SVILUPPO: La fine delle Ong

MADRID, 14 maggio 2004 (IPS) – “Speriamo che prima o poi le Ong smettano di esistere”, ha dichiarato all’IPS David Alvarez Rivas, presidente del Coordinamento di Organizzazioni per lo sviluppo in Spagna (CONGDE). “Questo significherebbe che non avremmo ragione di esistere, dopo un radicale cambiamento nel mondo”, ha sentenziato

Ma la situazione non lascia sperare, almeno in tempi brevi, poiché le imprese multinazionali e un piccolo gruppo di paesi del Nord vogliono mantenere lo stato di dipendenza del Sud, “impropriamente definito ‘in via di sviluppo’, perché si fa poco o niente per il suo sviluppo”, ha aggiunto Alvarez Rivas nella sua intervista con l’IPS.

La CONGDE, creata nel 1988 da sette Ong (organizzazioni non governative), ne riunisce oggi 400 e fa parte della Piattaforma europea di coordinamento delle Ong.

– Fino a che punto le Ong, in Spagna e in altri paesi, possono spronare lo sviluppo dei paesi del Sud'

– Le Ong gestiscono appena l’8 per cento dei fondi per gli aiuti ad altri paesi accordati dal governo spagnolo, e se anche li gestissero tutti e fosse lo stesso nel resto dei paesi sviluppati, sarebbero ancora insufficienti.

– Perché'

– In primo luogo perché la Spagna, con (aiuti allo sviluppo equivalenti a) 0,25 per cento del suo prodotto interno lordo, è ancora lontana dal raggiungere l’impegno globale dello 0,7 per cento promesso (impegno assunto dalle potenze industriali davanti all’Onu). In secondo luogo, perché l’80 per cento di ciò che viene attualmente stanziato per gli aiuti ufficiali allo sviluppo, in realtà viene usato per promuovere il commercio, e per finanziare la vendita di prodotti e servizi spagnoli ai paesi del Sud. Per questo abbiamo proposto al nuovo governo (del socialista José Luis Rodríguez Zapatero) che quei fondi non dipendano più dal Ministero dell’economia, ma passino ad Affari esteri e Cooperazione.

– Se il cambiamento si realizzasse davvero, e fosse esteso ad altri paesi, le Ong avrebbero raggiunto il loro obiettivo' Queste organizzazioni comincerebbero a sparire'

– Assolutamente no. È indubbio che si farebbero dei progressi importanti, ma da qui a poter dire di aver raggiunto i nostri obiettivi, che sono di cooperare affinché i paesi del Sud si sviluppino in modo sostenibile, giusto ed equo, è molto diverso. Questo non avverrà finché non cambieranno le cose nel Nord industrializzato.

– Cosa dovrebbe cambiare'

– La dipendenza esiste perché il Nord vuole che esista, dato che i paesi appartenenti al blocco si nascondono dietro all'idea di “libero scambio”, ma poi praticano un protezionismo disumano, favorito dal Fondo monetario internazionale, dall’Organizzazione mondiale del commercio e altri organismi internazionali. I rapporti del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo indicano che i divari della disuguaglianza, invece di diminuire, aumentano. È inconcepibile che con un livello di ricchezza planetaria mai visto prima e con lo sviluppo tecnologico raggiunto, soprattutto nel Nord, nel Sud si viva nella miseria, con migliaia di bambini che ogni giorno muoiono di fame e con epidemie come l’Aids, la cui prevenzione dovrebbe essere una priorità della cooperazione.

– È una cosa che devono risolvere i governi'

– I governi hanno la responsabilità, è ovvio. Ma in tal senso è responsabile anche la società civile nella sua accezione più ampia. Bisogna cambiare completamente i criteri del mercato di consumo del Nord: solo con ciò che si produce qui potrebbe vivere il triplo della popolazione mondiale. Noi proponiamo un consumo responsabile, quello delle tre “erre”: ridurre, riutilizzare, riciclare. Intervengono questioni etiche; un esempio è che abbiamo firmato il Protocollo di Kyoto (sul cambiamento climatico) ma continuiamo ad aumentare l’emissione di gas inquinanti. Ci sono anche le grandi imprese, che pensano solo a ridurre i costi e incrementare i profitti, trasferendo la produzione in America Latina, Asia o Africa, con maquilas (assemblaggio industriale per l’esportazione in zone franche) o in qualsiasi altro modo. Noi consumatori dobbiamo sempre tener conto della provenienza dei prodotti che consumiamo, di cosa sono fatti, quali informazioni forniscono le imprese, e agire di conseguenza.

– Crede ci sia un rapporto fra terrorismo internazionale e sottosviluppo'

– Il terreno fertile del terrorismo è anche responsabilità in gran parte del Nord, perché non ha saputo capire che lo stimolo allo sviluppo sostiene la non violenza. Anche in Spagna, che fino al 1980 riceveva aiuti da altri paesi, anche dall’America Latina, siamo in parte responsabili, perché disoccupazione, povertà, emarginazione, sono brodi di coltura per il radicamento di ideologie alimentate sia dalle religioni sia dal rancore.

– Sta parlando di religioni terroristiche'

– No, in alcun modo, perché il terrorismo non è una religione e non esiste una religione terrorista. Si può essere fondamentalisti musulmani, cristiani, buddisti o di qualsiasi altro credo, ma il fondamentalismo non è da attribuire alle religioni in generale, né a una di esse in particolare. Però, ribadisco, bisogna offrire alternative alla gente, investire nei paesi del Sud, contribuire affinché le persone possano essere educate sin dall’infanzia, avere accesso a visioni diverse, non lasciare spazio al risentimento. Perché se fin da piccoli si percepisce la prosperità del Nord a discapito di altri popoli, si può finire per essere terroristi.

– Il cambio di governo in Spagna favorirà le azioni di cooperazione'

– È presto per pronunciarsi, dobbiamo aspettare, ci sono promesse cui ci siamo aggrappati con forza. In realtà bisogna sottolineare la positività di un cambiamento di umore, avremo un interlocutore che prima non c’era, e proprio perché mancava non ci siamo seduti al Consiglio per la Cooperazione, per disaccordi di forma e sostanza con il precedente ministro della Cooperazione, Miguel Angel Cortez.

– Su quali paesi mettono l’accento le Ong spagnole'

– Ci preoccupa molto l'area subsahariana, dove la situazione è terribile, anche se per vincoli storici e culturali abbiamo più rapporti con l’America Latina, verso cui è diretta la maggior parte dei nostri progetti. Ma crediamo sia giunto il momento che la politica di cooperazione spagnola sia rivolta ai paesi con minore reddito e soffocati da problemi gravi.