Anche la Giordania barcolla

BEIRUT, 10 febbraio 2011 (IPS) – L’ondata di contestazione politica che nelle ultime settimane ha scosso parte di Medioriente e Nord Africa ha raggiunto il Regno hascemita di Giordania. Qui, il movimento di protesta iniziato sulla scia della rivoluzione del gelsomino in Tunisia, evidenzia le esigenze della popolazione che chiede una riforma politica.

Un movimento di malcontento per l’aumento dei prezzi si era già diffuso a gennaio nella città di Theiban, a sud di Amman. Circa 200 manifestanti hanno chiesto al governo di assumere il controllo sui prezzi e aumentare le iniziative anti-corruzione. Il movimento ha raggiunto il suo apice con le proteste scoppiate a Karak e Irbid.

Alla fine di gennaio, ad Amman si sono radunate 3.500 persone, guidate dai gruppi d’opposizione islamici, organizzazioni di sinistra e sindacati, per denunciare le politiche del primo ministro Samir Rifai.

L’economia giordana ha un deficit di 1,6 miliardi di dollari. È largamente dipendente dagli investimenti e dagli aiuti esteri che finanziano i deficit di bilancio, mentre povertà e disoccupazione dilagano.

L’annuncio di Rifai di un pacchetto di sussidi di 550 milioni di dollari per carburante e prodotti di base – come riso e zucchero – non è riuscito a placare la rabbia della gente. Il Re Abdullah II lo ha velocemente costretto alle dimissioni sciogliendo il governo.

“C’è un crescente sentimento di disuguaglianza tra l’elite economica, che è corrotta, e il resto della popolazione”, commenta Mohamad Al-Masri, ricercatore presso il Centro di studi strategici dell’Università di Giordania. Nelle campagne giordane la povertà è più evidente, mentre la facoltosa elite degli affari vive nei quartieri ricchi di Amman, dice Masri.

Nelle ultime settimane, le richieste dei dimostranti si sono trasformate in un’esigenza di maggiori riforme politiche. “Vogliamo un governo scelto dalla maggioranza del popolo giordano, e vogliamo un equilibrio di poteri. Continueremo la protesta finché le nostre richieste non verranno prese sul serio”, ha dichiarato al Jordan Times Hamzah Mansour, segretario generale del Fronte d’azione islamico (IAF), braccio politico dei Fratelli musulmani giordani.

L’opposizione, incoraggiata dal IAF, ha chiesto la dissoluzione del parlamento giordano, che, sostengono, avrebbe assunto il potere nelle elezioni del 2009, giudicate fraudolente. Chiede inoltre una nuova legge elettorale che rispetti la rappresentanza proporzionale, così come una revisione della legge sui raduni pubblici.

“Chiedono anche la riattivazione della costituzione del 1952, che prevedeva una maggiore capacità di controllo del legislativo sull’esecutivo”, dice Masri.

Oggi, il potere è concentrato prevalentemente nelle mani del re, che nomina il primo ministro e può sciogliere sia il parlamento che il governo.

L’appello del IAF è stato ripreso dai blog politici di tutta la Giordania. Il blogger Khadder, autore del blog “Jordanian Issues”, ha chiesto perché il re può cacciare tanto facilmente un primo ministro “che aveva ottenuto il 95 percento dei voti parlamentari?”. Ha anche messo in dubbio il ruolo delle istituzioni di governo e la loro legittimità.

Un problema che alimenta il risentimento popolare in Giordania è la scarsa rappresentatività della popolazione palestinese, stimata intorno al 40 percento di quella totale. I palestinesi di Giordania furono esiliati dalla Palestina dopo la creazione dello Stato di Israele, nel 1948. “La rappresentanza palestinese in parlamento è attualmente inferiore al 18 percento”, ha detto Masri.

L’attuale legge elettorale – che rispetta un’attenta divisione delle diverse regioni giordane – si ritiene che favorisca i beduini trans-giordani fedeli al re, rispetto ai giordani-palestinesi.

Tentando di diffondere la tensione, il Re Abdullah ha sostituito Rifai con Maarouf Al-Bakhit come nuovo primo ministro.

All’inizio di questa settimana, Abdullah ha anche promesso che il nuovo governo avrebbe aperto un dialogo nazionale sulla riforma politica, per combattere la corruzione e rivedere la legge elettorale giordana restrittiva, per poter coinvolgere un maggior numero di fazioni politiche. Inoltre, il re ha incontrato i leader islamici, in un’iniziativa senza precedenti, compresi quelli appartenenti al IAF, e i Fratelli musulmani.

“Questo incontro è stato molto interessante a livello simbolico perché non avveniva da oltre nove anni”, prosegue Masri.

Sembra che il primo ministro Bakhit abbia detto al parlamento che la legge sui raduni pubblici verrà modificata, in modo che i grandi incontri non avranno più bisogno del permesso del ministero dell’Interno e dei governatori.

Bakhit ha anche teso la mano ai Fratelli musulmani, offrendo posti nel nuovo governo, che però sono stati rifiutati.

Nonostante le promesse di riforma politica, il nocciolo del problema è se la Giordania si trova di fronte a un destino simile a quello di Egitto e Tunisia.

Il professor Hilal Khashan dell’Università americana di Beirut non crede: “La Giordania è un paese fondamentalmente diverso dalla Tunisia. È improbabile una rivolta perché le divisioni interne e le rivalità tra giordani e giordano-palestinesi sono troppo forti”. Khashan sottolinea che le proteste nel Regno hascemita puntavano soprattutto al governo del primo ministro Samir Rifai evitando di attaccare il Re Adbullah II.

Masri non è d’accordo. “L’esempio egiziano – dove una popolazione musulmana convive con quella copta cristiana – ha mostrato che i movimenti di protesta possono alla fine far girare la corrente anche in società frammentate”. © IPS