Brasile, una corsa a ostacoli per i biocarburanti

RIO DE JANEIRO, 23 agosto 2010 (IPS) – Il Brasile si prepara al contrattacco di fronte alle nuove misure di certificazione dei biocombustibili annunciate dall’Unione europea, che minacciano di creare barriere all’importazione di carburanti provenienti dal paese sudamericano.

Una piantagione di canna da zucchero in Brasile Gentile concessione di Embrapa

Una piantagione di canna da zucchero in Brasile
Gentile concessione di Embrapa

Il Brasile è il primo produttore mondiale di etanolo da canna da zucchero.

Le norme di certificazione della Ue per l’etanolo e il biodiesel vegetali puntano a garantire che queste sostanze possano effettivamente contribuire a una riduzione sostanziale di gas a effetto serra – rispetto ai combustibili fossili – e che non provengano da foreste, terreni paludosi o aree protette.

Requisiti che fanno parte dell’implementazione della Direttiva per l’energia rinnovabile dell’Ue, che entrerà in vigore a dicembre 2010.

Ma “associare la produzione di biocombustibili alla deforestazione dell’Amazzonia vuol dire non conoscere la realtà del Brasile: è una misura protezionistica e senza basi scientifiche”, ha detto il ricercatore Robert Michael Boddey, dell’agenzia governativa per la ricerca agricola (Embrapa).

Gli europei devono capire che il Brasile non è l’Olanda, il Belgio o il Portogallo. “Qui la terra abbonda”; ha detto. “E anche se i canneti si moltiplicano e alcune colture devono essere spostate in altre aree, non significa che la deforestazione aumenterà”.

L’ampliamento della produzione di canna da zucchero, materia prima dell’alcol carburante o etanolo, si è realizzata in tre soli stati, lontani dall’Amazzonia: lo stato centrale di Goias, nel Brasile centrale, Mato Grosso do Sul nel sudovest, e São Paulo, nella regione sudorientale, dove le piantagioni stanno occupando terreni da pascolo.

“In alcune regioni del Brasile – spiega l’esperto – il rapporto è di una mucca su una superficie che equivale allo stadio di Maracaná (a Río de Janeiro). Nello stesso spazio possiamo mettere altro quattro mucche”.

“In questo modo, potremmo avere quattro stadi in più per i canneti. Immaginate di fare la stessa cosa con mille mucche”, ha detto. Gli europei “non capiscono queste proporzioni”. La prova è che in Brasile il ritmo della deforestazione amazzonica sta diminuendo dal 2005, sostiene.

Cid Caldas, coordinatore generale del Ministero dell’agricoltura per l’alcol e lo zucchero, ha spiegato che le piantagioni di canna da zucchero sono consentite in appena l’otto per cento del territorio brasiliano.

Il resto dei terreni, che comprendono ecosistemi di “vegetazione attiva” come l’Amazzonia, nel nord, e il Pantanal, ad ovest, sono protetti, ha affermato.

Per l’ambientalista Marcel Gomes, sono ragionevoli le critiche sui diversi effetti che i biocombustibili hanno sui piccoli e sui grandi agricoltori.

“Quando la canna da zucchero si estende a una regione idonea, chi prima produceva frutta, ad esempio, si vede costretto a produrre canna da zucchero o soia, materie prime del biocombustibile”, ha detto Gomes, coordinatore di Repórter Brasil, un’organizzazione di giornalismo sociale che si occupa di sfruttamento sul lavoro e biocombustibili.

Questo cambiamento “non colpisce la sicurezza alimentare del paese, mentre influisce su quella del piccolo produttore che viveva della sua frutta o della sua vendita”.

Rogério Rocco, deputato del Partito dei verdi candidato alle elezioni di ottobre, e soprintendente dell’Istituto statale per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili, pensa che il Brasile dovrebbe ricordare le sue esperienze negative con le monocolture. “Le monocolture di caffè e di canna da zucchero hanno distrutto la Mata Atlântica (la foresta nativa della costa brasiliana), e oggi resta solo l’otto per cento della vegetazione originaria”, ha dichiarato.

Per ridurre questo tipo di rischi, il governo sta portando avanti un programma di incentivi di 2 miliardi di dollari per promuovere lo sviluppo agricolo che, tra gli altri obiettivi, punta a sfruttare nei prossimi 10 anni circa 15 milioni di ettari di pascoli degradati.

Un altro progetto sullo stesso periodo dovrebbe estendere a quattro milioni di ettari il sistema di rotazione tra terreni agricoli e da pascolo. La Embrapa ha inoltre elaborato un sistema di zonizzazione climatica, per individuare le aree adatte a differenti colture, e permettere ai 26 stati brasiliani di identificare la loro topografia, i diversi climi e comportamenti stagionali, così come la composizione del suolo.

Questo permetterebbe ai produttori di investire coltivando in ogni regione specifica ciò che meglio si adatta alla sue caratteristiche.

Gomes sostiene che non si può attribuire ai biocombustibili brasiliani la responsabilità della crisi alimentare che ha colpito il pianeta nel 2007-2008, poco prima che scoppiasse la crisi economica a livello mondiale.

L’aumento dei prezzi della tortilla – il sottile pane di mais, alimento base in Messico e America centrale – ha avuto origine nel forte rialzo dei prezzi del petrolio.

La scarsità di greggio ha spostato la domanda di energia verso l’etanolo di mais, favorito negli Stati Uniti da cospicui sussidi, ed è questo ad aver provocato l’aumento dei prezzi della graminacea.

“Perciò, chi dipendeva dal mais per la propria sussistenza ne ha sofferto”, ha ricordato. Secondo l’attivista, Usa e Unione europea nascondono dietro le loro “barriere ambientaliste” il loro atteggiamento protezionistico verso i biocombustibili brasiliani.

“Nel 2008, gli allevatori irlandesi sostenevano che la carne brasiliana non passasse per i normali controlli sanitari prima dell’esportazione; questo, dice Gomes, per impedire l’ingresso di un prodotto che presentava vantaggi evidenti.

“Forse – ha aggiunto – si teme che la tecnologia dei biocombustibili brasiliani, di altissima qualità, venga esportata in Africa o in Messico, minacciando tanto gli agricoltori europei quanto quelli statunitensi”. Caldas ha ricordato che nel 2008 al Brasile è stata attribuita la responsabilità dell’aumento mondiale dei prezzi del cibo, a causa dell’“espansione” del bioetanolo. Ma ad ottobre di quest’anno è scoppiata la crisi finanziaria negli Usa, i prezzi del petrolio sono scesi e il tema è stato dimenticato.

Entro il 2017, il governo brasiliano vuole vietare la pratica della bruciatura dei canneti che superano i 150 ettari, che inquina e provoca malattie nei raccoglitori. Questo permetterebbe di ridurre le emissioni di anidride carbonica in Brasile di sei milioni di tonnellate all’anno, equivalenti ai gas serra prodotti da 2,2 milioni di veicoli. © IPS