CLIMA: Giustizia climatica da Cochabamba a Cancún

SANTIAGO, CILE, 22 settembre 2010 (IPS) – La controversa agenda sul clima proposta alla conferenza di Cochabamba lo scorso aprile dal governo boliviano e dalla società civile, è riuscita a farsi strada fino al tavolo dei negoziati ufficiale delle Nazioni Unite, ma la possibilità che venga adottata come accordo vincolante appare remota, sostengono alcuni attivisti.

Una spiaggia dei Caraibi a Tulum, Messico Mauricio Ramos/IPS

Una spiaggia dei Caraibi a Tulum, Messico
Mauricio Ramos/IPS

L’accordo approvato dalla Conferenza mondiale dei popoli sul cambiamento climatico e i diritti della madre terra, nella città boliviana di Cochabamba, è stata una risposta, basata sull’idea di giustizia climatica, agli scomposti negoziati ufficiali per un nuovo patto mondiale vincolante sul clima.

Il fallimento ufficiale era già evidente alla fine dell’anno scorso, alla 15esima Conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP15) di Copenhagen.

Ad agosto, il governo boliviano di Evo Morales ha accolto positivamente la decisione annunciata dal Gruppo permanente sulla cooperazione a lungo termine della Convenzione in un incontro a Bonn, Germania, di includere nel testo da negoziare più di dieci delle proposte emerse a Cochabamba. Tra queste, istituire un tribunale internazionale sulla giustizia climatica, definire il limite dell’aumento della temperatura media globale a un grado Celsius, e la conseguente limitazione della concentrazione di CO2 nell’atmosfera a 300 parti per milione (ppm).

L’atmosfera terrestre presenta al momento una concentrazione di 387 ppm di questo gas responsabile dell’effetto serra. Secondo gli scienziati, se non si riuscirà a stabilizzare questo indicatore entro 350 ppm, la temperatura globale salirà di due gradi, con conseguenze catastrofiche.

A Bonn si è anche parlato della possibilità di tagliare del 50 percento le emissioni di gas serra dei paesi industrializzati nella seconda fase del Protocollo di Kyoto, dal 2013 al 2017, e dell’idea di diritti della Madre terra, dei popoli indigeni e dei migranti climatici. Al centro dei negoziati, il tema dell’impegno concreto che i paesi ricchi sarebbero disposti ad assumere rispetto alla quantità specifica di riduzione delle emissioni inquinanti.

Nel testo si parla anche di discutere altre questioni sollevate a Cochabamba, come l’esclusione dei meccanismi di mercato dalle attività legate alla forestazione, e la non trasformazione delle foreste naturali in piantagioni a monocoltura forestale.

Al tempo stesso, i negoziatori si sono detti aperti a prendere in considerazione delle misure per escludere la protezione della proprietà intellettuale sul trasferimento di tecnologie per la mitigazione del cambiamento climatico.

Il testo verrà discusso il 4 e il 9 ottobre a Tianjin, nel nordest della Cina, e poi portato alla 16esima Conferenza delle parti della convenzione (COP16) a Cancún, Messico (tra il 29 novembre e il 10 dicembre).

“Le proposte presentate al vertice di Cochabamba sono state incluse, perciò verranno senz’altro prese in considerazione”, ha detto la colombiana Lyda Fernanda Forero, della Alleanza sociale continentale (HSA), che riunisce reti e organizzazioni non governative dal Canada al Cile.

Ma “la mancanza di volontà dei paesi sviluppati è rimasta inalterata, e il dibattito proseguirà negli stessi termini di sempre, portando difficilmente a decisioni vincolanti”, ha detto Forero.

“Benché sia legittimo e molto positivo che i contenuti dell’Accordo dei popoli siano stati portati all’ambito ufficiale dei negoziati, non si intravede la possibilità reale che vengano inclusi negli accordi, se ce ne saranno, a Cancún”, ha concordato Eduardo Giesen, coordinatore della Alianza por la Justicia Climática del Cile.

Secondo Stanislaw Czaplicki, co-fondatore del gruppo non governativo Reacción Climática della Bolivia, “nessun tema riceverà un consenso sufficiente per potersi trasformare in una proposta concreta e approvata”.

A Cancún, sostiene, ci sarà lo spazio per discutere temi scientifici, tecnologici e finanziari “ma non c’è né si chiede che vi sia uno spazio in cui parlare di geopolitica economica”, e questo a suo parere è alla base delle controversie.

Il pessimismo degli attivisti latinoamericani si somma alle divisioni interne con cui si presenteranno in Messico.

A Cancún ci saranno almeno tre diversi spazi per i forum alternativi alla COP16. Una cinquantina di Ong, tra cui la fondazione tedesca Heinrich Böll, hanno creato il Dialogo Climatico-Spazio messicano, cui parteciperà l’Alleanza sociale continentale.

Un altro gruppo parteciperà al Klimaforum 2010, ripetendo l’esperienza della COP15 e con una dichiarazione politica molto vicina a Cochabamba. Mentre il movimento globale dei gruppi di lavoratori e produttori rurali di La Vía Campesina avrà un proprio accampamento a Cancún.

Quelle di Cochabamba “sono proposte radicali e temiamo che possano radicalizzare i negoziati e che vi sia un rischio di rottura”, ha affermato Jorge Villarreal, coordinatore dei Programmi dell’ufficio regionale per il Messico, Centroamerica e Caraibi e membro della Fondazione Heinrich Böll.

Ciononostante, ha anche riconosciuto “dei punti di intesa, come il fatto che la Convenzione Onu amministri i fondi globali, cambiare il modello di consumo nei paesi sviluppati e creare un tribunale climatico”.

L’agenda dei popoli “non passerà nell’accordo di Cancún, perché (i paesi) sono più interessati a discutere altri temi, come i meccanismi di mercato”, ha dichiarato Alberto Gómez, coordinatore della filiale nordamericana de La Vía Campesina.

Secondo Forero, “alla COP16 si creeranno nuovamente tensioni per cercare di imporre l’Accordo di Copenhagen”, preparato all’ultimo momento alla COP15 da Brasile, Cina, Stati Uniti, India e Sudafrica, che non impone tagli definiti di emissioni né è vincolante.

L’accordo ha “raccolto anche le firme di molti paesi e regioni meno sviluppati e più vulnerabili, che lo considerano l’unico modo per ottenere risorse, seppure scarse, per affrontare l’impatto del cambiamento climatico”, ha detto Giesen.

In questo contesto, gli attivisti puntano a costruire altre alleanze e a proporre nuove alternative al modello dominante, già nel prossimo incontro del Gruppo dei 20 paesi ricchi ed emergenti previsto per l’11 e il 12 novembre a Seul, ha anticipato Forero.

Per Giesen, presto o tardi “il movimento per la giustizia climatica confluirà nei paesi del Sud con altri settori della società civile per cercare di influenzare le politiche pubbliche ed emergere come attore politico a livello nazionale”.

A sua detta, questo spazio di trasformazioni nazionali, e non l’ambito internazionale, è “l’unica possibilità reale per far convergere le posizioni della società civile, sempre più contrarie al sistema, e quelle degli Stati”. © IPS