Contro la pena di morte, un nuovo attore entra in scena

BARCELLONA, 18 gennaio 2011 (IPS) – La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1948, riconosce il diritto di ogni individuo alla vita (Art. 3) e afferma categoricamente: “Nessun individuo può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti” (Art. 5).


La pena capitale è in effetti la negazione più estrema dei Diritti Umani: viola il diritto alla vita, che è un diritto supremo, giacché l’esercizio di qualsiasi altro diritto presuppone il fatto di esistere. È il castigo più crudele, inumano e degradante. La pena di morte è, spesso, discriminatoria, sproporzionata e arbitraria e, soprattutto, può essere ingiusta, indebita.

Le Nazioni Unite hanno stabilito, attraverso patti e accordi internazionali, termini rigidi entro i quali poter eventualmente applicare la pena di morte in quei Paesi che non avessero ancora deciso l’abolizione.

Come segnala il Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite dello scorso agosto, si conferma una solida e costante tendenza mondiale verso l’abolizione della pena capitale. Attualmente, più dei due terzi dei paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica.

La comunità internazionale ha approvato quattro trattati abolizionisti, il primo di ambito internazionale, gli altri tre regionali.

Lo Statuto della Corte Penale internazionale, adottato nel 1998, esclude la pena capitale, eccetto per alcuni reati estremamente gravi come i crimini contro l’umanità, tra cui il genocidio e la violazione delle leggi che regolano i conflitti armati. Lo stesso hanno fatto i Tribunali speciali per l’ex Yugoslavia, il Ruanda, Timor Est o le Camere straordinarie per la Cambogia.

A livello scientifico, non sono mai state prodotte prove convincenti del fatto che le esecuzioni abbiano un effetto dissuasivo più efficace di altre pene. Uno studio realizzato dalle Nazioni Unite nel 1988 e aggiornato nel 1996 e 2002, conclude: “…la ricerca non è riuscita a dimostrare scientificamente che le esecuzioni abbiano un maggiore effetto deterrente rispetto all’ergastolo. E non è probabile che ci riuscirà in futuro. L’ipotesi della dissuasione non è supportata da nessuna prova scientifica nell’insieme”.

La pena di morte è irreversibile, e nessun sistema giuridico può evitare la condanna di persone innocenti. Finché essa verrà accettata come forma legittima di castigo, esisterà la possibilità che se ne faccia un cattivo uso politico. Solo l’abolizione può garantire che questo non accada.

Nel dicembre 2007 e 2008, l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato, rispettivamente, le Risoluzioni 62/149 e 63/168, nelle quali si chiede una moratoria mondiale. Nella risoluzione del 2008 si esorta gli Stati in cui la pena di morte è ancora vigente a:

“Rispettare le norme internazionali che prevedono garanzie per la protezione dei diritti delle persone condannate a morte, in particolare le norme minime;

Limitare progressivamente l'uso della pena di morte e ridurre il numero dei crimini passibili di pena di morte; e

Stabilire una moratoria sulle esecuzioni capitali in vista della definitiva abolizione della pena di morte”.

Alla fine del 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una terza Risoluzione sulla moratoria e sull’uso della pena di morte, con nuove adesioni che ratificano la tendenza abolizionista.

Per contribuire ad accelerare questo processo, e integrare l’azione delle istituzioni già esistenti delle Nazioni Unite e delle Ong, tanto nell’ambito internazionale come in quello regionale, è stata creata di recente, con il sostegno del Presidente del governo spagnolo, la Commissione internazionale contro la pena di morte, che sono onorato di presiedere. È formata da eminenti personalità e gode dell’appoggio di un gruppo importante di paesi favorevoli all’approvazione di una moratoria generale entro il 2015, in vista dell’abolizione della massima pena, irreversibile.

I Diritti Umani sono indivisibili, e nessuno stato o individuo può pretendere di godere di alcuni di essi senza esercitarne altri. È molto importante, per dare un esempio a livello mondiale, riuscire a fare in modo che i 36 stati mantenitori degli Stati Uniti e che continuano, in alcuni casi, a giustiziare prigionieri che da anni e anni vivono nel “corridoio della morte”, riconsiderino la loro posizione.

Anche la Cina rappresenta una particolare preoccupazione, visto che esistono prove, anche scritte, di esecuzioni “in serie”, ma come per altri casi non viene fornita nessuna informazione al riguardo. È inaccettabile che un paese che è diventato la “fabbrica del mondo” e ha un immenso potere finanziario per la sua posizione commerciale privilegiata, non rispetti i principi più elementari di trasparenza che il “villaggio globale” esige. Quando alcuni dittatori sostengono che la pena di morte sia “acclamata dal popolo” è perché hanno divulgato, attraverso i mezzi di comunicazione, informazioni parziali, prive di ogni rigore.

Dobbiamo collaborare tutti: governanti, parlamenti, mezzi di comunicazione, comunità intellettuale e artistica, qualunque siano le nostre credenze e ideologie, così che l’orrore della pena di morte sparisca presto dalla faccia della Terra. Quello sarà un giorno luminoso per l’umanità. © IPS

(*) Federico Mayor Zaragoza, Presidente della Fundación Cultura de Paz, Presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte e ex Direttore Generale dell’UNESCO.