MEDIA-AFRICA: Minacce da ogni parte

NAIROBI, 15 agosto 2006 (IPS) – Riemergono i timori sulle restrizioni della libertà di stampa in Africa, in occasione di un incontro di due giorni tenutosi in Kenya, che ha visto la partecipazione di oltre 100 rappresentanti dei media provenienti da tutto il continente.

L’incontro è stato ospitato nella capitale, Nairobi, e organizzato con la partecipazione dell’Università della pace affiliata alle Nazioni Unite.

“I media ricevono minacce da ogni parte grazie alle leggi draconiane approvate dal parlamento; minacce dall’esecutivo e minacce dal giudiziario, che immobilizza i giornalisti per non aver fatto nulla. Questo è vero e proprio terrorismo giudiziario”, ha detto al meeting Wilfred Kiboro, capo esecutivo del Nation Media Group, una delle maggiori organizzazioni dei media del Kenya.

Particolare attenzione è stata riservata alla situazione dello Zimbabwe.

Nel 2002 in questo paese del Sud Africa è stata approvata una legge controversa, sull’accesso all’informazione e alla tutela della privacy (Access to Information and Protection of Privacy Act, AIPPA), per la quale tutti i giornalisti e media outlet del paese devono registrarsi presso una Commissione dei media e dell’informazione controllata dal governo. L’inosservanza del decreto può costare ai reporter fino a due anni di reclusione.

“Sin dalla sua introduzione nel 2002, l’AIPPA è stata usata per tormentare decine di giornalisti e portare alla chiusura diversi quotidiani, tra cui il “Daily News”, che era l’unico giornale indipendente in Zimbabwe”, osserva la Commissione per la tutela dei giornalisti (CPJ) con sede a New York, in un’inchiesta intitolata “Attacchi alla stampa nel 2005”.

Un’altra restrizione viene dalla Criminal Law (Codification and Reform) Act, firmata l’anno scorso, che definisce delitto il pubblicare informazioni che dovessero rivelarsi false; una legge destinata a generare disordini pubblici in Zimbabwe. La pena in caso di inadempienza può prevedere una pesante multa, fino a 20 anni di carcere, o entrambi.

La Criminal Law Act penalizza inoltre ogni dichiarazione sulla presidenza che venga ritenuta offensiva o indecente.

Una legislazione severa, unita al monopolio statale sulle trasmissioni radiotelevisive, ha privato molti abitanti dello Zimbabwe di una qualsiasi analisi indipendente sugli eventi nel paese.

“Il paese è tornato indietro, reimponendo ai media limitazioni sulla libertà di espressione e di stampa”, ha detto alla conferenza di Nairobi Fackson Banda, presidente del dipartimento media e democrazia presso la Rhodes University in Sud Africa.

In molti casi, le voci indipendenti non sono state solo messe sotto silenzio; la persecuzione le ha anche costrette a lasciare il paese.

Lo studio “Attacchi alla stampa nel 2005” dichiara che “…Elisabeth Witchel della CPJ ha accertato che almeno 90 giornalisti dello Zimbabwe, compresi molti dei più bravi reporter del paese, vivono oggi in esilio in Sud Africa, in altre nazioni africane, nel Regno Unito o negli Stati Uniti, e rappresentano il più folto gruppo di giornalisti esiliati nel mondo”.

I delegati presenti alla conferenza hanno constatato che anche i reporter di altri paesi dell’Africa sentono forte il peso dell’ingerenza del governo.

“I governi stanno tornando a imporre regole invece di deregolamentare i media, e la libertà di stampa in quanto tale è sotto tiro”, ha detto Banda.

Questo può avere gravissime conseguenze sulla salute politica ed economica di un paese.

“Ci sono rischi altissimi se i governi decidono di regolamentare eccessivamente i media. Potrebbero esserci moltissimi casi di mala gestione (e) mal governo nei quali la corruzione non verrà mai rivelata. Molte cattive pratiche potrebbero attuarsi indisturbate, se i media vengono fatti tacere”, ha detto all’IPS Par Granstedt, membro dei parlamentari europei per l’Africa.

“La trasparenza è molto importante nelle questioni che riguardano il governo, e può essere garantita solo se i media sono liberi. È qui che politici e media devono sedersi intorno a un tavolo, e assicurare l’attuazione di leggi che migliorino la libertà di stampa”.

Secondo Mary Karooro Okurut, una parlamentare dell’Uganda, questi negoziati sarebbero più efficaci in presenza di forze congiunte di organizzazioni dei media, che facciano pressioni su tutti i paesi africani per l’approvazione di legislazioni uniformi a garanzia della libertà di stampa”.

“Abbiamo bisogno di un organizzazione ombrello sul continente, che faccia pressioni e porti la questione davanti all’Unione africana (UA), così che ovunque (nel continente) venga adottata una legislazione analoga sulla stampa. Non è possibile che ciascun paese assuma una propria posizione”, ha detto all’IPS durante il meeting.

“Se vogliamo lo sviluppo in Africa, abbiamo bisogno di media liberi – e non solo in alcuni paesi, ma in tutte le nazioni africane”.

La proposta di Okurut è realizzabile, secondo Desmond Orjiako, consulente per la comunicazione regionale presso l’Unione africana, composta di 53 membri.

“Se il gruppo di pressione dei media del continente riuscirà a portare una buona argomentazione davanti al vertice dei capi di Stato o al Consiglio dei ministri dell’UA, allora potremo applicare un mandato per la libertà di stampa in tutta l’Africa”, ha detto.

Il consiglio è composto dai ministri degli esteri degli Stati membri dell’UA, e ha il compito di deliberare su diversi temi, oltre a collaborare nella preparazione del vertice annuale in cui si riunisce l’Assemblea dell’UA, il principale organo decisionale dell’Unione.

Ma una legislazione sulla libertà di stampa estesa a tutto il continente potrebbe rivelarsi una scelta difficile in alcuni stati, come indica una lista stilata di recente dalla CPJ sui “10 paesi più censurati”.

Nella lista, pubblicata il 2 maggio scorso, figurano tre nazioni africane: Guinea equatoriale, Libia ed Eritrea.

Nella Guinea equatoriale, osserva la CPJ, ci sono pochi quotidiani di proprietà di privati, che pubblicano molto poco, a causa di restrizioni politiche e di budget.

“Radio Malabo, di proprietà dello stato, trasmette canzoni in cui avverte la popolazione che verrà schiacciata, se si pronuncerà contro il regime. Nelle elezioni parlamentari del 2004, i media pubblici definivano gli attivisti dell’opposizione ‘nemici’ dello stato”, sottolinea la CPJ. (Malabo è la capitale della Guinea equatoriale).

“La radio statale descrive Obiang come ‘il Dio del paese’, che detiene ogni potere sugli uomini e le cose”, aggiunge la Commissione, riferendosi al presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo.

I media libici vengono definiti “i più controllati nel mondo arabo”, e la CPJ osserva anche che l’omicidio irrisolto del giornalista Dayf al-Ghazal al-Shuhaibi nel 2005 “ha trasmesso un messaggio inequivocabile ai sedicenti critici”.

Infine l’Eritrea, secondo la Commissione, non avrebbe neanche un media di proprietà privata, rappresentando un caso unico tra i paesi dell’Africa sub-sahariana. Negli ultimi cinque anni, in questo paese dell’Africa orientale, sono stati arrestati 15 giornalisti.