ANGOLA: Nessuna legge contro la violenza domestica

LUANDA, 30 aprile 2009 (IPS) – I problemi per Teresa Barros sono cominciati l’anno scorso, con la morte della figlia neonata.

Louise Redvers/IPS Louise Redvers/IPS

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“La nostra figlia più piccola è morta”, racconta Barros, 38 anni. “Mio marito dice che è colpa mia, e adesso beve molto, è diventato rissoso e attaccabrighe”.

“La mia famiglia non fa niente. Dicono che gli altri bambini hanno bisogno del padre, e che io devo restare con lui. Ma sono disperata, non posso andare avanti così”, aggiunge.

Julieta Paulino è stata costretta a trasferirsi con il figlio di 24 anni perché non è rimasta incinta dal suo attuale marito. “Siamo stati insieme per sette anni”, singhiozza la donna, di 42 anni. “Abbiamo costruito la nostra casa insieme, e io gestivo un piccolo ristorante, ma adesso non sono più la benvenuta”.

Sebbene Paulino abbia avuto anche un’altra figlia dal primo marito, il secondo marito la ritiene responsabile per non aver avuto un figlio con lui. “Mi accusa per questo, e ha minacciato di uccidermi”, ha detto.

“Il mese scorso mi ha chiusa dentro casa per due settimane, e appena mi ha fatto uscire ho preso mia figlia e sono scappata. Con me non ho altro che i vestiti che ho addosso”, ha spiegato Paulino.

Barros e Paulino vivono negli slum della capitale dell’Angola, Luanda, dove la violenza domestica è molto diffusa, ed è una pratica tollerata nelle coppie sposate.

Non esistono statistiche ufficiali sul livello di violenza domestica nel paese, ma un sondaggio dell’Organizzazione delle donne angolane (OMA), l’ala femminile del partito al potere nel paese, il Movimento popolare per la liberazione dell’Angola, nel sobborgo periferico di Cazenga ha registrato quasi 4mila episodi nel 2008 – circa 10 aggressioni al giorno.

Inoltre, uno studio preliminare, riportato nel rapporto 2009 del Dipartimento di Stato Usa per i diritti umani, ha rilevato che il 62 per cento delle donne residenti nei quartieri poveri della capitale ha subito una qualche forma di violenza domestica.

Per cercare di risolvere il problema degli alti livelli di violenza domestica, il governo, i media, le organizzazioni non governative (Ong), le chiese e i gruppi della società civile si sono riuniti per lanciare una campagna educativa di sensibilizzazione contro questo fenomeno.

“Per noi, la questione della violenza domestica è una priorità, perché è un male che colpisce l’intera società. I bambini cresciuti in ambienti violenti diventano adulti traumatizzati, e continuano a praticare la violenza perché per loro è una cosa normale”, ha sostenuto Ana Paula Sacramento, viceministro per la famiglia e la promozione delle donne (Minfamu).

La violenza domestica non è illegale in Angola – e nelle rare occasioni in cui arriva in tribunale, è perseguita secondo la legge anti-stupro, violenze e percosse. In parlamento è stato depositato un nuovo progetto di legge, ma secondo Sacramento potrebbe essere approvato solo nel 2012.

Katila Pinto de Andrade, esperta in questioni di genere dell’organizzazione della società civile ‘Società aperta’, è soddisfatta della nuova legge, ma dice che non è abbastanza: “Non è sufficiente avere una sola legge per punire i colpevoli. Bisogna assicurare che le vittime abbiano accesso ad una forma di protezione. Servono dei luoghi di rifugio, e dobbiamo garantire che i responsabili siano sottoposti ad una valutazione psicologica”.

Adele Kirsten, direttrice esecutiva del Centre for the Study of Violence and Reconciliation (CSVR) di Johannesburg, Sud Africa, ritiene che l’alta incidenza della violenza domestica in Angola sia attribuibile all’eredità dei tre decenni di guerra civile, terminata nel 2002.

Il CSVR, in collaborazione con l’Ong canadese con sede a Luanda Development Workshop (DW), ha elaborato ad aprile una bozza della prima valutazione completa del processo di riconciliazione post-bellico in Angola, per l’International Centre for Transitional Justice.

Lo studio osserva che “è stato fatto ben poco per la ‘ricostruzione psichica’ in seguito ad una violenza subita, in particolare a livello socio-psicologico”, e parla del “processo di amnesia”, cioè la scelta di non impegnarsi in un percorso di verità e riconciliazione, lasciando irrisolti i traumi.

Un altro elemento emerso nelle interviste condotte nell’ambito dello studio a tutti i livelli della società angolana – dai ministri di governo ai venditori di strada – è la normalizzazione della violenza dopo il conflitto, aggravata dalla persistente povertà e ingiustizia sociale.

Nonostante le grandi ricchezze del paese in petrolio e diamanti, la Banca mondiale stima che due terzi dei 16 milioni di angolani vivono con meno di due dollari Usa al giorno, secondo il Fondo Onu per l’infanzia (Unicef); un bambino su quattro muore prima di compiere i cinque anni d’età, 10,5 milioni di persone non hanno accesso ai servizi igienici, e ogni anno si registrano 12mila morti materne.

”Durante la guerra, le donne sono diventate le capofamiglia”, ha spiegato Kirsten. Quando gli uomini sono tornati a casa, hanno trovato situazioni familiari e comunitarie sostanzialmente alterate, e il loro ruolo messo in questione, e questo ha prodotto una forte frustrazione”.

”Quasi tutte le persone con cui abbiamo parlato hanno denunciato alti livelli di violenza nelle case, cui si sono anche aggiunte nuove e crescenti forme di violenza, quella della criminalità urbana e delle bande di strada”.

Del sostegno quotidiano alle sopravvissute alle violenze si occupa soprattutto l’OMA, che nel paese dirige l’unica casa sicura con lo spazio sufficiente per quattro famiglie; coordina dibattiti nella comunità sulla violenza domestica e gestisce il grosso dei centri di accoglienza che forniscono consulenza alle donne, offrono crediti di emergenza e procedure di conciliazione.

”Facciamo ciò che possiamo, ma vorremmo più fondi dal governo per poter aiutare più donne”, ha dichiarato Eulalia Rocha Silva, segretaria generale dell’OMA a Luanda.

Secondo Rocha, combattere l’analfabetismo, educare le famiglie perché smettano di tenere le figlie in casa invece di farle andare a scuola, e offrire alle donne maggiori opportunità di lavoro attraverso programmi specifici, come quello del micro-credito, sono fattori fondamentali per migliorare la vita familiare in Angola.

Simili iniziative sono urgentemente necessarie, perché la nuova legge sulla violenza domestica arriverà troppo tardi per Barros, Paulino e le decine di migliaia di altre donne angolane che, come loro, vivono nella paura della violenza o in condizioni di bisogno perché costrette a lasciare le loro case.

Per adesso, tutte queste donne possono contare sul sostegno dei volontari dell’OMA, e sulla debole speranza di poter vivere in futuro una vita migliore.