CILE: Il carbone della discordia

SANTIAGO, 31 agosto 2010 (IPS) – Mentre sono in corso gli sforzi per recuperare i 33 uomini intrappolati a 700 metri sotto terra nella miniera di Copiago, nel nord del Cile, i sindacati chiedono ai leader politici del paese di affrontare il problema della sicurezza dei lavoratori.

“Abbiamo applaudito il governo quando si è impegnato nella ricerca dei nostri compagni”, dice Nestor Jorquera presidente del sindacato dei minatori CONFEMIN. “Siamo rimasti uniti perché volevamo capire la situazione. Dopo aver saputo che sono vivi, dobbiamo dire basta a tutti questi abusi”.

Il CONFEMIN rappresenta più di 18mila lavoratori impiegati nelle miniere di piccole, medie e grandi dimensioni del Cile, il maggiore produttore al mondo di rame.

Il 5 agosto, 32 minatori cileni e un boliviano sono rimasti intrappolati nella miniera di rame e oro di San José, nella regione nord di Atacama, dopo un’esplosione. San Esteban, la compagnia cilena proprietaria della miniera, dichiara di essere sull’orlo della bancarotta e di non poter assicurare lo stipendio ai minatori intrappolati sotto terra.

Dopo ripetute trivellazioni nel tentativo di trovare il rifugio presso il quale si pensava si trovassero i minatori, finalmente si è sentito un rumore proveniente dal basso e, dopo 17 giorni dal collasso del tunnel, una sonda mandata in esplorazione ha portato indietro un messaggio dei minatori attraverso il quale comunicavano di essere sopravvissuti.

Il governo di Sebastian Piñera ha annunciato che occorreranno dai 2 ai 4 mesi per riuscire a riportare in salvo i lavoratori fuori dalla miniera.

Jorquera ha detto che ratificare la Convenzione Internazionale 176 dell’Organizzazione del Lavoro in merito alla sicurezza e alla salute dei lavoratori in miniera sarebbe l’unico modo per i leader politici del paese di mostrare che l’interesse espresso in questi giorni circa il miglioramento delle condizioni dei lavoratori sia reale.

La Convenzione, ratificata da 24 paesi -in America Latina, solo da Brasile e Perù- è stata adottata nel 1995 ed è entrata in vigore nel 1998. Agli stati firmatari è stato chiesto di legiferare sulla sicurezza dei minatori e di far valere quelle stesse normative che sono state violate nella miniera di San José come per esempio l’obbligo di avere 2 vie di fuga.

“Se i minatori lavorassero in luoghi non sicuri, grazie alla convenzione potrebbero denunciare la situazione e smettere di lavorare, e sarebbero protetti”, dice Jorquera. “Ma se succedesse adesso, in qualunque miniera cilena si rischierebbe di essere uccisi”.

Comunque, la ratifica della Convenzione non fa parte delle iniziative annunciate da Piñera in risposta all’incidente nella miniera che ha focalizzato l’attenzione internazionale e che al momento è sotto indagine.

Il 23 agosto, il presidente ha istituito una Commissione per la Sicurezza sul Lavoro, formata da 8 esperti che studieranno le normative del lavoro relative alla sicurezza e alla salute per i prossimi 3 anni.

Il 27 agosto è stata anche nominata una nuova sovraintendenza dell’industria mineraria con il compito di monitorare i permessi e gli standard di sicurezza nelle miniere, la ricostituzione del Servizio nazionale geologico per le miniere, un aumento dei fondi per gli imprevisti e la costituzione di un Comitato composto da 9 consiglieri esperti che analizzi il sistema delle regolamentazione delle miniere nel paese.

Ma la Confederazione dei lavoratori (CUT), la più grande del paese, e la coalizione dei Partiti Democratici di sinistra, che ha governato in Cile dal 1990 fino allo scorso marzo, ha denunciato l’assenza nei comitati di leader sociali e del lavoro.

Al di là della ratificazione della convenzione 176, Jorquera ha richiamato l’attenzione sulle “debolezze delle leggi cilene riguardo al lavoro”, che indeboliscono i sindacati del commercio, minano gli scioperi e favoriscono situazioni in cui i lavoratori in subappaltato non godono degli stessi benefici degli impiegati fissi.

“Ciò che sta accadendo adesso è la conseguenza di una legislazione debole. Non voglio incolpare questo governo, il problema esiste da molto tempo. Non c’è una volontà reale di cambiare le cose”.

“La principale responsabilità dell’incidente è attribuibile alla mancanza di coscienza degli affaristi e al fallimento dello Stato nel frenare le violazioni contro i diritti dei lavoratori”, ha detto Jorquera.

Nel caso della miniera di San José, molti lavoratori sono stati uccisi negli ultimi anni, e la miniera è stata chiusa più volte per le violazioni alla sicurezza. Solo poche settimane prima del crollo del tunnel, un minatore aveva perso una gamba a causa dalla caduta di alcune rocce. Ma dopo ogni incidente l’impresa è stata sempre riattivata.

Nel 2009, in un paese di 17 milioni di abitanti, si sono verificati un totale di 191,685 incidenti sul lavoro, e 443 decessi. E 155 lavoratori sono morti per incidenti sul lavoro solo nel primo trimestre dell’anno.

“Le nostre leggi e regolamentazioni sono relativamente rigide e precise, sebbene ci siano possibilità di miglioramento. Il vero problema è un altro”, afferma Carmen Espinoza, capo della Ong Programa de Economía del Trabajo (PET).

A suo parere, il il problema è “la mancanza di una cultura di prevenzione negli affari e in particolare tra i lavoratori, che badano maggiormente a tenersi il lavoro piuttosto che lottare per la propria sicurezza”.

“A questo si aggiunge la scarsa applicazione delle norme e la supervisione”, ha aggiunto.

“In termini di ‘sicurezza sul lavoro’, siamo lontani dal vedere un ritorno attivo del ruolo dei sindacati del commercio come in passato” per mancanza di informazione, formazione e forza”, ha detto Espinoza.

“Noi crediamo che un miglioramento dell’organizzazione del lavoro contribuirebbe a rafforzare le norme di sicurezza, al di là delle sanzioni che le aziende potrebbero trovarsi di fronte”, dice Marco Canales, consulente nazionale CUT.

“I lavoratori non hanno una protezione legale e non c’è unione, i membri del comitato sicurezza all’interno delle compagnie spesso finiscono per essere licenziati quando segnalano irregolarità. Noi crediamo che il governo non si stia minimamente occupando di questi temi”, continua Canales.

Secondo le statistiche ufficiali, nel 2009 solo il 12,5 per cento della forza lavoro cilena era sindacalizzato, ben al di sotto della media dei paesi industrializzati riuniti nell’Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico (OECD), a cui il Cile ha aderito quest’anno. © IPS