I gitani danno l’esempio in Spagna

MALAGA, dic 2012 (IPS) – Daniel si presenta come un “gitano e chitarrista”, Francisco José vorrebbe andare all’università per diventare medico, Yomara accenna con timidezza alla sua passione per la cucina, e María non ha ben chiaro che cosa vuole studiare.

Inés Benitez/IPS Inés Benitez/IPS

Inés Benitez/IPS
Inés Benitez/IPS

Tra i 12 e 17 anni, questi alunni del centro educativo della città meridionale di Malaga appartengono alla comunità gitana o romanì, caratterizzata da alti indici d’abbandono e assenteismo scolastici.

Nonostante i “notevoli progressi” nella scolarizzazione infantile di questa etnia negli ultimi 30 anni, solo il 20 per cento di coloro che iniziano l’istruzione secondaria obbligatoria (quattro annualità tra i 12 e i 16 anni) la portano a termine, dice all’IPS Humberto García, vicedirettore dell’area azione istituzionale e sviluppo territoriale della Fondazione Segretariato Gitano (Fsg la sigla spagnola).

Questo “vuol dire un calo dell’80 per cento rispetto a quanti iniziano il percorso di studi, e non tutti lo fanno”, aggiunge García.

Il Consiglio d’Europa stima che la comunità gitana spagnola è composta da 725mila persone, cioè l’1,57 per cento dei 46 milioni di abitanti del paese iberico.

Pur svolgendo ogni tipo di mestiere, i membri di questa etnia spesso si dedicano alla vendita ambulante nei mercatini e alla raccolta di rottami e cartoni.

“Io non sono andata a scuola e non voglio che i miei figli siano come me, ma che si possano relazionare con gli altri e fare qualcosa nella vita”, dice all’IPS la gitana Antonia Martín, di 44 anni, madre di Yomara (16 anni), José (15) e Jesús (24), e nonna di un bambino di due anni.

Accanto a lei, il marito Antonio Campos, figlio di cestai e impiegato dall’età di 17 anni in un campo da golf della costa di Malaga, sostiene che “bisogna cambiare la mentalità dei gitani, che pensano che si debba vivere come i nostri nonni, perché oggi ci sono più risorse e possiamo vivere meglio, con più istruzione, ed essere più rispettati”.

“Raccogliere rottami o cartoni o essere un venditore ambulante non è vita, ma vuol dire pane oggi e fame domani”, conclude Campos, che vorrebbe “rompere le barriere” che impongono l’antico stile di vita dei gitani di lingua calò.

Il calò è la lingua propria dei gitani spagnoli, che nel tempo hanno perso la loro lingua romaní alla quale è subentrata la lingua locale, e in Spagna il termine viene anche utilizzato per definire la stessa comunità.

In Spagna il termine “gitano” non ha la stessa connotazione peggiorativa che ha in altri paesi, ma questo non vuol dire che la Spagna sia libera dalle discriminazioni nei confronti della minoranza etnica più importante d’Europa.

Fino alla democratizzazione e alla Costituzione del 1978, il popolo gitano non aveva gli stessi diritti del resto della popolazione. In seguito, la scolarizzazione è andata aumentando da livelli molto bassi fino a raggiungere il 93,2 per cento.

“L’istruzione e l’occupazione sono due fattori fondamentali per l’inclusione delle persone gitane”, afferma García, della Fsg, il cui programma Promociona cerca di risolvere il fallimento scolastico interagendo con alunni, famiglie e centri educativi di zone particolari.

Il programma viene attuato in 27 città e in 300 centri educativi spagnoli. In Malaga è gestito da quattro persone che seguono un centinaio di alunni e le loro famiglie, in contatto coi professori.

Sono loro a coordinare visite ai genitori nelle loro case e i laboratori di recupero scolastico nelle aule, come quello che ogni martedì riunisce Daniel, Yomara, María, Francisco José e altri nell’istituto Portada Alta di Malaga.

“Il punto centrale è combattere l’assenteismo e coinvolgere le famiglie, che non capiscono l’importanza dell’istruzione”, spiega all’IPS la professoressa di biologia Isabel Passas, del centro educativo Guadalmedina, dove l’80 per cento degli alunni è gitano.

Passas si rammarica del fatto che nella maggior parte dei casi le bambine abbandonano gli studi prima dei 14 anni, quando vengono “chieste” in matrimonio – una tradizione della loro etnia – e subito dopo rimangono incinte.

Martín non vuole che Yomara, di 16 anni, si sposi adesso. “Così piccola non la lascio, e nemmeno lei vuole. È una cosa del passato sposarsi e avere figli tanto presto, avrà tutto il tempo”, sottolinea questa donna, che ha nove fratelli. Da bambina, era lei che doveva accompagnare la madre a vendere frutta e abiti per strada.

Molti genitori trovano nei figli un aiuto per la vendita ambulante e fanno interrompere loro gli studi, spiega all’IPS la vicedirettrice del centro di Portada Alta, María Victoria Toscano.

La crisi economica che condanna la Spagna colpisce anche il tradizionale commercio nei mercatini. Secondo Campos, che ha dei parenti in quest’attività, “si riesce appena a vendere qualcosa e c’è una grande concorrenza” d’immigrati.

Secondo lo studio Población gitana, empleo e inclusión social (Popolazione gitana, occupazione e inclusione sociale), pubblicato quest’anno dalla Fsg, la disoccupazione in questo gruppo si è quasi triplicata tra il 2005 e il 2011, fino ad arrivare al 36,4 per cento della popolazione economicamente attiva.

Mentre nel 2005 la disoccupazione gitana era di cinque punti percentuali superiore a quella generale, oggi la differenza è di 14 punti percentuali.

“La crisi ha colpito tutti, ma in modo più grave i più vulnerabili”, afferma García.

Inoltre, il modo in cui la società vede i gitani “continua a essere molto negativo, e si osserva un rifiuto sociale importante”, aggiunge.

Per questo è difficile incoraggiare allo studio bambini che forse non troveranno lavoro perché appartengono a questa minoranza.

Con quattro anni d’esperienza nell’insegnamento a bambini e bambine gitani, il professore di lingua e letteratura Antonio Blanco, del centro Guadalmedina, sottolinea l’importanza di stabilire vincoli emotivi e di creare un ambiente piacevole che incoraggi una partecipazione assidua alle lezioni.

Nonostante tutto, la situazione della comunità gitana in Spagna è molto migliore che nel resto dell’Unione europea.

“Ci sono dei problemi, ma meno che in Francia, Romania o Portogallo”, ammettono all'IPS alcuni membri della Fsg intervistati. I gitani spagnoli beneficiano del diritto all’assistenza sanitaria universale e di programmi di accesso ad alloggi per famiglie a basso reddito.

La maggior parte di loro vive nelle case dei quartieri industriali e solo una piccola parte è in condizioni di forte emarginazione; ma restano vivi gli stereotipi del gitano vagabondo o ladro.

Così ci si domanda fino a che punto integrarsi in una società che discrimina. I parenti di Martín dicono che lei e i suoi si sono “apayoizzati” (i gitani chiamano gli occidentali “payos” o castigliani).

E suo marito crede che “i gitani non devono stare tutti insieme, bensì divisi, per potersi adattare a un altro stile di vita”.