INTERVISTA ESCLUSIVA: "I giovani non devono restare seduti in classe"

BANGKOK, 21 agosto 2009 (IPS) – Dopo aver stravolto gli schemi del sistema bancario sostenendo che il credito è un diritto fondamentale per aiutare i poveri nel Bangladesh, suo paese natale, ad ottenere prestiti per le loro piccole imprese, Muhammad Yunus si prepara ad una nuova sfida: l’educazione universitaria.

Muhammad Yunus Marwaan Macan-Markar/IPS

Muhammad Yunus
Marwaan Macan-Markar/IPS

“L’educazione deve essere integrata con la vita, le esperienze reali, l’azione”, dice l’uomo diventato famoso come “il banchiere dei poveri”, per aver lanciato l’idea del microcredito per le popolazioni economicamente emarginate, e aver fondato nel 1983 in Bangladesh la Grameen Bank, un istituto per il microcredito e lo sviluppo locale che concede piccoli prestiti ai poveri rurali senza garanzie. Un’idea che gli è valsa il Premio Nobel per la Pace 2006.

Per portare avanti il suo obiettivo, il banchiere ed economista di 69 anni ha presentato questa settimana presso l’Asian Institute of Technology (AIT)il nuovo Yunus Centre, un Centro studi incentrato su una serie di programmi di sviluppo nelle periferie della capitale tailandese. Yunus ha rapporti di vecchia data con l’AIT, credendo fermamente nella sua missione di università regionale nella promozione dello sviluppo sostenibile.

I fondi di avviamento per il centro verranno dall’AIT, mentre fondazioni e organismi per lo sviluppo, come l’Agenzia svedese per lo sviluppo internazionale, contribuiranno a finanziare le nuove strutture educative. La missione del Centro, la cui apertura è prevista entro la fine dell’anno, è far uscire dalla povertà le popolazioni rurali incoraggiandole nella “gestione e il controllo, per migliorare il loro sostentamento attraverso una propria attività e impresa agricola”.

“Vogliamo attrarre gli studenti interessati ad avere un impatto nella società attraverso programmi unici che possano realizzare”, ha spiegato Yunus in un’intervista dopo il lancio del Yunus Centre, il 19 agosto.

Alcuni estratti dell’intervista:

D: Ha appena creato un centro studi per occuparsi di temi come la sicurezza alimentare, l’agricoltura e l’eliminazione della povertà. Qual è la specificità del centro, rispetto a tante altre strutture che hanno la stessa missione?

Muhammad Yunus: Sarà qualcosa di più di un centro studi. Sarà un luogo di attività. Non produrremo documenti, e gli studenti non dovranno scrivere tesi: saranno loro ad elaborare i loro stessi programmi di aiuto per le comunità locali. Lo scopo è farli muovere in base all’esperienza e all’impegno personale. Gli studenti potranno metterci uno o due anni o forse più per portare a termine i programmi, e poi ottenere il diploma.

D: Quindi pensa ad un nuovo sistema educativo?

MY: Sì, quello di imparare facendo, e confrontandosi con gli altri su ciò si è fatto e che dovrà essere fatto. Gli insegnanti saranno come degli assistenti sullo sfondo: sono gli studenti a guidare le attività, a comunicare ai docenti i loro piani, perché li hanno scelti e come sperano di metterli in pratica. E gli insegnanti non sono lì per criticare gli studenti, ma per dargli più informazioni.

D: Cosa l’ha spinta a seguire questa strada?

MY: Ho sempre pensato a questo modello di sviluppo. I giovani non dovrebbero stare seduti in classe. Hanno una capacità formidabile di operare cambiamenti; un’energia incredibile. Dovrebbero uscire dall’aula e gestire direttamente i problemi per cercare di risolverli.

D: Con la sua iniziativa sta forse seguendo il suo percorso personale, di lavorare a diretto contatto con i poveri, nonostante la sua formazione professionale come economista, e avendo ottenuto un dottorato di ricerca e insegnato in un ambito universitario convenzionale?

MY: Beh, è così che è cominciato il mio lavoro con la Grameen Bank. È vero, è questo che ho fatto dopo essere uscito dall’università e aver fondato una banca popolare lavorando con i poveri dei villaggi locali. Per questo dico basta scrivere tesi; c’è già abbastanza gente che le scrive. Ma qualcuno deve uscire dalle aule per individuare i problemi sociali nelle comunità povere – se sono problemi ambientali, di povertà, di agricoltura, scarsa salute, alloggio – e risolverli direttamente. E se avranno fatto un buon lavoro, questi studenti diventeranno un esempio per il loro paese nell’insieme.

D: Significa che le università e la comunità accademica hanno fallito nel risolvere alcuni temi che la preoccupano, come l’agricoltura o la sicurezza alimentare?

MY: Ci sono tantissime lacune. Gli insegnanti non hanno conoscenze pratiche. Vivono in torri d’avorio. La vita deve essere integrata all’educazione, perché la vita sta cambiando ma l’educazione è rimasta indietro. L’istruzione dovrebbe essere proiettata in avanti, e non trasmettere conoscenze ormai superate. Educare significa cercare di trasmettere ai giovani conoscenze per il futuro in modo che siano pronti ad affrontarlo.

D: Cosa dire allora del contributo degli scienziati, che attraverso la Rivoluzione Verde hanno preteso di aver trovato una soluzione alla fame in questa regione?

MY: Il miglior cambiamento tecnologico per l’agricoltura è avvenuto negli anni ’60 con la Rivoluzione Verde. C’è stato un aumento improvviso della produzione agricola, del riso. Poi però, ci si è fermati: non abbiamo più visto grandi balzi nell’agricoltura da allora. Nel frattempo, il mondo è cambiato, ma i cambiamenti agricoli sono lenti. Le forniture alimentari crescono più lentamente, mentre il mercato si espande.

D: Perché crede che il contributo della scienza all’agricoltura non abbia seguito lo stesso ritmo dei cambiamenti globali?

MY: Perché ci sono settori più eccitanti su cui la scienza può concentrarsi, e dove arrivano i soldi, come le tecnologie della comunicazione e i telefoni cellulari. È un grande mercato, che attira milioni di persone desiderose di possedere telefoni cellulari. I grandi calcoli economici sono andati in quella direzione, ma l’agricoltura non viene considerata eccitante, un settore da cui ricavare denaro. Per questo deve essere proposta come un’impresa sociale – e questa è l’idea che promuovo con questo centro. Si tratta di avere un impatto sulla società, non di ricavare denaro.

D: Ma lei va contro le tendenze demografiche, secondo cui i giovani delle aree rurali si trasferiscono nelle città per cercare lavoro e perché le trovano più eccitanti. Come fa a proporre ai giovani una vita felice nell’agricoltura?

MY: Oggi, secondo l’economia del profitto, tutti inseguono il denaro, e non vogliono fermarsi in un villaggio perché lì non c’è ricchezza. Ma quando riesci a rompere quel paradigma di vita e dici: “Posso essere felice cambiando le cose e risolvendo i problemi delle persone e la loro vita”, vedi le cose in modo diverso. Allora, l’attenzione si sposta sull’impatto sociale. Su un impegno. È una cosa che viene dal cuore, e non lo fai perché qualcuno ti paga per farlo.©IPS