IRAQ: La terra che tutti reclamano

WASHINGTON, 24 settembre 2004 (IPS) – Il territorio a nord dell’Iraq è al centro di accese dispute tra kurdi, turcomanni ed arabi. Tutti ne reclamano la proprietà, e se la situazione non verrà affrontata rapidamente potrebbero scoppiare violenti scontri, avverte una delle principali organizzazioni per i diritti umani.

L’avvertimento è contenuto nel documento di 78 pagine dal titolo “Rivendicazioni nel conflitto: invertire gli effetti della pulizia etnica nel nord Iraq”, pubblicato a fine luglio dalla Human Rights Watch (HRW) statunitense.

Il dossier denuncia lo stato di tensione tra kurdi, turcomanni e arabi che reclamano le loro terre e, a causa dell’assenza delle autorità – la coalizione provvisoria guidata dagli Stati Uniti prima e dall’attuale governo e il suo presidente ad interim, Lyad Allawi, ora – un conflitto armato potrebbe esplodere da un momento all’altro.

Da ogni lato, aggiunge il rapporto, la pazienza è al limite poiché decine di migliaia di kurdi, ma anche turcomanni ed assiri – che nei trent’anni precedenti all’invasione guidata dagli Stati Uniti sono stati costretti dal programma di ‘arabizzazione’ del regime Baath ad abbandonare le loro case – continuano a vivere accampati, spesso in condizioni disumane.

Allo stesso tempo, nei primi mesi dell’occupazione statunitense migliaia di arabi hanno abbandonato le loro case spinti dalle milizie kurde – i pesh merga – che tornavano verso il Kurdistan ed il sud della città petrolifera di Kirkuk – capitale spirituale dei kurdi – e vivono ora in accampamenti temporanei, aspettando che qualcuno risolva il loro destino, non sapendo dove andare.

“Se non si darà priorità alla risoluzione di queste dispute, le crescenti tensioni tra kurdi -che ritornano alla loro terra – ed arabi ora insediati nelle stesse terre, potrebbero presto tradursi in spirali di violenza”, ha detto Leah Whitson, direttore della sezione Nord Africa e Medio Oriente della HRW.

“Bisogna fare giustizia per le vittime di una vera e propria pulizia etnica messa in atto per alterare definitivamente la composizione etnica della regione”, ha continuato Whitson.

Gli esperti affermano che l’assegnazione delle terre, soprattutto nella città di Kirkuk, sarà una delle cause principali di una guerra che potrebbe dividere il paese.

Gli sforzi del governo centrale di spostare gli arabi si concentrarono in un primo momento nelle zone centrali e a sud del paese ma poi sempre più verso il nord, nelle regioni abitate da kurdi, turcomanni ed assiri.

Verso la metà degli anni ’70, la creazione da parte del regime Baath di insediamenti autonomi nella zona kurda dell’Iraq, determinò un processo di ‘arabizzazione’ su larga scala.

Circa 250.000 tra kurdi e non arabi furono espulsi dalla regione del nord che va da Khanaqin, al confine con l’Iran, a Sinjar, sulla frontiera turco-siriana. Gli atti in possesso dei non arabi furono invalidati e gli arabi senza terra del vicino deserto di al-Jaseera furono chiamati ad occupare e lottizzare le terre dichiarate di proprietà del governo.

Nel 1988, il governo lanciò contro i kurdi l’infausta campagna Anfal che portò allo sterminio di 100.000 kurdi e alla distruzione dei villaggi, generando centinaia di migliaia di profughi. A molti fu proibito di tornare alle loro case e i diritti di proprietà furono invalidati mentre gli arabi del sud arrivavano ad occupare le terre.

Per tutti gli anni ’90 e fino alla vigilia dell’occupazione del 2003, i kurdi e i non-arabi di Kirkuk subirono continue minacce e spesso erano costretti a scegliere: essere espulsi o rinunciare alla propria identità etnica, diventare arabi e membri del partito del regime Baath ed entrare nelle forze paramilitari a sostegno del regime. Circa 120.000 persone vennero espulse da Kirkuk mentre il governo incentivava l’insediamento degli arabi con aiuti finanziari.

Le stime delle Nazioni Unite parlano di un totale di oltre 800.000 profughi, tutti provenienti dalle aree ‘arabizzate’ del nord dell’Iraq, quelle stesse aree protette, prima dell’invasione del 2003, dalla “no-flight zone” imposta da Stati Uniti e Inghilterra che – afferma la HRW – ha sconvolto drasticamente gli equilibri della regione.

Un vasto numero di arabi degli insediamenti hanno abbandonato le case prima dell’arrivo dei militari kurdi e statunitensi, lasciando interi villaggi deserti. E anche se molti kurdi vorrebbero tornare in quelle case, spesso non possono perché sono troppo poveri per ricostruirle o perché il processo di assegnazione delle proprietà non è ancora iniziato.

I kurdi stanno cercando di tornare anche a Kirkuk e Mosul, ma gli arabi di queste aree urbane sono restii a lasciare le case; e così la tensione tra arabi e kurdi e tra kurdi e turcomanni sta crescendo costantemente. In alcuni casi, i kurdi ed i pesh merga hanno usato intimidazioni e minacce per cacciare gli arabi provocando scontri tra le comunità, soprattutto a Kirkuk.

“I kurdi stanno tornando in massa a Kirkuk ma la città non può assorbire così tante persone”, ha detto Whitson. “Ora vivono in edifici abbandonati e in tendopoli senza acqua né luce, e vivono in condizioni di sicurezza molto precarie”.

Al contempo, poco è stato fatto per cercare una soluzione per gli “arabi dell’arabizzazione”, anch’essi senza un luogo dove andare, soprattutto in un paese la cui economia è in condizioni disastrose. Molti arabi che hanno lasciato o sono stati costretti a lasciare le terre erano lì da trent’anni, ed ora vivono in rifugi temporanei, senza i servizi basilari e in attesa che la questione delle proprietà venga risolta o che sia avviato un programma per nuovi insediamenti.

Il rapporto sottolinea che il CPA guidato dagli Stati Uniti non è essenzialmente riuscito ad affrontare nessuna di queste problematiche né ad avviare una strategia per la risoluzione della questione delle proprietà.

Sebbene a gennaio sia stata approvata una legge per nominare una commissione specifica (la Iraq Property Claims Commission, IPCC), in realtà questa è stata resa operativa solo nel momento del passaggio al governo ad interim. Ancora più grave, la legge non è riuscita a fornire i meccanismi per aiutare gli arabi del nord dell’Iraq, che avevano perso o stavano per perdere i ricorsi sulle proprietà, lasciandoli in uno stato di precarietà.

“Il processo di re-insediamento dei kurdi e dei non-arabi non deve portare a nuove ingiustizie verso gli arabi”, ha detto Whitson.

In modo analogo, la leadership kurda non è riuscita a portare avanti una politica coordinata e uniforme per affrontare il rientro anticipato – a Kirkuk ed in altre aree – del flusso di kurdi e di non-arabi o per fornire loro aiuto umanitario.

La HRW afferma che molti arabi intervistati l’anno scorso per il dossier riconoscevano il diritto dei kurdi alla proprietà delle case, ed erano disposti a lasciarle a condizione che qualcuno li aiutasse a trovare un altro luogo dove vivere.

Ma con il passare del tempo, tutti i gruppi diventano sempre più impazienti, poiché non si intravedono nuovi insediamenti ne’ aiuti di alcun tipo, e la tensione continua a crescere in tutta la regione.