L’Algeria resta fuori dalla Primavera araba

ALGERI, novembre 2012 (IPS) – Mentre la Primavera araba prosegue in Medio Oriente e Nord Africa, i grandi media internazionali trascurano l’Algeria, un paese un tempo conosciuto per il malcontento che regnava tra la popolazione, la lunga e sanguinosa lotta per la decolonizzazione e il fervore rivoluzionario.

La polizia schierata, pronta a disperdere una manifestazione organizzata ad Algeri, in Boulevard Amirouche. Giuliana Sgrena/IPS

La polizia schierata, pronta a disperdere una manifestazione organizzata ad Algeri, in Boulevard Amirouche.
Giuliana Sgrena/IPS

L’Algeria è rimasta insolitamente tranquilla durante l’ondata di insurrezioni popolari nella regione scoppiate nel dicembre del 2010 in Tunisia. Molti spettatori si domandano se e quando anche questo paese esploderà, e quando.

Ma le possibilità che gli algerini scendano in piazza sono scarse, soprattutto perché è ancora fresco nelle menti dei sopravvissuti il ricordo del “decennio nero”, durante il quale circa 200mila cittadini morirono nel fuoco incrociato tra gruppi islamisti belligeranti.

“Non vogliamo che ci considerino ancora dei terroristi come in passato”, ha detto all’IPS il giovane Amir Moussawi, 22 anni, studente all’Istituto di Commercio Internazionale.

Originario della città di Blida, a circa 40 chilometri dalla capitale, Moussawi ha un buon motivo per temere un’insurrezione politica. Tra il 1992 e il 1999, durante il periodo del terrore, Blida fu il baluardo del Gruppo Islamico Armato (Gia), responsabile dell’uccisione di decine di migliaia di algerini.

Nel 2005, una legge di amnistia approvata dal governo di Abdelaziz Bouteflika liberò la maggior parte degli insorti islamisti, nel tentativo di ridurre la violenza tra le due fazioni.

La legge assolse completamente anche l’esercito, accusato di aver ucciso, torturato e fatto sparire diverse migliaia di persone.

La conseguenza di queste misure è che migliaia di responsabili del massacro sono ancora in libertà.

“La maggior parte degli islamisti radicali non partecipa più alla politica”, ha spiegato all’IPS Samira Ababsa, una giovane maestra di una scuola elementare ad Algeri.

“Sono emersi dalla clandestinità o dal carcere con un bottino di guerra, soldi rubati nei 10 anni di terrorismo che implicarono (oltre agli stupri e agli assassini indiscriminati) il saccheggio delle case delle vittime”, ha segnalato.

“Così ora hanno le loro attività commerciali, hanno costruito case per passarci le vacanze e centri commerciali. Ma questo non significa che sia cambiata la mentalità politica”, ha aggiunto.

Dopo il referendum e l’approvazione dell’amnistia nel 2005, alcuni gruppi salafiti hanno continuato a lottare, e la maggioranza si è unita alla rete estremista di Al Qaeda nel Maghreb islamico.

Ali Belhhadj, uno dei personaggi più potenti del Fronte Islamico per la Salvezza Nazionale negli anni ’90, è considerato uno dei capi dei gruppi salafiti attualmente attivi in Algeria.

Moussawi e Ababsa erano dei bambini quando regnò il terrore, ma hanno ancora dei ricordi vivi di quell’epoca.

“Ricordo com’era terrorizzata la mia famiglia. (A volte) non potevamo nemmeno uscire di casa”, ha ricordato la maestra.

Il figlio di un funzionario dell’esercito, che non ha voluto rivelare la sua identità, ha detto all’IPS che le donne rischiavano di provocare l’ira degli islamisti e che i giovani correvano il pericolo o di essere reclutati nei gruppi armati o di essere assassinati, se sospettati di lealtà verso l’esercito.

Tutti questi giovani sono d’accordo nell’affermare che durante il decennio nero non hanno condotto una vita normale. Nessuna regione del paese, a nessun’ora del giorno, era sicura. Gli attacchi iniziavano dopo che aveva fatto buio nei villaggi, mentre si svolgevano in pieno giorno nelle città.

Questo lungo incubo, che si chiuse con il perdono dei responsabili per i loro crimini, che oggi camminano liberamente tra i familiari delle vittime, spiega perché molte persone di questo paese di 29 milioni di abitanti sembrano essere “vaccinate contro le proteste e le manifestazioni”, ha detto all’IPS Cherifa Kheddar, presidente di l’associazione dei familiari delle vittime del terrorismo “Djazairouna” (Nostra Algeria).

Un altro motivo della relativa calma sul fronte algerino può essere la stabilità della situazione economica rispetto agli altri paesi della regione. Nonostante anche l’Algeria abbia le sue disuguaglianze, è riuscita a gestirle per mantenersi a galla durante la recessione mondiale.

Gli idrocarburi sono ancora la colonna portante dell’economia: rappresentano il 70 per cento del prodotto interno lordo e il 98 per cento del volume totale delle esportazioni nel 2011, secondo i dati di www.africaneconomicoutlook.org.

I guadagni ricavati dalla vendita degli idrocarburi hanno fatto crescere la valuta di riserva fino a 182,2 miliardi di dollari quest’anno.

Anche se la produzione di petrolio e gas è ancora in discesa, dopo il calo da 43,2 a 32 milioni di tonnellate tra il 2007 e il 2011, i prezzi sono aumentati in modo costante.

L’economia algerina è cresciuta di un 2,6 per cento nel 2011. Proprio mentre la popolazione che reclamava la fine della stagnazione economica si riversava nelle strade di paesi vicini come la Tunisia e l’Egitto, il governo algerino alzava i salari e sovvenzionava alloggi per i poveri.

L’Algeria ha anche una società civile relativamente “aperta” rispetto agli altri paesi della regione. Esiste uno spazio significativo per il dibattito politico, ha detto Moussawi all’IPS, e gli studenti, blogger e membri della rete sociale Facebook usano internet per scambiarsi informazioni sul clima politico attuale senza che le autorità intervengano più di tanto.

Ma il paese ha anche i suoi problemi.

La disoccupazione generale era del 10 per cento nel 2011, mentre tra gli algerini tra i 15 e i 24 anni ha raggiunto il 21,5 per cento nello stesso periodo.

Nel 2006, quando per l’ultima volta si riuscì ad ottenere dei dati ufficiali, la povertà era al 23 per cento.

Il mercato informale continua a prosperare: l’anno scorso le sue transazioni hanno totalizzato 35mila milioni di dollari, secondo le dichiarazioni dell’economista Rachid Seddak al quotidiano El Watan nell’edizione del 16 ottobre.

La corruzione è molto diffusa in tutti gli strati del governo, dalle amministrazioni statali a quelle locali, e nelle aziende pubbliche e private. Secondo l’Indice di Percezione della Corruzione 2011 dell’organizzazione Transparency International, l’Algeria è al 112° posto su 183 paesi.

Gli algerini non prendono queste ingiustizie alla leggera. Diversi gruppi e organizzazioni che cercano di manifestare contro il governo sono stati eliminati dall’apparato di sicurezza, formato da circa 500mila effettivi distribuiti tra esercito, unità di polizia e gendarmeria.

Dato che la maggior parte della popolazione è ancora tormentata dai fantasmi del passato, è improbabile che si avventuri in un confronto aperto con le Forze Armate o che si arrischi a iniziare un nuovo capitolo violento della storia del paese.

“Non vogliamo tornare agli anni ’90, e anche se vorremmo lottare contro la corruzione, per la giustizia, la libertà e la democrazia, noi algerini siamo ancora traumatizzati. Abbiamo bisogno di più tempo per superare gli effetti di 10 anni di violenza”, ha detto all’IPS la professoressa di psicologia Cherifa Salhi, dell’Università d’Algeri, specializzata nelle terapie per le donne vittime di violenza. © IPS