MEDIO ORIENTE: Continuano gli abusi israeliani sui prigionieri palestinesi

RAMALLAH, West Bank, 18 dicembre 2008 (IPS) – Lunedì scorso, Israele ha liberato dalle sue prigioni più di 200 palestinesi, in un “gesto di buona volontà”. Lo ha fatto subito dopo la festa musulmana di Eid Al-Adha, con l’intento di rilanciare la popolarità in declino del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Diversi prigionieri hanno raccontato ai media locali e internazionali del loro periodo di detenzione. Hanno accusato gli israeliani di maltrattamenti e di abusi fisici nei confronti dei detenuti, nonostante le affermazioni di Israele di aver dichiarato illegali gli abusi sui prigionieri e di avere perciò messo fine a questa pratica.

La maggior parte dei detenuti erano membri di Fatah, il movimento legato ad Abbas e all’Autorità palestinese (AP) al governo nella West Bank.

Alcuni appartengono a gruppi della resistenza palestinese minoritari, come il Fronte democratico per la Liberazione della Palestina (DFLP).

Mentre il “gesto di buona volontà” è stato propagandato a gran voce dai media israeliani, quasi tutti i prigionieri erano per la maggior parte detenuti politici di poca importanza, che sarebbero stati comunque rilasciati in breve tempo, avendo già scontato quasi tutta la pena.

Molti erano adolescenti al momento dell’arresto, e nessuno era accusato di aver ferito o ucciso cittadini israeliani.

Mentre erano in corso i negoziati per il rilascio dei 227 prigionieri, centinaia di altri palestinesi sono stati arrestati dalle forze di sicurezza israeliane.

Questa mossa è stata vista come uno sforzo per rilanciare l’AP di Abbas in difficoltà, e attualmente impegnata in uno scontro politico con il movimento antagonista di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza.

L’ostilità tra le due principali fazioni politiche palestinesi si sta intensificando con l’avvicinarsi dello scadere del mandato di Abbas, previsto per il 9 gennaio.

Abbas ha dichiarato che non tornerà indietro, mentre Hamas dice che non riconoscerà più la sua autorità alla scadenza del mandato.

I detenuti rilasciati sono stati accolti dai loro familiari in lacrime, dagli amici e da centinaia di sostenitori stipati nella sede presidenziale di Ramallah, West Bank centrale.

Scene di giubilo sono esplose tra un mare di bandiere palestinesi e di Fatah, mentre una musica patriottica risuonava nell’aria invernale.

Muhammed Abdul Razik, 22 anni, proveniente da Qabatia, West Bank, aveva già scontato due anni della pena prevista, di quattro anni e mezzo.

Era stato accusato da un tribunale israeliano di possesso di armi e di essere membro delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, braccio armato di Fatah.

”Sono stato picchiato brutalmente al momento dell’arresto dai soldati delle Forze di difesa israeliane (IDF). Mi hanno tenuto per quattro ore nel retro di una jeep, al freddo e al gelo”, ha raccontato Razik all’IPS.

“Durante l’arresto, mi hanno coperto la testa con un sacco sporco e maleodorante, e poi sono stato ammanettato ad una sedia con le mani legate dietro la schiena in una posizione estenuante”.

”Sistematicamente, tra pugni e schiaffi, gli inquirenti mi strattonavano bruscamente in avanti, provocandomi un forte dolore ai polsi e alla schiena”, ha proseguito.

Razik ha spiegato che durante la prigionia, le botte, i medicinali insufficienti, la scarsa alimentazione e il divieto di ricevere visite dai familiari erano la normalità.

La Commissione Landau sulla tortura istituita da Israele, autorizzò nel 1987 l’utilizzo, da parte dell’agenzia di intelligence nazionale, lo Shabak, o Shin Bet, di “pressioni fisiche e psicologiche leggere durante gli interrogatori dei detenuti”.

Nel suo rapporto, la commissione non definiva con precisione cosa intendesse per pressioni fisiche, né specificava le circostanze in cui potevano essere utilizzate. I dettagli rimasero confidenziali, e il rapporto completo non è mai stato pubblicato.

Dopo diverse petizioni presentate dalle organizzazioni per i diritti umani contro l’impiego diffuso della tortura nel paese, la Corte Suprema d’Israele, con una sentenza emanata nel 1999, ha proibito l’uso di alcune forme di tortura.

Ha però autorizzato l’uso di “mezzi fisici” contro i detenuti, compreso “pressioni e mezzi di umiliazione”.

Lo scorso anno, i gruppi per la difesa dei diritti B'Tselem e Hamoked hanno pubblicato il rapporto “Divieto assoluto: la tortura e il maltrattamento dei detenuti palestinesi”, in cui si accusava la Corte di “legittimare atti gravi, contrari al diritto internazionale, che non ammette nessuna eccezione al divieto della tortura e dei maltrattamenti”.

L’organizzazione ha aggiunto che le botte, l’uso delle manette, la negazione dei diritti fondamentali sembrano essere designate ad “ammorbidire i detenuti” prima dell’interrogatorio.

La portavoce di B'Tselem Sarit Michaeli ha spiegato all’IPS che “c’è stato qualche miglioramento, ma continuano a verificarsi diversi episodi di maltrattamenti”.

B'Tselem e Hamoked hanno intervistato 73 ex detenuti per il loro rapporto, scoprendo che circa due terzi dei prigionieri hanno subito una qualche forma di maltrattamento.

Rabie Al-Latifah, del gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq, ha usato termini più duri, dichiarando all’IPS che “maltrattamenti e torture dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane sono pratiche diffuse e sistematiche”.

“La Coalizione Unita contro la Tortura, di cui Al-Haq è membro, ha osservato e registrato prove di atti, omissioni, e complicità da parte di agenti dello Stato a tutti i livelli, compresi esercito, intelligence, polizia, magistratura e altri rami di governo”, ha aggiunto.

Secondo l’Associazione Addameer per il sostegno ai detenuti e per i diritti umani, più di 800 palestinesi sono attualmente agli arresti amministrativi.

I prigionieri vengono trattenuti per periodi di sei mesi senza processo, sulla base di “prove segrete”.

Il periodo di sei mesi può essere rinnovato di volta in volta, e alcuni detenuti “amministrativi” restano in carcere fino a sei anni senza essere stati accusati di nessun crimine. È il ”materiale confidenziale”, cui l’avvocato del prigioniero non ha accesso, a determinare il periodo di detenzione.

Dal 2001, il ministero degli Interni israeliano ha ricevuto più di 500 reclami per maltrattamenti subiti negli interrogatori da parte degli inquirenti dello Shin Bet, ma non è stata avviata neanche una indagine penale.

Le decisioni di non procedere sono state prese in base agli esiti di indagini condotte da un ispettore che era lui stesso membro dello Shin Bet.

Anche nei casi in cui era stata dimostrata la responsabilità degli inquirenti negli abusi contro i detenuti, l’ufficio del Procuratore di Stato ha chiuso il caso sulla base del fatto che gli abusi erano stati compiuti per “legittima difesa”.