BIRMANIA: Il blocco degli aiuti potrebbe moltiplicare il bilancio delle vittime

BANGKOK, 13 maggio 2008 (IPS) – Il regime militare birmano potrebbe essere presto accusato di aver lasciato morire decine di migliaia di cittadini birmani, per l’incompetenza e gli ostacoli burocratici che hanno intralciato gli aiuti internazionali destinati a più di un milione di vittime del ciclone.

Una sopravvissuta al ciclone prepara da mangiare per la sua famiglia accanto a un fosso pieno di carcasse Mizzima News

Una sopravvissuta al ciclone prepara da mangiare per la sua famiglia accanto a un fosso pieno di carcasse
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Una settimana dopo che il ciclone Nargis ha colpito il delta dell’Irrawaddy nella Birmania sud-occidentale, uccidendo circa 100mila persone e distruggendo le case di 1,5 milioni di famiglie, la giunta ha accettato solo una piccola parte degli aiuti umanitari.

Escluse dagli aiuti, squadre specializzate nel ristabilire le forniture di acqua potabile tramite la pulizia e il ripristino delle fonti d’acqua nei terreni danneggiati. “Temiamo che le persone delle aree colpite non stiano ricevendo acqua pulita in quantità e qualità sufficienti ai loro bisogni”, ha detto Rik Bauer, responsabile salute pubblica dell’agenzia per lo sviluppo britannica Oxfam. “Dobbiamo ritenere che la popolazione stia bevendo acqua inquinata”.

”I bacini e i pozzi d’acqua dolce verranno contaminati dalla salinità, le macerie, i cadaveri e le carcasse”, ha detto all’IPS. “Queste fonti d’acqua devono essere completamente ripulite”.

Ma Oxfam, considerata un’agenzia di punta in queste situazioni d’emergenza, non ha personale sul posto. Sta ancora aspettando il permesso temporaneo per operare in questo paese dell’Asia sud-orientale, rinominato Myanmar dai leader della dittatura militare.

Oxfam ha avvertito che il bilancio dei morti potrebbe impennarsi rispetto alle cifre già alte registrate a seguito del disastro naturale del 3 maggio. “È probabile che almeno 100mila persone siano morte nel ciclone, e ci sono tutti gli elementi per una catastrofe sanitaria, che potrebbe moltiplicare il bilancio delle vittime fino a 15 volte nel prossimo periodo”, ha dichiarato domenica scorsa in conferenza stampa Sarah Ireland, direttrice regionale di Oxfam per l’Asia orientale.

Ripercussioni tanto gravi verranno inevitabilmente attribuite alla giunta, visto che Oxfam aveva ricordato ai generali che non vi erano stati disastri causati dall’uomo, dopo lo tsunami che nel 2004 si era abbattuto sulle coste di più di 10 paesi dell’Oceano indiano. “Nello tsunami del giorno di Santo Stefano, 250mila persone avevano perso la vita nelle primissime ore della tragedia, ma non c’era stata diffusione di malattie, perché i governi ospiti e il mondo si erano mobilitati con un massiccio intervento di aiuti umanitari per impedirlo. Dobbiamo fare lo stesso per il popolo del Myanmar”, ha aggiunto Ireland.

Ad Aceh, l’estremità settentrionale dell’Indonesia, la regione più colpita dallo tsunami e dove morirono circa 165mila persone, gli esperti di Oxfam si erano dati subito da fare il giorno dopo la tragedia, facendo partire i primi rifornimenti di acqua potabile 48 ore dopo. E ancora, nel caso del ciclone Sidr abbattutosi sul Bangladesh lo scorso novembre, Oxfam aveva già dispiegato il suo team di prima valutazione d’impatto appena otto ore dopo l’arrivo dell’uragano.

Preoccupazioni sulla mancanza di acqua pulita nel devastato delta dell’Irrawassy sono state espresse anche da World Vision, l’ente di assistenza cristiano che è una delle sole tre agenzie cui la giunta ha permesso di intervenire con i soccorsi. “Temiamo che migliaia di persone stiano bevendo acqua contaminata”, ha detto James East, direttore regionale per l’informazione dell’ufficio Asia-Pacifico di World Vision.

“Normalmente, nelle situazioni post-disastro, dobbiamo trovare acqua pulita per le vittime molto presto”, ha dichiarato in un’intervista. “Altrimenti, la popolazione può venire subito colpita da diarrea, dissenteria o colera”.

Oggi, World Vision opera nei pressi di Myaung Mya, una cittadina a 50 chilometri da Labutta, un comune sul delta tra i più colpiti dal ciclone. Qui sono stati predisposti 26 rifugi, che hanno già accolto 30mila vittime accorse disperate in cerca di acqua, cibo e assistenza sanitaria.

Il Fondo Onu per l’infanzia (Unicef) che, come World Vision, ha avuto il via libera dalla giunta per gli aiuti alle vittime del ciclone, ha già procurato tre milioni di pastiglie per la purificazione dell’acqua per aiutare i più vulnerabili, i bambini.

Le pastiglie, arrivate con un aereo carico di altri rifornimenti d’emergenza, sono in grado di “depurare tre milioni di litri di acqua inquinata, sufficienti per i bisogni di 200mila persone per una settimana”, ha dichiarato l’agenzia Onu. “Con molte strade ancora bloccate dalle macerie e dagli alberi caduti, distribuire le pastiglie è più rapido e più pratico che tentare di distribuire grandi quantità di acqua con equipaggiamenti portatili”.

Ma l’Unicef ha già ammesso che sarà una corsa contro il tempo, visto che secondo gli esperti sanitari nel paese “il 20 per cento dei bambini nelle aree più colpite è già affetto da diarrea, e si parla anche di casi di malaria”.

Gli osservatori birmani, però, non sembrano troppo sorpresi dalla palese negligenza della giunta nel fornire aiuti a milioni di birmani colpiti da questo disastro naturale senza precedenti. Casi analoghi di lentezza nella risposta, di rifiuto di diffondere pubblicamente notizie sul disastro e di depistaggio degli aiuti internazionali si sono già verificati in passato.

Nel maggio 2004, per esempio, la giunta “aveva aspettato 10 giorni prima di parlare pubblicamente del ciclone del 19 maggio 2004 nello stato di Arakan – il peggiore nella Birmania occidentale dopo oltre 40 anni”, dichiara Altsean, un gruppo di lobby per i diritti umani del sud-est asiatico. “Nei giorni successivi (il ciclone Mala, che colpì il delta dell’Irrawaddy nell’aprile 2006), sembra che non fosse stato organizzato nessun intervento di soccorso per le vittime del ciclone”.

La stessa trascuratezza verso le vittime si era manifestata qualche settimana dopo lo tsunami del dicembre 2004, che aveva colpito sempre il delta dell’Irrawaddy. Il regime militare non solo aveva rifiutato gli aiuti internazionali, ma aveva anche detto al mondo che la Birmania possedeva le risorse per intervenire con i propri soccorsi.

Storie di questo tipo si ritrovano nei racconti che filtrano dalla Birmania, rivelando l’atteggiamento indifferente del regime di fronte all’ultimo disastro. Uno di questi racconta di un ministro di governo in visita in un’area colpita sul delta, lungo una parte del fiume sommersa di cadaveri decomposti, carcasse di mucche, cani e maiali. Alla domanda dei funzionari locali sulle intenzioni del governo di ripulire la sorgente il ministro sembra abbia esclamato arcigno: “Non ci riguarda”. Aggiungendo: “I pesci mangeranno la carne e le ossa andranno a finire in fondo al fiume”.