MEDIORIENTE: Blocco di Gaza, molteplici le responsabilita’

RAMALLAH, 30 aprile 2010 (IPS) – Un convoglio carico di aiuti umanitari, accompagnato da centinaia
di giornalisti, attivisti per i diritti umani e parlamentari europei,
sfiderà il blocco navale imposto da Israele nella Striscia di Gaza a
fine maggio.

Un tunnel usato per il contrabbando a Rafah, confine tra Gaza e Egitto Mel Frykberg/IPS

Un tunnel usato per il contrabbando a Rafah, confine tra Gaza e Egitto
Mel Frykberg/IPS

Il movimento per la liberazione di Gaza “Freedom Flotilla” vedrà arrivare tre navi da carico e cinque imbarcazioni passeggeri con circa 600 persone a bordo, decise a consegnare centinaia di tonnellate di aiuti umanitari a un milione e mezzo di civili sotto assedio a Gaza.

L'iniziativa si propone di anche di attirare l’attenzione internazionale sul blocco invalicabile imposto da Israele su Gaza che penalizza l’intera costa.

Comunque, sebbene le critiche cadranno unicamente su Israele, l’assedio non avrebbe avuto seguito senza il sostegno delle autorità internazionali, regionali e persino un qualche supporto da parte palestinese.

L’intesa con l’Egitto, paese musulmano e arabo, e la tacita approvazione da parte di altri governi della regione sono un forte stimolo all’esplosione del sentimento di rabbia collettiva fra gli arabi.

“Senza il sostegno coordinato di attori regionali e internazionali, l’assedio di Gaza sarebbe già fallito”, ha detto all’IPS il viceministro degli Esteri di Hamas Ahmed Yousef.

Oltre un milione di abitanti vive oggi in uno stato di povertà estrema, disoccupazione, malnutrizione e miseria, in una delle aree più densamente popolate al mondo.

La Striscia di Gaza, lunga 45 km ed estesa dai 5 ai 12, è stata descritta come la più grande prigione a cielo aperto del mondo.

Durante I’attacco militare di Israele sul territorio, l“Operazione Piombo Fuso”, avvenuto tra dicembre 2008 e gennaio 2009, i civili non sapevano dove dirigersi nè dove nascondersi, in questa striscia di terra chiusa ermeticamente, quando l’aviazione israeliana eseguiva improvvisi e indiscriminati raid aerei sulle abitazioni.

Pur essendosi ritirato da Gaza nel 2005, Israele continua a controllare i confini dello spazio aereo, le coste, l’anagrafe, le tasse, le grandi zone cuscinetto lungo il confine, e gran parte delle importazioni ed esportazioni di rifornimenti di energia elettrica e acqua.

Le autorità egiziane controllano l'ingresso alla città di Rafah, a sud della Striscia e al confine con l’Egitto. Si tratta prevalentemente di un punto di transito di civili, anche se occasionalmente è stato consentito anche il passaggio di merci.

Ma tutti gli altri punti di attraversamento della striscia sono controllati dagli israeliani. Questi passaggi sono progettati proprio per permettere il passaggio di merci e di prodotti a Gaza.

Nel 2005 è stato firmato un accordo tra Israele, Egitto e l’Autorità Palestinese (AP).

L'accordo ha definito il controllo del confine di Rafah da parte di funzionari palestinesi, osservatori dell’Unione europea e agenti di sicurezza – tutti dotati da Israele di apparecchiature di sorveglianza e macchine fotografiche.

Nel gennaio 2006, quando Hamas ha vinto le elezioni libere e democratiche, Israele ha iniziato a rafforzare il suo controllo sulla costa di Gaza.

A seguito del colpo di stato militare avvenuto nel giugno 2007 da Hamas, Israele ha imposto un blocco totale con la collaborazione delle autorità egiziane.

Anche se Hamas ora ha il controllo di Gaza, gli abitanti non possono lasciare i territori, a meno che non venga concesso loro dalle autorità egiziane, che a loro volta consultano l’Autorità Palestinese e gli israeliani, su chi può o non può andarsene.

L'Egitto ha acconsentito all'ingresso di quantità limitate di aiuti umanitari ma ha impedito l’accesso a Gaza a convogli di grandi dimensioni, nonché agli attivisti che accompagnano i convogli stessi.

Sempre il governo egiziano sta distruggendo molti dei tunnel segreti che collegano Gaza con il Sinai e attraverso cui passano in contrabbando armi e beni di prima necessità.

Gli egiziani di recente hanno avviato la costruzione di una parete d’acciaio sotterranea a prova di bomba, lunga 14 km e fornita della più avanzata tecnologia di sorveglianza americana per prevenire la costruzione di tunnel destinati allo scambio di merci.

Samir Awad, della Birzeit University vicino a Ramallah, afferma che gli egiziani, in quanto destinatari di ingentissimi aiuti statunitensi, ricevono enormi pressioni dagli Stati Uniti per collaborare con il blocco.

“Se l’Egitto non si adegua alle richieste provenienti da Washington per quanto riguarda la politica estera nella regione, potrebbe anche perdere gli aiuti americani”, dice Awad. “Ma le autorità egiziane hanno anche interesse a mantenere la regione politicamente stabile fino a quando il figlio del Presidente egiziano Hosni Mubarak prenderà il suo posto.

“Credono di fare pressione su Hamas perché sottoscriva un accordo per la riconciliazione con l’Autorità Palestinese, fondamentale per stabilizzare l'area”, ha detto Awad all'IPS.

Gli egiziani temono che il successo di un regime islamico come quello di Hamas proprio vicino al confine favorisca il sostegno alla fazione egiziana dei Fratelli Musulmani, un gruppo d’opposizione che rappresenta una grave minaccia politica per il regime del presidente Mubarak.

La popolarità presso la popolazione non è mai stata un problema per i regimi dittatoriali del Medio Oriente, dove democrazia e diritti umani non sono la priorità. E Mubarak ha perso consensi già molto tempo fa.

Al contrario, l’Egitto ha continuato a contare sugli aiuti economici e militari dell'Occidente, in particolare degli USA, e sul sostegno politico dell’elite locale che trae beneficio dal reciproco clientelismo.

Attraverso il controllo dei media nazionali, le autorità egiziane sono riuscite, in buona misura, a convincere l’opinione pubblica che la colpa dell'assedio di Gaza sia esclusivamente di Hamas e di Israele.

Il Professor Moshe Ma’oz della Hebrew University di Gerusalemme ritiene che lo strapotere americano sia un problema relativo.

“Gli egiziani hanno un loro programma e ciò che stanno facendo è conciliare i loro interessi con quelli degli israeliani:” spiega Ma’Oz all'IPS.

Yousef ritiene che l’AP sia complice della situazione: “La AP potrebbe dichiarare pubblicamente che è contro la sofferenza collettiva dei civili che si trovano sotto assedio a Gaza, ma in realtà vuole trarre vantaggio politico dalla situazione, perché spera che il nostro ruolo risulti compromesso e ciò andrebbe a loro favore”, ha detto all'IPS.

I critici potrebbero sostenere inoltre che Hamas abbia delle responsabilità dal momento che non è abbastanza flessibile nel raggiungere un accordo con la AP, oltre a non essere disposta a negoziare con Israele.

“In ogni caso, non vi sarà alcun progresso sulla revoca dell'assedio a Gaza fino a quando le due fazioni palestinesi non si accorderanno per agire insieme e superare le differenze. Questo è il primo passo fondamentale” ha dichiarato Ma’oz. © IPS