ELEZIONI USA: L’America Latina non vuole più Bush

CITTA’ DEL MESSICO, 1° ottobre 2004 (IPS) – “Fuori Bush” è uno slogan che ricorre spesso nelle manifestazioni di piazza, in manifesti e graffiti di tutta l’America Latina. Oggi, con le elezioni presidenziali Usa alle porte, questa parola d’ordine diventa un desiderio diffuso dei politici, degli intellettuali e persino dei governanti della regione. Sin dalla nomina di Bush nel 2001, negli ultimi tre anni la percentuale di persone con un’opinione negativa sugli Stati Uniti in America Latina e Caraibi è raddoppiata, tra gli intervistati dalla società cilena di statistiche Latinbarómetro.

In un’inchiesta mondiale dell’impresa Toronto Globe Scan e l’Università del Maryland (Usa) sulle elezioni del 2 novembre, il 42,5 per cento degli interpellati in nove paesi latinoamericani è orientato su Kerry, del Partito democratico, e solo il 19 per cento sulla rielezione di Bush, repubblicano.

Lo scorso marzo, una delle prime espressioni del rifiuto di Bush è stata quando migliaia di manifestanti della regione si sono riversati per le strade dell’America Latina esprimendo il ripudio del presidente e della sua invasione all’Iraq, che proprio in quel periodo compieva un anno.

Alcuni osservatori sostengono che una vittoria di Kerry non cambierà di molto le attuali politiche di Washington verso la regione, e altri temono addirittura che possano peggiorare.

“Qualsiasi cosa è meglio di Bush. Pensiamo che Bush sia un fanatico, un fondamentalista, che crede di parlare con Dio. È un pericolo e lo abbiamo sperimentato sulla nostra stessa pelle”, ha detto ad IPS in Venezuela lo storico Samuel Moncada, vicino al governo del presidente Hugo Chávez.

I rapporti tra Caracas e Washington sono stati molto aspri sin dalla nomina di Bush, che Chávez accusa di confabulare per rovesciarlo ed è arrivato a definirlo pubblicamente un “vigliacco”.

Il presidente venezuelano ha espresso apertamente il desiderio che Kerry sconfigga “l’estrema destra repubblicana”, discostandosi dalle forme proprie della diplomazia prevalenti tra i governi della regione.

In Argentina si percepisce, comunque, una preferenza per Kerry, espressa anche dalla senatrice Cristina Fernández, moglie del presidente Néstor Kirchner, alla convenzione del Partito democratico americano.

In ogni caso, il cancelliere argentino Rafael Bielsa ha osservato che attualmente il suo paese “non è prioritario per gli Stati Uniti”.

A Cuba, dove il governo di Fidel Castro considera Bush un tiranno mondiale, il presidente dell’Assemblea del potere popolare, Ricardo Alarcón, ha sostenuto che il suo paese non si aspetta cambiamenti nella politica statunitense, chiunque sia il vincitore alle elezioni di novembre.

Kerry “parla di mantenere l’embargo e le pressioni (contro Cuba), la stessa posizione anche se con una retorica forse meno aggressiva” di Bush, ha aggiunto.

Bush e il suo avversario hanno concordato sulla necessità di mantenere l’embargo fino alla caduta di Castro.

Quanto all’impatto che possono avere le elezioni sull’America Latina, Alarcón ha sottolineato che non lo conosce, “perché è un tema totalmente assente dal dibattito negli Usa”.

Washington è troppo immersa nella “guerra contro il terrorismo”, lanciata da Bush “per preoccuparsi di paesi che dopotutto non lo hanno mai interessato”, ha affermato.

Esteban Morales, del Centro studi sugli Stati Uniti, che dipende dall’Università dell’Avana, ha detto che se Cuba è sopravvissuta al governo di Bush, “che si è proposto di inasprire al massimo la propria aggressività, in un futuro, accada quel che accada, l’unica cosa che ci si può aspettare da questa politica è precipitare in una crisi definitiva”.

La legislatrice brasiliana María José da Conceiçao, vicepresidente della Commissione Affari esteri e difesa nazionale della Camera dei deputati, ha detto ad IPS che preferisce Kerry perché il Partito democratico è “più aperto sui diritti umani e l’ambiente”, il che favorisce la democrazia ovunque, anche in America Latina.

Inoltre, un Bush rieletto ne uscirebbe “più rafforzato dalle elezioni e più guerrafondaio, e anche più prepotente”, ha sostenuto.

“La grande maggioranza dei parlamentari brasiliani, compreso molti conservatori, preferisce Kerry, è anti-Bush”, ha assicurato da Conceiçao, del Partito dei lavoratori al governo.

In ogni caso, “la politica estera dei democratici non è molto diversa da quella dei repubblicani, e nel commercio estero sono addirittura più protezionisti”, ha sottolineato.

Il diplomatico messicano Adolfo Aguilar, ex rappresentante del suo paese presso il Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ritiene difficile e persino poco conveniente schierarsi, poiché nessuno dei grandi partiti statunitensi ha una visione su larga scala e determinante sull’America Latina.

Nelle poche dichiarazioni sulla strategia legata all’America Latina, sia Bush che Kerry sono stati piuttosto generici.

Bush promette di continuare a stimolare il libero commercio nella e con la regione, secondo un modello che ha resistito in paesi come il Brasile, l’Argentina e il Venezuela, i cui governi sostengono che Washington non tiene conto delle differenze di sviluppo presenti nel continente americano.

Kerry accusa Bush di portare avanti una politica “monotematica” di libero commercio verso i vicini del sud, e ha promesso di valutare i trattati negoziati in materia “per assicurare che diano benefici, creino occupazione e prevedano forti protezioni lavorative e per l’ambiente”.

Sostiene inoltre che bisogna riportare sul tavolo dei negoziati l’accordo di libero commercio degli Stati Uniti con la Costa Rica, El Salvador, il Guatemala, l’Honduras e il Nicaragua, firmato a maggio ma ancora in attesa dell’approvazione legislativa dei singoli membri.

Il candidato democratico assicura che farà lo stesso con l’Area di libero commercio delle Americhe, un progetto di 34 paesi promosso da Washington e che si spera di far partire nel 2005.

Come presidente, ha dichiarato, aiuterò a costruire una nuova e più ampia “Comunità delle Americhe (…) in cui i vicini si occupino dei propri vicini”.

“Invece di essere un buon vicino, il presidente (Bush) ha ignorato una gran varietà di malattie, compreso le crisi politiche e finanziarie”, come quelle vissute negli ultimi anni in Argentina, Bolivia, Haiti e Venezuela, ha accusato Kerry.

Lui promette invece di creare un “Consiglio per la democrazia” che aiuti l’Organizzazione degli Stati americani a “risolvere la crisi prima che l’ordine venga minacciato e il sangue versato”, assicurando che finanzierà programmi per promuovere la democrazia in America Latina.

Matías Machado, esperto messicano di commercio internazionale, ha detto ad IPS che le posizioni di Kerry e del suo team sul commercio sembrano altamente protezioniste, anche se “bisognerà vedere come diventeranno se arriverà alla presidenza”.

L’analista cileno Eduardo Moraga ha sostenuto che un trionfo di Kerry colpirebbe tutti i paesi che commerciano con gli Stati Uniti, poiché verrebbero rivisti tutti gli accordi firmati da Bush.

Non si prevede, invece, che venga colpito il trattato ancora in vigore tra Santiago e Washington.

José Morandé, dell’Istituto di studi internazionali dell’Università del Cile, ha affermato che questo strumento è uno dei pochi gesti positivi compiuti dagli Stati Uniti nei confronti dell’America Latina durante il governo Bush, e che Kerry “non creerà un problema” con la regione mettendolo in discussione.

John Edwards, il candidato alla vicepresidenza che accompagna Kerry, come parlamentare si è opposto tenacemente alla firma di accordi commerciali con l’America Latina, affermando che non sarebbero sostenibili e sottrarrebbero occupazione nel suo paese.

Edwards aveva mosso una campagna contro il Trattato di libero commercio dell’America del Nord, in vigore dal 1994 tra Canada, Stati Uniti e Messico, votando contro gli accordi prevalentemente commerciali con i paesi dell’America centrale, dei Caraibi e dell’area andina, opponendosi anche al libero commercio con il Cile.

* Con contributi di Gustavo González (Cile), Patricia Grogg (Cuba), Humberto Márquez (Venezuela), Mario Osava (Brasile) e Marcela Valente (Argentina).(FINE/2004)