SPECIALE WTO: Libero commercio o commercio equo?

ROMA, 15 dicembre 2005 (IPS) – Il movimento internazionale del commercio equo chiede nuove regole per tutelare i produttori emarginati. Prima, però, vuole spiegare cosa si intenda davvero per commercio equo.

Il rappresentante Usa per il commercio Robert Zoellick, durante la sua visita in Cina ad ottobre, ha parlato della necessità di “commercio equo”. “L’economia e i consumatori cinesi trarranno vantaggio da una maggior apertura ai prodotti americani”, ha dichiarato. “Fornitori di servizi, produttori e agricoltori americani sono pronti a misurarsi con la Cina, ma per farlo, hanno bisogno di un accesso totale ed equo”.

Tuttavia, il commercio equo cui si riferiva Zoellick è anni luce distante da quello che il movimento internazionale sostiene da quarant’anni.

Libero scambio e commercio equo sembrano due visioni incompatibili.

Sostenitori del commercio equo dichiarano che gli scambi tra paesi sviluppati e meno sviluppati non sono alla pari, e che diventerebbero più equilibrati solo se i paesi più deboli venissero tutelati. Chi opera nel libero scambio sostiene che a lungo termine i mercati colmeranno il divario, e sia i paesi ricchi che quelli poveri beneficeranno del pieno accesso ai mercati degli altri, affermando, in quest’ottica, che il libero mercato equivale al commercio equo.

In una dichiarazione congiunta rilasciata dai ministri del commercio al recente incontro di Hong Kong, quattro importanti reti di commercio equo e solidale hanno presentato le loro raccomandazioni sulle questioni fondamentali del giro di consultazioni di Doha: agricoltura, materie prime, accesso al mercato non agricolo, trattamento speciale e differenziale.

”Un principio chiave nelle politiche commerciali – attualmente assente in ambito OMC – è che ogni paese dovrebbe avere diritto alla sicurezza e sovranità alimentare, ed essere autorizzato a proteggere i settori strategici della propria economia”, ha dichiarato Monica Di Sisto, co-autrice della dichiarazione di intenti comuni.

”Il movimento per il commercio equo sostiene inoltre che i paesi ricchi hanno l’obbligo morale di fermare ogni forma di sussidio distorsivo della concorrenza e che provochi dumping sui mercati mondiali, ricordando come l’impatto di queste pratiche sui più poveri sia stato devastante”, prosegue la dichiarazione.

Le quattro associazioni hanno sede per lo più in Europa, ma i loro membri rappresentano molti produttori e distributori del sud.

Sono l’Associazione internazionale del commercio equo (IFAT, International Fair Trade Association), con sede in Olanda, la Fair Trade Labelling Organisations International (FLO-I), con sede in Germania, la Network of European Worldshops (NEWS!) che rappresenta all’incirca 2.500 negozi di commercio equo e solidale, e l’Associazione europea del commercio equo (EFTA, European Fair Trade Association), con un ufficio speciale di difesa pubblica a Bruxelles.

Secondo la FLO-I, tra il 2002 e il 2003 le vendite con l’etichetta di commercio equo sono cresciute fino al 42,3 per cento; secondo l’EFTA, tali vendite superano oggi mezzo milione di euro all’anno in tutto il mondo.

I mercati che stanno crescendo più rapidamente sono Belgio, Francia, Italia e Stati Uniti, con percentuali di crescita tra l’80 e il 700 per cento.

Si stima che più di 4.000 gruppi di piccoli produttori emarginati, e centinaia di migliaia di lavoratori in più di 50 paesi in via di sviluppo partecipino alle catene di rifornimento per il commercio equo e solidale.

Più di cinque milioni di persone in Africa, America Latina e Asia traggono vantaggio dal commercio equo, dichiarano i sostenitori. La maggior parte riguarda merci tradizionali prodotte da piccoli agricoltori o artigiani.

Con una mossa ambigua, anche alcune multinazionali hanno intrapreso una produzione con l’etichetta di commercio equo. L’industria svizzera Nestlé ha lanciato un caffè certificato come prodotto equo e solidale dal nome “Partners' Blend”, realizzato da cinque piccole cooperative in Etiopia e Salvador.

Questo caffè, riporta l’etichetta, “aiuta gli agricoltori, le loro comunità e l’ambiente”. La certificazione è stata rilasciata dalla Fairtrade Foundation, con sede in Gran Bretagna, membro della FLO-I, malgrado molti gruppi boicottino la compagnia accusata di incoraggiare le madri all’uso di latte artificiale durante l’allattamento.

I gruppi dichiarano che il latte artificiale serve solo a far sì che le donne smettano di allattare, provocando indirettamente la morte di migliaia di bambini per mancanza di acqua pulita e di denaro per acquistare il latte.

Paolo Pastore, direttore di Transfair Italia (certificatore di prodotti destinati al commercio equo, e membro della FLO-I) è contrario alla certificazione di un singolo prodotto, che può portare alla riabilitazione di una compagnia altrimenti non verificata.

”Non abbiamo paura di lavorare con le multinazionali su questioni di commercio equo, ma solo se dimostreranno che si stanno davvero muovendo verso la responsabilità sociale, rispettando le norme internazionali dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), e se permetteranno ad altri di monitorare il loro operato”, ha detto Pastore all’IPS.

”Ciò significa che serve un cambiamento a 360 gradi, e non su un unico prodotto o settore”, ha proseguito il dirigente. “Lo stesso deve accadere a livello governativo: per favorire un commercio davvero libero e globalizzato, le regole devono riguardare non solo gli aspetti economici e commerciali, ma anche una migliore distribuzione delle risorse, la cancellazione del debito ai paesi più poveri, e il benessere della gente che vive in quei paesi”.

Il movimento per il commercio equo tiene una “fiera del commercio equo e solidale” ad un isolato di distanza dal Centro espositivo di Hong Kong, dove si riuniscono gli intermediari commerciali dell’OMC.

L’evento di tre giorni è organizzato da un gruppo che comprende l’Istituto per le politiche agricole e commerciali (Usa), Équitterre (Canada), Gerster Consulting (Svizzera), Oxfam Hong Kong, e Asia Fair Trade Forum (Filippine). L’avvenimento è sponsorizzato dai governi svizzero e canadese.