MEDIA: I media devono far passare il messaggio

ROMA, 23 ottobre 2008 (IPS) – Nonostante il crescente impatto del riscaldamento globale sia ormai dimostrato, “continua a mancare la volontà politica per affrontare questo problema”, afferma Mohan Munasinghe, vincitore del Premio Nobel per la pace 2007 come vicepresidente della Commissione intergovernativa delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (IPCC).

Sabina Zaccaro Sabina Zaccaro

Sabina Zaccaro
Sabina Zaccaro

Munasinghe, che è anche presidente del Munasinghe Institute for Development (MIND) con sede in Sri-Lanka, che ha contribuito al lavoro dell’IPCC, ha partecipato a l’Aia al seminario organizzato dall’agenzia Inter Press Service (IPS), dall’organizzazione umanitaria e per lo sviluppo Oxfam Novib, e dalla Commissione nazionale olandese per la Cooperazione internazionale e lo sviluppo sostenibile (NCDO).

Obiettivo dell’incontro, sviluppare una base di sostegno per lo sviluppo sostenibile e la cooperazione internazionale, e approfondire i ruoli e le responsabilità sia dei mainstream media che di quelli alternativi su questo tema.

Sviluppo, povertà e cambiamento climatico sono tutti problemi interconnessi, osserva Munasinghe. “Per uno sviluppo più sostenibile nei prossimi 10-15 anni, questi problemi dovranno essere affrontati insieme”.

Riportiamo di seguito alcuni stralci dell’intervista.

IPS: Qual è il rischio nel tenere separati questi problemi?

Mohan Munasinghe: Ci sono diversi rischi. Il più importante è il conflitto. Se cerchi di risolvere un singolo problema, gli altri, nel frattempo, potrebbero aggravarsi.

Il secondo pericolo è che si potrebbero creare sovrapposizioni, e questo avviene quando chi lavora per risolvere un problema può ritrovarsi a fare le stesse cose che altri stanno già facendo. In questo caso, si sprecano risorse: risorse economiche ma anche volontà politica.

Il terzo punto, che è il più importante, è la mancanza di cooperazione. Per poter affrontare queste crisi molteplici dobbiamo unire le forze, creando uno spirito di consenso, uno spirito di coscienza globale. Se si lavora solo al proprio problema, si torna indietro alle vecchie soluzioni egoistiche.

IPS: Come si può costruire questo consenso, e cosa possono fare i media?

MM: Costruire un consenso vuol dire cominciare da una transizione, e cioè rendere lo sviluppo più sostenibile. Ed è proprio su questo che i media hanno un ruolo chiave. Il consenso si può costruire guardando a ciò che chiamiamo le soluzioni “win-win”, che vadano bene per tutti. Dobbiamo creare la percezione di lavorare tutti insieme.

Ovviamente ci sono delle difficoltà… il moderno sistema capitalistico lavora esattamente al contrario, è costruito sulla competizione; e questo non ci aiuterà a risolvere questi problemi globali e a sviluppare una coscienza globale.

Ideologicamente, l’isolazionismo è basato sul sistema di mercato capitalistico, e sembra incoraggiare l’idea che se ognuno pensa solo per sé, allora emergerà il bene sociale o collettivo. Ma questo è evidentemente falso. Se non ci sono tutele, non solo legali ma anche morali ed etiche, si verifica la cosiddetta “race-to-the-bottom”, un livellamento verso il basso, dove chi si comporta nel peggiore dei modi viene premiato.

IPS: Funzionerebbe meglio un approccio scientifico piuttosto che ideologico?

MM: Nella scienza abbiamo assistito al successo del riduzionismo. Studiando qualsiasi cosa sempre più nel dettaglio, anche un argomento molto oscuro, dettagliatissimo, si diventa esperti su quell’argomento specifico. Ma poi non si sa praticamente nulla di molti altri settori…

Ciò di cui abbiamo bisogno è una transdisciplinarietà, che rompa i confini della disciplina ma anche i confini degli attori in gioco. E gli attori siamo tutti noi, perciò dimentichiamo la competizione e guardiamo di più alla cooperazione.

Se guardiamo a come erano costruite le società antiche – ad esempio la civiltà egizia, che è durata migliaia di anni – vediamo che si basavano sulla cooperazione. Noi abbiamo dimenticato questo aspetto cooperativo. Molte comunità, in particolare le comunità povere, sono sopravvissute proprio grazie allo spirito comunitario.

IPS: Ma la cooperazione è ostacolata anche da fattori economici…

MM: Certamente. In realtà, la distruzione dei valori tradizionali cui stiamo assistendo in molte parti del mondo sviluppato sta portando ad un crollo del capitale sociale. Lo sviluppo sostenibile ha una dimensione economica, una dimensione sociale, e anche ambientale. La dimensione economica è la più evidente, vogliamo produrre di più, aumentare il PIL (Prodotto interno lordo), ecc. Anche la dimensione ambientale dello sviluppo sta diventando più evidente, nel senso che tutti vogliamo un’aria pulita, un’acqua pulita, e così via.

La dimensione sociale è più complicata, perché è il collante che tiene insieme la società. Questa modalità ultracompetitiva, senza valori etici e morali, sta invece portando alla violenza, e porterà alla guerra per le risorse.

Ci sono alcune forze economiche che in un certo senso stanno assumendo una linea neo-conservatrice… Dobbiamo ripensare a questo, e tornare al concetto del capitale sociale. Sempre di più, in un mondo globalizzato il capitale sociale non è solo un bene per la comunità, per il villaggio, la città e il paese, ma per l’intero pianeta.

IPS: Dopo il rapporto inequivocabile dell’IPCC, si può affermare che ambiente e clima siano adesso in cima all’agenda politica?

MM: Ci sono alcuni politici che sono come le ostriche, perché sono ignoranti o perché rappresentano lobby o comunità che sfruttano il sistema attuale, che è insostenibile. Ma ce ne sono tanti altri che sono molto responsabili, che cercano di muoversi in una direzione nuova. Dobbiamo individuarli e sostenerli.

Come membro della società civile, con la mia organizzazione (MIND) mi dedico interamente a questo, in particolare con i giovani. Cerchiamo di fargli capire che come individui possono fare la differenza, e di trasmettere loro anche il senso di un rispetto che non respinge nessuno, neanche un politico corrotto; il messaggio è “forse il tuo compito è cambiare queste persone, uscire fuori e fare qualcosa”.

E la penso allo stesso modo nei confronti delle imprese; dobbiamo lavorare con tutte queste persone, abbiamo bisogno di tutti loro. Con qualcuno è molto difficile convivere, è vero, ma questo è il lavoro degli attivisti sociali.

IPS: Può fare qualche nome di politici e governi che si comportano in modo corretto?

MM: Beh, esistono alcuni indici di performance ambientali elaborati da istituti di ricerca privati. Ma queste liste non sono perfette, e non dovremmo compiacercene. Voglio dire che anche i “paesi in cima alla lista” devono migliorare, perché se sei ai primi posti ma continui a permettere ad altri paesi di restare agli ultimi posti, allora non stai facendo abbastanza, non è sufficiente essere in cima alla lista. È questa la costruzione del consenso; il successo stimola anche gli altri.

IPS: Cosa può fare l’informazione?

MM: Credo che i media abbiano un ruolo importantissimo da svolgere. Mi riferisco ai media responsabili, perché anche tra i media c’è un forte spirito di competizione. Tutti vogliono vincere il Premio Pulitzer, vendere prodotti, fare soldi e così via. Perciò, abbiamo bisogno di un giornalismo responsabile. E credo che sempre di più la gente sia in cerca di articoli responsabili.

Il problema è che io faccio parte di una generazione che legge i giornali, ma i miei figli sono molto più orientati verso la TV, e quanto ai miei nipoti, per loro l’informazione arriva solo attraverso YouTube, gli sms e via dicendo. Non ho modo di raggiungere queste persone tramite ciò che scrivo, o anche con questa intervista…ma voi dei media conoscete gli strumenti. Come arrivare a queste persone, credo sia questa la sfida.