MEDIO ORIENTE: I moderati chiedono la parola

GERUSALEMME, 7 dicembre 2006 (IPS) – Sufyan Abu Zayda ha visto troppi cessate il fuoco violati, e sentito troppi discorsi senza seguito sulla pace e la riconciliazione, per entusiasmarsi dell’ultima tregua tra israeliani e palestinesi, e dell’appello per un nuovo dialogo lanciato dal primo ministro Ehud Olmert.

“Siamo ancora molto, molto lontani da una possibile ripresa di veri negoziati”, ha detto Abu Zayda all’IPS. “Non c’è niente di nuovo nelle parole di Olmert. È ancora troppo presto per parlare anche solo di preparare il terreno per nuovi colloqui”.

Ex ministro per le questioni relative ai prigionieri nel governo palestinese, Abu Zayda è anche alto membro del partito Fatah del presidente palestinese Mahmoud Abbas. Moderato, apparso diverse volte sulle reti televisive israeliane per spiegare, in ebraico fluente, la posizione palestinese, Abu Zayda crede in una soluzione negoziata di due stati, con una Palestina indipendente accanto a Israele.

Il suo avversario politico è Hamas, il movimento islamico che ha spodestato il suo partito nelle elezioni parlamentari dello scorso gennaio, e che rifiuta di riconoscere Israele.

Così come vorrebbe vedere palestinesi e israeliani di nuovo impegnati intorno a un tavolo di negoziati, invece che con le armi, il massimo che può dire sul discorso di Olmert, nel quale il primo ministro israeliano si diceva pronto ad evacuare diversi terreni e insediamenti ebraici, è che potrebbe portare ad un cambiamento di clima: “È preferibile parlare di pace e che non ci sia pace, che parlare di guerra e che ci sia guerra”.

Abu Zayda ha parlato con l’IPS appena qualche giorno dopo l’accordo sul cessate il fuoco dei leader israeliani e palestinesi, in base al quale i gruppi militanti palestinesi hanno promesso di fermare i razzi contro Israele, e Olmert ha acconsentito a sospendere ogni operazione militare nella striscia di Gaza.

La tregua, che sta più o meno resistendo, arriva cinque mesi dopo la carneficina nella quale sono stati uccisi più di 400 palestinesi, tra cui molti militanti di Hamas, durante i raid di Israele per fermare il lancio di missili e ottenere il rilascio di un soldato israeliano tenuto prigioniero nella fascia costiera dai militanti di Hamas. A novembre, due israeliani sono rimasti uccisi a causa dei missili lanciati nella città meridionale di Sderot.

Abu Zayda racconta che, a Gaza, ci sarebbe una vera e propria “disputa” sui missili, che, sostiene, i palestinesi definiscono ironicamente “pietre volanti”, a causa della loro natura rudimentale e artigianale, in particolare se paragonata ai sofisticati sistemi di armi a disposizione di Israele. I militanti di Hamas avrebbero già esploso quasi tutti i razzi, e il movimento islamico, sostiene il funzionario, “sa che deve fermarsi. Esso nuoce ai palestinesi, sollecitando gli attacchi israeliani. Ci sono state molte perdite, persone ferite, case distrutte”.

Per adesso, ha proseguito, l’obiettivo dovrebbe essere stabilizzare il cessate il fuoco. Il prossimo passo deve essere uno “scambio di prigionieri”, con il rilascio da parte dei palestinesi del caporale Gilad Shalit, il soldato sequestrato da una base in Israele alla fine di giugno e da allora tenuto prigioniero, e la liberazione da parte di Israele dei palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane. Se Israele riaprisse il passaggio alla frontiera e i blocchi delle strade, che ostacolano seriamente gli spostamenti dei palestinesi, la tregua diverrebbe più duratura, afferma. “È possibile raggiungere una cessazione totale delle violenze”.

Secondo alcuni alti funzionari della difesa israeliani, il consenso di Hamas sul cessate il fuoco gli sarebbe servito in realtà per guadagnare tempo e a riprendersi, dopo aver subito per cinque mesi le violenze dell’esercito israeliano. Abu Zayda sostiene, al riguardo, che: “Alcuni pensano che esso giocherebbe a favore di Hamas, ma ci sono altri, come me, che lo considerano parte di un processo per preparare Hamas al riconoscimento di Israele e ai negoziati. Di un passaggio di Hamas da gruppo armato a entità politica”.

Nel suo discorso della scorsa settimana, Olmert ha anche affermato che se il governo palestinese accetterà le richieste della comunità internazionale rinunciando alle violenze, se riconoscerà Israele e aderirà agli accordi di pace provvisori, e se rinuncerà al diritto al rimpatrio dei rifugiati palestinesi, allora il suo governo è pronto a riconoscere “uno stato palestinese indipendente, con una contiguità territoriale” – nella West Bank “uno stato con piena sovranità e frontiere definite”.

Abu Zayda si dice scettico sull’appello al dialogo del leader israeliano: “Per ora, non vedo nessun cambiamento in questa direzione. Non si può costruire un serio piano di pace in base al discorso di Olmert. Io voglio sedere al tavolo dei negoziati sulla base del principio “due popoli, due stati”, e sulla base dei confini del 1967”, ha detto, riferendosi alla linea che ha diviso Israele dalla West Bank alla vigilia della guerra del 1967, nella quale quella zona venne conquistata da Israele.

Perché ciò avvenga, il cessate il fuoco deve innanzitutto resistere. Ma dopo che Abbas ha annunciato la scorsa settimana che i colloqui con Hamas sulla formazione di un governo di unità nazionale sarebbero a “un punto fermo”, la tregua risulterebbe compromessa. Il leader palestinese aveva sperato che costituendo alla meno peggio un governo unitario, avrebbe potuto convincere i leader occidentali a eliminare le sanzioni economiche punitive imposte all’Autorità palestinese dopo l’ascesa al potere di Hamas.

Ma secondo Abu Zayda, il disaccordo tra Abbas e Hamas su chi dovrebbe guidare i due ministeri chiave – quello delle finanze e degli interni, che è responsabile delle forze di sicurezza palestinesi – significa che la formazione di un governo di unità sta diventando “sempre meno probabile”.

Senza un governo unitario palestinese, elemento chiave per sostenere il cessate il fuoco, le sanzioni non verranno annullate; le probabilità di una ripresa dei negoziati rimasti congelati per sei anni saranno sempre più remote; e le violenze potrebbero scoppiare di nuovo. Viste le forti tensioni tra Fatah e Hamas, queste violenze potrebbero anche essere interne, come nel caso alcuni mesi fa di almeno 10 persone uccise mentre i militanti dei due gruppi si scontravano in conflitti a fuoco per le strade.

Abu Zayda non vuole fare previsioni su cosa accadrà se i colloqui sull’unità dovessero fallire: “Volete che preveda cosa potrà accadere tra pochi mesi”, sorride, “quando non so nemmeno che cosa succederà domani”.