DIRITTI-SRI LANKA: Più spazio alle donne tamil in Sri Lanka

JAFFNA, Sri Lanka, 26 aprile 2010 (IPS) – Ogni volta che Shereen Xavier, attivista per la difesa dei diritti umani, partecipa a una riunione di lavoro in questa città in guerra dello Sri Lanka del nord, indossa sempre un sari, l’abito tradizionale delle donne asiatiche del sud.

“Qui, per essere accettati dalla società, è necessario avere il sari”, afferma Xavier, direttrice esecutiva della Casa per i Diritti Umani (HHR). Ma quando è nel suo ufficio, Xavier, che ha ricevuto un’educazione occidentale, preferisce indossare i pantaloni.

Questo è considerato un passo avanti per le donne qui a Jaffna, la città più conservatrice dello Sri Lanka.

E dimostra che, grazie agli sforzi dei ribelli delle Tigri Tamil, sconfitti dall’esercito lo scorso anno dopo quasi trent’anni di conflitti armati, le donne stanno cominciando a liberarsi dai ruoli tradizionali e dagli usi imposti dalla tradizione.

Pur avendo fallito nel loro intento di creare uno Stato indipendente per la minoranza tamil nello scontro con l’esercito – un conflitto che ha causato la morte di più di 70mila soldati, ribelli e civili – le Tigri hanno aiutato le donne a mettersi in gioco e ad assumere ruoli e abitudini diverse da quelle dettate dalla società.

Certo, molte donne sono state costrette ad emanciparsi solo a causa di una tragedia personale, come le vedove di guerra, che sembra siano migliaia; o le famiglie in cui il marito è sopravvissuto al conflitto ma è la moglie ad essere diventata l’effettivo capo famiglia.

“Hanno dovuto assumere il ruolo di leader”, afferma Xavier, riferendosi a molte donne coinvolte in qualche modo nella rivolta delle Tigri Tamil. “Anche le donne i cui mariti erano vivi hanno avuto un ruolo dominante. Per esempio, se qualcuno entrava in casa cercando un uomo o se c’era trambusto fuori casa, gli uomini restavano dentro le abitazioni mentre le donne si avventuravano a controllare”.

A quel tempo, molti giovani sono stati trascinati via dalle loro case e costretti ad arruolarsi nelle truppe dei ribelli, oppure venivano arrestati dai militari perché sospettati di essere sostenitori dei ribelli o appartenenti alle Tigri.

Una casalinga della zona rievoca i racconti degli anziani della città di Jaffna che descrivevano come le donne affrontavano la situazione. “Avevano un doppio fardello: dovevano portare avanti la famiglia e prendere decisioni. La maggior parte delle donne è riuscita a svolgere bene solo il primo compito, quello tradizionale”.

Ma alla fine, anche il resto della società ha cominciato a lasciare più spazio alle donne. Oggi, in molti nuclei familiari le donne prendono decisioni su questioni, come la sanità e l'istruzione, che una volta erano riservate agli uomini.

Xavier sottolinea come le caste sociali siano crollate grazie alle regole imposte dai ribelli, di cui la maggior parte proveniva da famiglie di basso ceto sociale, compreso il loro capo Velupillai Prabhakaran.

Molti Tamil di alto rango sono stati costretti a riconsiderare la divisione in caste, dal momento che molti giovani ribelli appartenenti a caste di basso ceto e solitamente trattati con disprezzo venivano ormai affettuosamente chiamati “Thambi” (i nostri ragazzi), dopo aver dato slancio e sostegno alla guerriglia.

I ribelli, del resto, idealizzavano la lotta ritenendola l’unica possibilità per i giovani di liberarsi dagli obblighi che la società e la famiglia imponevano loro. Anche le donne erano bene accolte dalle Tigri Tamil: timide ragazze di paese si trasformavano in giovani donne volenterose e determinate, in pantaloni e camicia e munite di pistole che maneggiavano con destrezza.

“Le donne avevano questa idea romantica di emancipazione e di libertà – racconta Xavier – e volevano sperimentare l’uguaglianza, un’occasione che con i ribelli poteva tradursi in realtà. Era un’illusione di uguaglianza”.

“A un certo punto – ricorda -, abbiamo avuto (tra i ribelli) anche delle donne esemplari, come Adele Balasingham, che poteva sedersi accanto al marito, Anton, e parlare al suo stesso livello, una cosa completamente nuova per la società di Jaffna”.

Balasingham era lo stratega principale delle Tigri, mentre la moglie Adele, australiana, era la guida de facto dell’ala femminile del gruppo. Anton Balasingham morì alcuni anni fa per complicazioni di salute. Adele, infermiera di professione, ora vive in Gran Bretagna.

La stessa Xavier tornò a Jaffna nel 2007, due anni prima della sconfitta delle Tigri, per portare avanti il lavoro del padre, avvocato per i diritti civili. L'organizzazione per cui adesso lavora si batte per i diritti dei Tamil e fornisce loro assistenza legale gratuita.

Xavier racconta che in questo paese le donne stanno gradualmente cercando di ritagliarsi più spazio per sé. “Tuttavia”, dice, “ci vorrà molto tempo affinché le donne siano libere come nel resto dello Sri Lanka”.

In questo paese del nord, nessuna donna indossa jeans o pantaloni, ad eccezione di alcuni Tamil educati in occidente che lavorano qui o che sono in visita dall'estero, dei dipendenti del non-governo non-tamil, e delle centinaia di cingalesi (l’etnia maggiormente diffusa in Sri Lanka) che visitano in massa il nord della regione da quando la guerra è finita.

Ma si vedono anche alcune donne guidare gli scooter, un’immagine piuttosto comune 30 anni fa.

In un ostello per ragazze della città, le giovani donne indossano pantaloncini, ma solo dentro l’edificio. Nella pensione, un’insegnante che preferisce rimanere anonima dichiara: “A volte, le donne che non possono permettersi un sari indossano la gonna e questo crea molto scompiglio tra gli anziani. Siamo ancora una società patriarcale, anche se cominciamo a vedere una parziale liberazione della donna”. © IPS