ELEZIONI-ITALIA: Una vittoria sul filo di lama

ROMA, 12 Aprile 2006 (IPS) – Dieci anni dopo il primo match del 1996 tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, i risultati delle elezioni dimostrano che la governabilità in Italia è ancora una sfida. La vittoria risicata dell’Unione rende difficile formare un governo in grado guidare un paese spaccato in due.

Gli exit poll diffusi subito dopo la chiusura dei seggi indicavano un’ampio distacco tra le due coalizioni. I voti per corrispondenza di 1,1 milioni di elettori italiani residenti all’estero, che hanno eletto sei dei 315 membri del Senato e 12 dei 360 deputati della Camera, alla fine sono stati decisivi.

La partecipazione più alta si è registrata in America Latina, dove gli elettori hanno votato tre deputati e due senatori (il 51,8 per cento dei 2,6 milioni di elettori).

Il centro-sinistra vince le elezioni, ma la distanza dagli avversari è talmente ridotta da aprire uno scenario preoccupante.

L’Unione ha ottenuto la maggioranza alla Camera per 25.000 voti, mentre i voti degli italiani all’estero hanno invertito i risultati per il Senato – che inizialmente sembravano favorire il centro-destra di Berlusconi – assegnando 158 seggi all’Unione e 156 alla Casa delle Libertà.

Quattro dei sei senatori eletti dagli italiani all’estero sono candidati dell’Unione, uno di Forza Italia, mentre l’ultimo, Luigi Pallaro, della lista indipendente “Associazione Italiani in Sudamerica, eletto in Argentina, appoggerà l’Unione, che potrà così contare su 5 dei 6 senatori che rappresentano gli italiani all’estero.

Dipinti da stampa e media come nostalgici dello stile “pizza e mandolini”, gli italiani all’estero si sono invece dimostrati pragmatici, moderni e post-ideologici capaci di raccogliere la sfida del cambiamento.

Ma i 158 seggi dell’Unione al Senato non rappresentano ancora la maggioranza, che è di 162 seggi. Per raggiungerla, è necessario l’appoggio di 4 dei 7 senatori a vita. Uno di loro, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ha già dichiarato che, essendo un rappresentante istituzionale e non un membro eletto, si asterrà dal voto nelle sessioni in cui si discuteranno le azioni del nuovo governo. Gli altri faranno lo stesso?

In ogni caso, qualche seggio in più o in meno al Senato o alla Camera non cambia la sostanza dei fatti. Cresce la sensazione di aver perso l’opportunità di un cambiamento, che il futuro del pese resti legato ad una specie di equilibrio difficile da modificare.

La sfida più impegnativa per il nuovo governo sarà aggredire le questioni urgenti e non più rinviabili, con un’opposizione così forte.

Innanzitutto, l’incertezza politica emersa dalle elezioni rappresenta un pessimo scenario per l’economia. Martedì mattina la borsa di Milano ha perso lo 0,73 per cento, per scendere a -1 per cento alle 11 di mattina. Un segnale che riflette la sfiducia diffusa rispetto alla situazione che si è delineata. Il primo campanello d’allarme è subito arrivato dalle agenzie di rating Standard&Poors e Fitch, che prevedono una riduzione del rating entro la fine dell’anno se l’Italia non ridurrà rapidamente il suo debito.

La crescita del prodotto interno lordo (PIL), che negli ultimi cinque anni è stata in media inferiore all’1 per cento, si è di nuovo fermata, così come l’aumento della produttività. La competitività dell’industria italiana si è abbassata dopo l’adozione della moneta unica europea.

Nell’insieme, lo stato delle finanze pubbliche è pessimo: il deficit supera il 4 per cento, il debito pubblico è al 106 per cento del PIL, e sono entrambi in aumento.

L’altra questione urgente, da un punto di vista sia sociale che economico, è quella del mercato del lavoro che riguarda migliaia di giovani italiani sempre più frustrati dai contratti a breve termine introdotti dopo l’ultima riforma del lavoro.

“E’ uno dei problemi più urgenti sollevati dalle tante persone che abbiamo incontrato nelle piazze durante la campagna elettorale”, ha detto Livia Turco, DS, in una recente intervista. “Il nuovo governo dovrà affrontare questo problema subito”.

Un tema scottante è poi la crescente emergenza sociale dell’immigrazione. La legge Bossi-Fini sull’immigrazione approvata nel 2002, che l’Unione promette di cambiare al più presto, ha introdotto una politica restrittiva, stabilendo una quota annuale per gli immigrati che possono ottenere il permesso di soggiorno solo se sono già in possesso di un contratto di lavoro. Per gli immigrati privi di documenti la legge prevede l’espulsione.

Una certa preoccupazione destano i partiti meno moderati della coalizione vincente, in particolare Rifondazione Comunista, che in queste elezioni ha ottenuto consensi significativi. Il governo di Prodi dipenderà anche dal loro appoggio, e dovrà mediare la loro dichiarata opposizione alle grandi riforme.

Secondo i leader del centro-sinistra, la situazione rafforzerà invece la coalizione, favorendo coesione e compattezza. “Riporteremo unità nella politica”, ha detto Prodi ai giornalisti dopo la conferma dei risultati martedì mattina.

Il primo impegno per il Parlamento subito dopo il suo insediamento sarà l’elezione del nuovo presidente della Repubblica che sostituirà Carlo Azeglio Ciampi, il cui mandato scade a maggio. Il nuovo capo di stato affiderà poi il compito di formare il governo al leader della coalizione vincente. Potrebbero occorrere diverse settimane prima che l’intero processo si concluda.

Il centro-destra ha contestato i risultati, chiedendo una nuova verifica dei voti, in particolare riguardo alle 500.000 schede dichiarate nulle al primo scrutinio.

La vittoria del centro-sinistra non è delle più esaltanti, ma è legittima, e Prodi si dice certo della stabilità del suo governo.

Negli ultimi istanti di queste elezioni così impegnative, il governo Berlusconi ha sottratto alla politica le prime pagine dei giornali con la notizia della cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano, latitante da quarant’anni.