SALUTE: I pediatri denunciano i rischi ambientali

BUENOS AIRES, 2 dicembre 2005 (IPS) – (Tierramérica) – Quanti problemi respiratori dell’infanzia sono legati al gas usato nelle abitazioni per cucinare? Quanti casi di diarrea sono conseguenza dell’acqua da bere contaminata? Come possiamo individuare la relazione tra la potenziale esposizione al piombo e problemi di apprendimento scolastico?

”Ognuno di noi è esposto a diverse minacce ambientali, ma i bambini sono i più vulnerabili, e quando vivono in condizioni di povertà la loro fragilità si aggrava notevolmente”, ha dichiarato in un’intervista a Tierramerica Jenny Pronczuk, esperta di salute ambientale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

La scienza ha dimostrato il collegamento tra l’esposizione a certe sostanze e lo sviluppo di malattie, a breve e lungo termine. Tuttavia, la maggior parte dei medici rispondono solo ai sintomi, spesso senza realizzare che le cause dell’infermità del bambino rimangono.

Malgrado oggi in America Latina la volontà politica di favorire la salute ambientale dei bambini sia cresciuta, “c’è ancora molta strada da fare”, prosegue Pronczuk. “È necessaria una migliore formazione nelle professioni di cura”.

Le cifre della OMS indicano che il 40 per cento del totale di malattie attribuite ai fattori ambientali colpisce bambini dai cinque anni in giù. La circostanza è ancora più allarmante perché questo gruppo di età rappresenta solo il 10 per cento della popolazione mondiale.

I bambini sono soggetti a una crescita rapida nei loro primi anni di vita e hanno maggior capacità di assorbire agenti tossici. Rispetto agli adulti, la loro respirazione è più veloce e il consumo di cibo e acqua è proporzionalmente superiore, rendendoli più vulnerabili alle minacce ambientali.

Tuttavia, molti pediatri non sono preparati ad affrontare la malattia da questo punto di vista. “È una nuova prospettiva e richiede una mente aperta”, ha spiegato a Tierramerica Daniel Beltramino, presidente della Commissione per la salute e l’ambiente della Società pediatrica argentina.

Beltramino ha ricordato che appena tre anni fa, i seminari della Società sull’argomento “erano uno scandalo”. “Non più di 20 o 30 di noi erano interessati all’argomento”, ha dichiarato. Ma all’inizio del mese scorso, Buenos Aires ha ospitato un seminario per specialisti provenienti dal cono meridionale del Sud America, e alcuni sono stati mandati via perché era stata oltrepassata la soglia di 130 iscritti.

”I professionisti della cura sono in prima linea nella battaglia che si propone di analizzare quando i sintomi sono la conseguenza della carenza di accesso all’acqua pulita, della contaminazione del suolo o della mancanza di aree urbane pianificate“, ha riferito Beltramino.

Per affrontare questi problemi, esperti di salute, ambiente e istruzione provenienti da tutto il mondo si sono riuniti nella capitale argentina dal 14-16 novembre per la seconda Conferenza internazionale sulle minacce ambientali alla salute dell’infanzia, conclusasi con l’esortazione “di trasformare la conoscenza in azione”.

L’evento, promosso dalla OMS, ha sollecitato una più ampia divulgazione di strumenti utilizzabili per migliorare la salute ambientale dei bambini.

Beltramino ha esposto le diverse strategie in atto nella regione, come dottorati in salute ambientale per pediatri – che non esistevano quattro anni fa – e la creazione di reparti di pediatria ambientale in ospedali per bambini.

Questi reparti esistono già in ospedali di Canada, Stati Uniti e Messico, e negli ultimi cinque mesi ne sono nati tre in ospedali argentini: assicurano assistenza, formazione e ricerca in questioni di salute ambientale dei bambini.

”Se c’è un incendio in una fabbrica di vernici, (i medici del reparto) sono incaricati di proteggere i bambini”, ha spiegato Beltramino.

Il medico ha inoltre sottolineato l’importanza di redigere “profili nazionali di salute ambientale dell’infanzia”, per individuare le zone nazionali a rischio e il modo migliore per assistere la popolazione colpita. Diciotto paesi latino-americani hanno già iniziato a mettere insieme questi profili.

La cooperazione internazionale permetterebbe di seguire alcuni casi per studiare la relazione tra rischio ambientale e malattia, che non sempre si può comprendere a breve termine.

I paesi industrializzati stanno conducendo delle ricerche epidemiologiche su gruppi specifici (serie di persone con fattori in comune) su varie materie di sanità pubblica. Il nuovo approccio sarebbe quello di applicare questo tipo di operazione sul lungo termine, per capire la relazione tra ambiente e salute.

Gli esperti analizzano, per esempio, campioni di sangue del cordone ombelicale prelevato dai neonati, continuando poi a studiare l’evoluzione di questi individui durante infanzia, adolescenza ed età adulta.

”I sintomi della contaminazione da tossine possono comparire 20 anni dopo l’esposizione”, ha spiegato Beltramino. “Per sapere con certezza in che grado una certa tossina può causare il cancro, sono necessari 500.000 casi”, ha dichiarato.

”È impossibile analizzare un tale numero di casi in un unico paese, ma se riusciamo ad accordarci su una singola metodologia per lavorare insieme, possiamo contribuire ad uno studio globale del problema con risultati a breve e a lungo termine”.

(* Marcela Valente è una corrispondente dell’IPS. Pubblicato originariamente da giornali latino-americani della rete Tierramerica. Tierramerica è un servizio di informazione specializzato prodotto da IPS con il sostegno del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e del Programma ambientale delle Nazioni Unite.)