SVILUPPO: Più cibo, tranne per un miliardo di persone

ROMA, 2 aprile 2010 (IPS) – Nonostante i passi da gigante compiuti negli ultimi anni dalla ricerca nel settore agricolo per aiutare il mondo a produrre più cibo dalla stessa quantità di terra, una persona su sei, ovvero 1,02 miliardi di affamati, non ha notato nessun cambiamento.

Le popolazioni dei paesi ricchi dispongono di abbondante cibo a basso costo grazie alla ricerca e, senza dubbio, molte più persone nel mondo in via di sviluppo soffrirebbero di denutrizione se paesi come India, Messico e le Filippine non avessero importato pratiche e tecnologie agricole moderne. Questi progressi non sono riusciti però ad aiutare i poveri rurali, che rappresentano tre quarti degli affamati nel mondo, a nutrirsi in modo autonomo e a sfuggire alla povertà.

“I poveri non hanno voce in capitolo e i popoli rurali non hanno voce, mentre le popolazioni urbane tendono a dominare, nonostante tutto il cibo che mangiamo provenga dalle aree rurali”, dice Noel Magor dell’Istituto internazionale di ricerca sul riso (IRRI), tra i partecipanti questa settimana alla Conferenza globale sulla ricerca agricola e lo sviluppo a Montpellier, Francia.

“Spesso si pensa che la tecnologia entri magicamente nelle case delle persone povere, ma non è così. I nuclei familiari più poveri in realtà sono ignorati dal sistema e per questo non ce la fanno ad andare avanti”.

I fallimenti della ricerca spiegano solo in parte perché tante persone hanno lo stomaco vuoto, in un mondo in cui le provviste alimentari sarebbero sufficienti per tutti, ma sono accompagnate da una serie di problemi economici, sociali, di genere, di giustizia, oltre a una perdurante e generalizzata situazione di sottoinvestimento in agricoltura.

Ciononostante, un’ovvia soluzione sarebbe trasformare la ricerca agricola “dal basso verso l’alto”, in base alle esigenze reali dei piccoli agricoltori, piuttosto che cercare di far funzionare per loro soluzioni che partono da esigenze di altri.

Questo sarebbe necessario per oltre due miliardi di persone, la cui sopravvivenza dipende dai 500 milioni di piccole aziende agricole nel mondo, secondo il Fondo mondiale Onu per lo sviluppo agricolo (IFAD). L’Organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) prevede che la produzione alimentare globale aumenterà del 70 per cento entro il 2050, per nutrire una popolazione mondiale che dovrebbe raggiungere i 9,1 miliardi di persone.

Ma molto esperti ritengono che sviluppare un’agricoltura su larga scala, fortemente basata su prodotti chimici, sull’irrigazione e spesso sulla deforestazione per fare spazio all’allevamento di bestiame, non può raggiungere l’obiettivo della sostenibilità, visto i gravi danni che comporta sulla fertilità del suolo e sull’ambiente in generale, e le crescenti pressioni del cambiamento climatico sulle risorse idriche.

Perciò, anche tra organismi come G8 e Banca mondiale, c’è un consenso sempre più forte sulla necessità di aiutare i piccoli agricoltori del mondo in via di sviluppo a diventare più produttivi, per riuscire ad uscire da soli dalla povertà, a nutrire le loro famiglie e al tempo stesso rispondere all’impennata nella domanda alimentare.

“I sistemi di ricerca agricola nel mondo in via di sviluppo al momento non sono sufficientemente orientati verso lo sviluppo”, dice un documento che è alla base di una roadmap che dovrà essere approvata al GCARD, sui futuri cambiamenti della ricerca nel settore agricolo.

“Le organizzazioni di ricerca in genere non sono riuscite ad incorporare i bisogni e le priorità dei poveri nel lavoro dei ricercatori”, dice il dossier. “La ricerca agricola e gli sforzi per lo sviluppo che coinvolgano gli agricoltori e siano costruiti dal basso verso l’alto possono produrre innovazione, essere efficaci, incoraggiare molti cammini diversi, e raggiungere l’obiettivo di avere cibo a sufficienza per tutti”.

“I piani di ricerca agricola devono permettere un vero scambio di conoscenza e informazioni tra scienziati e comunità rurali, comprese le popolazioni indigene, per assicurare che la nostra risposta ai bisogni e condizioni delle aree rurali sia realmente generalizzata”, ha detto il presidente di IFAD Kanayo Nwanze alla conferenza.

Una buona ricerca agricola dovrebbe essere sempre più interdisciplinare. Servono assicurazioni rurali e innovazioni sui crediti, ad esempio, per incoraggiare gli agricoltori poveri, che spesso sono reticenti ad accettare prestiti per paura di non poter restituire il denaro in caso di cattivo tempo o di sbalzi nei prezzi delle coltivazioni, per investire in nuove risorse.

Si dovrebbe fare anche un maggiore uso di telefoni cellulari, che, tra le altre cose, possono offrire ai piccoli proprietari informazioni aggiornate sul tempo, le colture, il controllo degli infestanti e dei mercati per poter prendere decisioni più adeguate.

“Stiamo cercando di capire come rendere la conoscenza uno strumento importante per i bisogni dei poveri”, ci spiega Mark Holderness della FAO, che è anche segretario esecutivo del Forum globale sulla ricerca agricola.

“Non esistono panacee. Stiamo cercando una migliore integrazione tra discipline diverse, una maggiore azione collettiva non solo rivolta agli input (per l’agricoltura), ma anche a tutti gli elementi necessari per portare la conoscenza agli agricoltori, per far arrivare i loro prodotti sui mercati, per creare sistemi di sussistenza più efficaci per gli agricoltori”.

È qui che il settore pubblico dovrebbe intervenire e prendere l’iniziativa. “Il settore privato investirà in agricoltura ma solo dove vede dei profitti, e questo è logico, ma significa forti preferenze per gli agricoltori più ricchi e un’azione insufficiente per alleviare la povertà”, ha detto Emile Frison, direttore generale di Bioversity International, un istituto di ricerca che si occupa di biodiversità agricola, con sede a Roma. ©IPS