SVILUPPO: La fame genera la fame

ROMA, 5 febbraio 2010 (IPS) – Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche era fuori strada quando scrisse il famoso aforisma “ciò che non mi distrugge mi rende più forte” – almeno per quanto riguarda la fame.

Ogni sei secondi un bambino muore di fame o per cause ad essa collegate, su un pianeta in cui più di un miliardo di persone non ha cibo a sufficienza, nonostante rifornimenti adeguati, secondo l’Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione (FAO).

Invece che uscirne fortificati, i sopravvissuti a questo flagello si portano dietro i suoi effetti debilitanti per tutta la vita, spesso trasmettendoli alle generazioni future.

Questo perché la fame non è solo il risultato della povertà, ma anche una delle sue cause principali, a detta degli esperti.

A stomaco vuoto, gli adulti non hanno la forza per lavorare e sono più soggetti alle malattie, e perciò vulnerabili ad una maggiore insicurezza alimentare.

La capacità di apprendimento dei bambini, inoltre, è assai limitata se questi soffrono la fame. Molti bambini malnutriti restano invalidi per tutta la vita, con limitate capacità di provvedere a se stessi e ai loro figli una volta adulti.

“Se un individuo non si alimenta, il suo corpo e la sua mente non si sviluppano, e questo comporta tutta una serie di problemi, in particolare legati alla salute, generando ancora più fame”, ha spiegato Tony P. Hall, direttore della Alliance to End Hunger di Washington, ed ex ambasciatore Usa presso la FAO.

“È una storia che conosco bene. Quando un bambino soffre la fame, anche se non muore, rappresenta un problema per il futuro, per sé e per il suo paese”.

L’Unicef, agenzia Onu per l’infanzia, ha dichiarato lo scorso novembre che la scarsa alimentazione sta producendo un forte impatto sullo sviluppo dei bambini in diverse parti del mondo. Ha spiegato che oltre un terzo delle morti nei bambini al di sotto dei cinque anni nei paesi in via di sviluppo sono attribuibili ad un regime alimentare inadeguato, che provoca una crescita ritardata in un bambino su tre – 195 milioni. Questo perché l’organismo dà priorità alle funzioni primarie in caso di denutrizione, e canalizza minori sostanze nutritive nella crescita.

Se l’organismo di questi bambini non si sviluppa in modo adeguato, è scientificamente dimostrato che il loro cervello fa lo stesso. Per esempio, uno studio pubblicato nel 2007 sulla rivista medica The Lancet mostra che su ogni aumento del 10 per cento nell’incidenza di ritardi nella crescita in un paese, la percentuale di bambini che completano l’ultimo anno di scuola scende dell’otto per cento.

“La denutrizione riduce la capacità del bambino di apprendere e di guadagnarsi da vivere”, spiega la direttrice esecutiva Unicef Ann M. Veneman.

“La privazione alimentare produce stanchezza e debolezza nei bambini, e diminuisce il loro quoziente intellettivo, comportando scarsi risultati a scuola. Come gli adulti, sono meno produttivi e imparano meno rispetto ai loro compagni in buone condizioni di salute, e il ciclo della denutrizione e della povertà continua a ripetersi, generazione dopo generazione”.

La logica suggerisce dunque che per assicurare una buona alimentazione è necessario combattere la fame oggi, ma anche garantire la sicurezza alimentare per il futuro.

Le organizzazioni di volontariato per l’infanzia spiegano però che questo è un settore spesso trascurato, negli sforzi per promuovere lo sviluppo. Ciò emerge chiaramente, spiegano, nei lenti progressi osservati nella riduzione del numero di bambini sottopeso, un indicatore chiave del primo Obiettivo di sviluppo del millennio dell’Onu, ossia ridurre la fame nel mondo entro il 2015.

Nel 1990, i leader mondiali promisero di dimezzare la percentuale di bambini sottopeso al di sotto dei cinque anni, all’epoca circa un quarto dei bambini dei paesi in via di sviluppo. Ma un rapporto Unicef del 2009 ha evidenziato che 20 anni dopo, il 23 per cento di questi bambini è ancora sottopeso.

Donatori e agenzie internazionali spesso dedicano più attenzione e fondi ad altri problemi gravi come l’Aids, all’origine di circa il tre per cento delle morti infantili, molti meno di quelli provocati dalla scarsa alimentazione.

I governi nazionali sono accusati di non dare a questo tema sufficiente priorità. L’organizzazione non governativa Save the Children International lascia spesso il tema della nutrizione nelle mani di sezioni dei ministeri della sanità strategicamente deboli.

“Grosse somme di denaro vanno direttamente all’agricoltura e alla sicurezza alimentare, con investimenti da governi ed entità come Banca mondiale e Unione europea”, dice Alex Rees, responsabile di Save the Children UK per la riduzione della fame. “L’anno scorso il G8 ha promesso 20 miliardi di dollari per la sicurezza alimentare. La prima cosa per noi è che abbia un impatto sulla sicurezza alimentare”.

“Concordo pienamente (che l’alimentazione infantile sia un tema trascurato tra le iniziative per lo sviluppo), e non siamo i soli a pensarla così: anche la Banca mondiale la pensa allo stesso modo. L’alimentazione deve essere considerata una priorità politica per ministri e presidenti”.

Secondo gli esperti, i primi 33 mesi di vita, dal concepimento al secondo anno di vita, sono particolarmente importanti. Dopo i due anni di età, è più difficile invertire gli effetti della malnutrizione cronica, soprattutto il suo impatto sullo sviluppo del cervello, dicono.

“Nella prima infanzia risiedono le fondamenta della vita”, afferma Veneman. “I bambini denutriti cronici prima del secondo anno di età rischiano uno sviluppo cognitivo e fisico ridotto per tutta la vita”.

Save the Children promuove una serie di politiche per modificare il regime alimentare che, sostiene, possono aiutare a fermare il circolo vizioso della fame che genera ancora più fame.

Tra queste, programmi per l’uso di integratori proteici e vitaminici per sopperire alle carenze di micronutrienti, all’origine del 10 per cento delle morti al di sotto dei cinque anni, e sostegno alle madri per l’allattamento al seno. In un recente rapporto, l’organizzazione spiega che quest’ultimo è “uno degli interventi di salute pubblica oggi disponibili più efficaci dal punto di vista dei costi”, per gli enormi benefici che l’allattamento al seno comporta nei primi mesi di vita.

Nel dossier si dice poi che tutte le donne incinte e le famiglie con bambini molto piccoli dovrebbero ricevere sussidi monetari per far sì che i poveri possano permettersi diete nutrienti in questo periodo cruciale.

Questi sussidi dovrebbero essere universali, si aggiunge, per assicurare che nessuno sfugga nonostante la rete di sostegno. Per di più, spiega Rees, “talvolta gli investimenti mirati finiscono per costare più delle misure universali”.

Ovviamente, sono tutti interventi che richiedono fondi, che non sono mai facili da reperire quando si tratta della metà della popolazione mondiale più povera, soprattutto in tempi di crisi economica.

Ma gli attivisti sostengono che i benefici immediati di minori sofferenze umane, uniti al ritorno in termini di maggiore crescita economica nazionale, di benessere e minore spesa sanitaria, fanno sì che sia denaro che vale la pena di essere speso.

L’Unicef, per esempio, dice che secondo le ricerche, ogni dollaro speso in vitamina A e integrazione di zinco crea benefici che superano i 17 dollari.

“Investire su un periodo di 33 mesi, dal concepimento al secondo anno d’età di un bambino, è particolarmente importante perché è qui che puoi avere una rottura generazionale”, aggiunge Rees.

“Se investi sui tuoi figli stai investendo sul futuro… Se hai una popolazione ben nutrita, sei sulla buona strada per avere una popolazione produttiva”. © IPS