MEDIORIENTE: Salvare dal mare e dall’assedio

SHEIK RAJLEEN, Gaza, 18 agosto 2011 (IPS) – È una mattina soleggiata a Gaza e sebbene sia un giorno lavorativo, sulla spiaggia di Sheik Rajleen ci sono abbastanza persone per tenere in allerta e indaffarati i pochi bagnini della Gaza occupata. Da una semplice capanna di legno rialzata, una squadra di tre bagnini controlla il mare, gridando continuamente ai bagnanti di restare in acque più tranquille.

Con l'assedio, i bagnini di Gaza hanno creato un loro kit di primo soccorso Eva Bartlett/IPS.

Con l’assedio, i bagnini di Gaza hanno creato un loro kit di primo soccorso
Eva Bartlett/IPS.

“Ho imparato a nuotare da quando ho cominciato a camminare”, dice Ahmed el Basha, 42 anni, uno dei bagnini di Sheik Rajleen.

“Sono un pescatore, come mio padre e mio nonno. Quasi tutti i bagnini di Gaza provengono da famiglie di pescatori, perciò sanno nuotare bene. Ma frequentiamo anche corsi di pronto soccorso e assistenza in mare della Protezione civile”.

Nella Striscia di Gaza occupata, sotto assedio da quando nel 2006 Hamas vinse democraticamente le elezioni, il mare è una delle poche occasioni di svago e relax. È anche un’occasione per rinfrescarsi quando la Striscia subisce i quotidiani tagli di corrente.

“Qui pochissime persone hanno la possibilità di prendere lezioni di nuoto. Se avessero i soldi potrebbero farlo, ma la maggior parte non riesce nemmeno a sfamare la propria famiglia, meno che mai può permettersi di prendere lezioni”, dice Basha.

Secondo Abu Assam Masharawi, un altro bagnino della zona, questa è la causa principale degli incidenti in mare a Gaza.

“Quando vediamo una persona che evidentemente non sa nuotare, gli chiediamo di non allontanarsi dalla riva. Nessuno è annegato quest’anno mentre eravamo di guardia”.

Ma in tutta la Striscia di Gaza ci sono stati almeno tre casi di annegamento quest’anno.

“Il rischio è nuotare nelle ore più tarde. Alcune persone preferiscono nuotare di sera: le donne, quando non ci sono uomini nei paraggi, oppure chi può venire solo dopo il lavoro”, dice Masharawi.

“Noi diciamo alla gente di non fare il bagno in assenza di un bagnino, ma non sempre ci ascoltano”, dice Abu Nidal, 44 anni, che lavora poche centinaia di metri più a sud della spiaggia di Rajleen Sheik.

“La scorsa notte, verso le 9 di sera, quando i bagnini avevano terminato il turno, un uomo si è spinto troppo al largo, non sapeva nuotare ed è annegato”.

A parte garantire la sicurezza pubblica, il maggiore ostacolo che un bagnino di Gaza deve affrontare è l'assedio.

“Sono addestrato per le immersioni subacquee – racconta Masharawi -, ma non abbiamo bombole di ossigeno: sono vietate dagli israeliani per motivi di sicurezza, come previsto dagli accordi di Oslo. Non abbiamo neanche un kit di emergenza, anche se io ne ho progettato uno basandomi su un modello che mi ha portato un amico americano. Almeno adesso abbiamo dei galleggianti di salvataggio”.

Come per ogni altro aspetto della vita nella Striscia, i continui tagli di corrente si ripercuotono anche sul lavoro dei bagnini.

“I megafoni non funzionano quando l’elettricità viene tagliata, e non riusciamo a gridare abbastanza forte per avvisare i bagnanti di avvicinarsi alla riva se vediamo che sono in pericolo”, aggiunge, mentre un altro bagnino agita le braccia e usa il fischietto per far allontanare i bagnanti dalle onde più alte.

Se i bagnini hanno anche i microfoni è soprattutto grazie ai tunnel dall'Egitto.

“Un microfono costa normalmente 500 shekel (180 dollari), ma visto che è dovuto arrivare attraverso il tunnel, lo abbiamo pagato 1.300 shekel”, osserva Abu Nidal.

“Non abbiamo acquascooter che ci permettano di raggiungere velocemente le persone in difficoltà. Sono vietati dagli accordi di Oslo”, dice Masharawi.

“Abbiamo un motoscafo, ma il carburante è sufficiente solo per metterlo in funzione il venerdì, quando la spiaggia è piena. In ogni caso, una barca per tre chilometri di spiaggia non è abbastanza. Se dobbiamo raggiungere una vittima a due chilometri dal punto in cui si trova la barca, rischiamo di arrivare quando è ormai troppo tardi”.

C’è un problema di fondi, spiega Masharawi, oltre alla carenza di personale che lavora sulla spiaggia di Sheik Rajleen. Le considerazioni di Masharawi, anche se si riferiscono alla sua zona, valgono in realtà per tutte le altre località lungo la costa, costrette alle stesse limitazioni a causa dell'assedio”.

“Nella fascia costiera di Sheik Rajleen, lunga circa tre chilometri, ci sono dieci stazioni di salvataggio, che è una buona percentuale. Ma non abbiamo abbastanza bagnini per ogni stazione. Abbiamo bisogno di più sostegno: finanziamenti e formazione sono stati ridotti con l'assedio di Gaza. Molti dei nostri bagnini sono volontari”, dice Masharawi, lui stesso un volontario.

Ma nonostante i tanti ostacoli legati all'assedio, Masharawi e i suoi colleghi amano il loro lavoro.

“Una volta ho salvato quattro persone che si erano allontanate troppo. Poi ho capito che c'era una quinta che era rimasta in acqua. Grazie a Dio sono riuscito a tirarla fuori e stava bene”, racconta.

“Come per la Protezione Civile e i medici di Gaza, il nostro lavoro ci rende orgogliosi perché è un lavoro umanitario, ancora più difficile da svolgere in una Gaza assediata e con i continui attacchi israeliani”.

“Questo lavoro significa lavorare per la nostra comunità e per Dio. Mi piace moltissimo e penso sia un mio dovere. Il mare è uno dei pochi luoghi dove la gente di Gaza può rilassarsi. Deve essere un luogo sicuro”. © IPS