pesci. È troppo petrolio e in troppo poco tempo per non avere un impatto su tutto l’ecosistema. Gli uccelli mangiano molluschi contaminati e quindi si ammalano e muoiono. Alcune specie di uccelli stanno nutrendo i loro piccoli con pesce contaminato, e così danneggiano la loro crescita”.

E intanto anche le famiglie dei pescatori vedono il futuro della loro attività sempre più in pericolo. Bp ha cercato di chiudere a 5mila dollari le transazioni con singoli pescatori che hanno subito danni.

Complessivamente, secondo alcune stime, il costo totale delle operazioni di pulizia e di risarcimento dei danni potrebbe arrivare a 4 miliardi di dollari. Ma potrebbe essere anche molto di più: dipende da quanto tempo ancora ci vorrà per bloccare la perdita di greggio.

Gli abitanti di New Orleans, intanto, continuano a mangiare pesce. La città viene rifornita per l’80 per cento da impianti in zone non colpite dal petrolio. Il rimanente 20 per cento, invece, arrivava da zone dove la pesca è stata vietata. Gli abitanti di New Orleans sono preoccupati per l’imminente stagione degli uragani. Temono che, se ci fosse un’inondazione come quella di Katrina, stavolta non sarebbe solo acqua, ma una disgustosa miscela di acqua, petrolio e solventi. © IPS/Carta

* Articolo pubblicato sulla rivista Carta. www.carta.org