Africa: L’accordo di Cotonou come motore per lo sviluppo della società civile nel continente

Equilibri.net, 26 agosto 2010 (Equilibri) (IPS) – Il 10 luglio si è concluso ad Addis Abeba, in Etiopia, l’undicesimo Seminario regionale dei gruppi di interesse economici e sociali dei Paesi ACP-UE. L’evento è un ottimo spunto per riflettere sul ruolo degli attori non statali nel continente africano. Riconosciuta come protagonista dello sviluppo e della democratizzazione in Africa dal Cotonou Agreement, la società civile soffre ancora di scarsa considerazione istituzionale e debolezze strutturali. Piccole storie di successo, però, non mancano.

L’accordo di Cotonou: cornice legale per uno sviluppo democratico

Carenza nell’informazione e nella consultazione degli attori non statali; necessità di un maggiore e più efficace coinvolgimento degli agricoltori per rafforzare il settore primario; proposta di annoverare la sicurezza alimentare tra i diritti umani: queste sono le più importanti conclusioni del seminario regionale tenutosi in Etiopia per rafforzare la cooperazione strategica tra i Paesi ACP e l’Unione Europea. L’Africa gioca un ruolo da protagonista nel partenariato europeo così come stabilito nel 2000 dall’accordo di Cotonou e non può permettersi di sprecare l’ottima occasione di crescita democratica ed economica che l’intesa rappresenta.

Il Presidente della Commissione ACP-EU del Comitato economico e sociale europeo, Luca Jahier, insiste sulla necessità imprescindibile che la strategia UE-Africa sia “people centred”, cioè focalizzata sulla partecipazione attiva della società civile. E’ proprio questo il punto innovativo introdotto dall’accordo di Cotonou. Dal 2003, anno della sua entrata in vigore, l’intesa firmata nella città del Benin è stata la cornice istituzionale ed operativa della cooperazione europea con 79 Paesi. Revisionato due volte, nel 2005 e nel 2010, l’accordo di Cotonou rafforza ed innova anni di partenariato con i Paesi in via di sviluppo africani, caraibici, del Pacifico, prendendo il posto delle convenzioni di Yaoundé e di Lomé. L’accordo attuale stabilisce la cooperazione nei settori economico, finanziario e del dialogo politico, introducendo un nuovo approccio partecipativo. La partecipazione, principio fondamentale della cooperazione tra l’Ue ed i Paesi APC, è intesa nell’articolo 2 come lo strumento primario per incoraggiare l’integrazione di tutti i rami della società, dal settore privato alle organizzazioni civili. È l’articolo 6 a specificare gli attori della cooperazione. Accanto agli organi statali, nazionali e regionali, viene menzionata tutta l’area non statale: settore privato, partner economici e sociali tra i quali i sindacati, altre forme organizzate di società civile.

Riconosciuti e legittimati come interlocutori essenziali dall’accordo, agli attori non statali spetta, così come previsto dall’articolo 4, di essere informati e consultati sulle strategie nazionali da intraprendere; di ricevere risorse finanziarie nelle circostanze necessarie; di essere coinvolti in modo attivo nell’attuazione di progetti, soprattutto in aree di maggiore competenza delle istituzioni civili; di ottenere supporto per migliorare settori fondamentali quali l’organizzazione, i meccanismi di consultazione, i canali di comunicazione e di dialogo.

La cooperazione auspicata dall’accordo di Cotonou, quindi, si prefigge un duplice obiettivo e, per questo, risulta innovativa: da una parte, l’intesa vuole stimolare lo sviluppo economico e sociale in aree del mondo, quale l’Africa sub-sahariana, carenti in strutture e conoscenze tecniche; dall’altra, l’accordo mira a creare società interne consapevoli, attive, vere portatrici di democrazia. È per questo che la partecipazione dei nuovi attori è considerata fondamentale. Se un governo nazionale esclude la società civile dalle politiche di cooperazione, l’UE ha la possibilità di sanzionare la cattiva governance decidendo di ridurre, eventualmente, le risorse future da erogare.

L’accordo di Cotonou ha sicuramente favorito la nascita di rappresentanze della società civile, dando impulso all’organizzazione di workshop e seminari, strumenti utili agli attori non statali per essere finalmente coinvolti nella definizione delle strategie politiche nazionali. L’Africa, però, dimostra anche in questo campo di essere eterogenea, presentando piccole storie di successo e situazioni di carente ed insufficiente organizzazione.

La società civile africana in movimento: piccoli successi ed incertezze

L’Africa è da decenni un continente in movimento: giovane, ricco di risorse, non manca del potenziale umano necessario per costruire una società civile consapevole e pronta alle sfide democratiche. Già nel 1997 ad Entebbe, in Uganda, si erano riunite più di 30 organizzazioni della società civile dei Paesi ACP, dando vita all’“ACP Civil Society Forum”. Da lì, sette organizzazioni sono state selezionate in quanto rappresentanti le tre regioni ACP. La firma e l’entrata in vigore dell’accordo di Cotonou ha dato nuova luce alla dimensione locale, diventata la base di ogni processo di partecipazione. Piattaforme di associazioni rappresentanti donne, giovani, sindacati, agricoltori, operatori sociali sono sorte nella società civile africana.

Con lo scopo di stimolare la consapevolezza delle sfide interne e della cooperazione, il processo di strutturazione di una società civile attiva si è innescato, mettendo in luce le diversità proprie dell’Africa. Nei Paesi dove non esistevano piattaforme nazionali, il bisogno di organizzarsi per partecipare all’accordo di Cotonou ha favorito la creazione di federazioni della società civile aperte alle sfide globali. In Guinea, Benin e Togo, per esempio, le piattaforme stabilite hanno aperto il dialogo anche per le questioni riguardanti il “World Summit on Sustainable Development”, il “Poverty Reduction Strategy Programmes” ed il “World Trade Organisation”.

Nei Paesi dove già esistevano delle strutture associative civili, come Burkina Faso e Mali, sono state nominate commissioni ed organizzazioni specifiche per occuparsi delle tematiche di Cotonou. Stati più sviluppati come il Ghana, hanno invece promosso un coinvolgimento più specifico. Al sindacato dei lavoratori agricoli, per esempio, è stato affidato il compito di coordinare le attività di consultazione con le autorità nazionali e locali nel campo del commercio: un approccio, quindi, che ha cercato di andare oltre la cornice di Cotonou.

Il Senegal è certamente uno dei Paesi che è riuscito a rispondere in modo più maturo alla spinta di Cotonou verso la partecipazione della società civile. Già a partire dagli anni ’70-’80 segnati dalla siccità, gli attori non statali senegalesi avevano mostrato un certo attivismo. Strutturati in federazioni, consorzi e network tematici essi sono riusciti a costruirsi una certa visibilità e credibilità negli ambienti istituzionali. Così, con la firma dell’accordo di cooperazione tra UE e Paesi ACP, la società civile senegalese ha giocato un ruolo importante. Nella fase programmatica per la definizione del nono Fondo di sviluppo europeo, gli attori non statali del Senegal hanno partecipato attivamente alla stesura della strategia nazionale per la riduzione della povertà: piattaforme non governative impegnate per favorire lo sviluppo, come CONGAD e la FAFS (Federazione nazionale delle associazioni femminili), sono state interlocutori fondamentali di questo processo. In più, la definizione del Piano nazionale sulle leggi agricole è stato possibile anche grazie all’impegno e al coinvolgimento della società civile, ben rappresentata nel CNCR (Consiglio nazionale di concertazione e cooperazione rurale) e nell’APCR (Associazione dei Presidenti dei consigli rurali). Infine, non va dimenticato il ruolo di spicco giocato dall’organizzazione senegalese ENDA Tiers monde, referente della società civile dell’Africa occidentale nell’ambito del dialogo permanente promosso dal processo di Cotonou.

L’intesa per la cooperazione tra UE e Paesi APC si occupa anche della negoziazione degli Economic Partnership Agreements, fondamentali per le economie dei Paesi africani, spesso fondate su piccole aziende familiari. Proprio nell’ambito degli accordi commerciali, in Zambia è nato un progetto pilota per rendere la comunità rurale locale parte attiva delle negoziazioni. Il villaggio di Magoye, composto prevalentemente da produttori caseari su piccola scala, è stato protagonista di incontri, seminari e workshop, fondamentali per far nascere la consapevolezza locale dei cambiamenti globali in atto nel settore commerciale. I singoli produttori, superato uno degli ostacoli più problematici alla partecipazione attiva della società civile africana – la corretta informazione – hanno potuto finalmente influire sulle scelte politiche del proprio Paese. Inoltre, il dialogo creatosi tra gli esponenti del governo nazionale e i singoli produttori rurali del villaggio ha segnato una svolta. Spesso, infatti, la politica africana resta troppo lontana dalle realtà provinciali che, al livello di comunità e villaggi, sono il fulcro delle economie locali.

Un’esperienza simile si è verificata anche in Malawi, dove grazie ad un network di circa 100 organizzazioni non governative, i piccoli operatori rurali hanno fatto sentire la propria voce nella definizione della politica commerciale del governo, stimolata proprio dai cambiamenti previsti con l’accordo di Cotonou.

Le piccole storie di successo, però, non possono distogliere l’attenzione dalle carenze che ancora esistono nelle relazioni tra istituzioni e società in Africa. Spesso le consultazioni con gli attori non statali non sono dettate dal bisogno di democrazia, ma unicamente dalla necessità di rispettare il mandato di Cotonou. Occorrono sicuramente strutture permanenti dove il dialogo diventi concreto, costruttivo, attivo. Troppe sono le insufficienze di fondi, conoscenze, tecniche, affinché la società civile sia consapevole e radicata nel territorio.

Conclusioni

Una democrazia è tale solo se formata da cittadini informati, impegnati, consapevoli. L’accordo di Cotonou è importante proprio perché tenta di dare supporto legale alla nascita di una società civile attiva in aree,come l’Africa, ancora acerbe nelle espressioni democratiche. È necessario, però, che siano soprattutto gli Africani a volere questa crescita sociale, incentivando tutte le iniziative, anche le più piccole: esperienze come quella di Magoye sono i motori preziosi dello sviluppo del continente. Copyright Equilibri