Restituire l’infanzia ai bambini soldato del Sudan

JUBA, 17 aprile 2012 (IPS) – Con l’imminente avvio del processo di reintegrazione dei bambini soldato del Sudan meridionale nella vita civile della comunità, grazie al rinnovato impegno del Movimento armato per la liberazione del popolo sudanese di liberare a marzo tutti i bambini soldato, entro due anni nessuno di loro dovrebbe più far parte delle milizie del paese.

Peter Martell/IRIN Peter Martell/IRIN

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Lo SPLA, ossia il braccio armato del Movimento armato per la liberazione del popolo sudanese, il partito politico separatista del Sudan meridionale, è uno dei pochi eserciti nazionali al mondo che ancora compaiono nella lista di coloro che reclutano bambini soldato. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) ha stimato la presenza di 2mila bambini soldato nel Sudan meridionale. Benché nessuno faccia ufficialmente parte del movimento, sono affiliati con gruppi armati che hanno ottenuto amnistie dal governo e sono stati integrati nell’esercito nazionale.

Se lo SPLA porterà a termine il programma che ha preparato e firmato – rimuovendo tutti i bambini soldato dalle milizie e impegnandosi a dar loro un’istruzione e delle opportunità di formazione – il paese potrebbe essere cancellato dalla lista dell’Unicef tra due anni.

Ma per i bambini soldato il processo di reintegrazione potrebbe richiedere molto più tempo, quello necessario per cominciare la scuola e acquisire le competenze che daranno loro le opportunità per vivere al di fuori delle caserme.

Il processo inizierà, secondo Fatuma H. Ibrahim, direttrice dell’unità di protezione dell'infanzia dell’UNICEF nel Sudan meridionale, assicurando il rilascio formale di tutti i bambini soldato. Nell’andarsene, saranno dati loro abiti civili perché “quello che è militare rimane con i militari,” ha affermato.

I giovani, di età compresa tra i 12 e i 18 anni, saranno sottoposti a incontri di terapia di gruppo con degli assistenti sociali per provare a capire come sono entrati a far parte delle milizie e parlare delle violenze che potrebbero aver subito.

Ibrahim ha dichiarato che circa l’1 per cento di loro “avrà bisogno di un trattamento clinico”, sebbene le loro possibilità siano limitate in un paese con scarse risorse psichiatriche. “È un grosso problema. Alla maggior parte di loro vengono date delle pillole, ma questo è tutto”.

Anche i loro familiari incontreranno gli assistenti sociali per discutere della reintegrazione ed assicurarsi che i bambini vengano nuovamente accolti e scoraggiati dal tornare nelle milizie.

“I genitori devono essere preparati a riceverli,” ha detto Ibrahim. In alcune comunità del Sudan meridionale è prevista anche una cerimonia simbolica di transizione.

In un paese che ha conosciuto la guerra per più di due decadi, l’esercito è spesso una delle poche opportunità economiche praticabili per i ragazzi. Molti dei minori che l’UNICEF e i suoi collaboratori hanno sottratto ai gruppi armati avevano scelto questa strada proprio nella speranza di poter garantire la sicurezza finanziaria per sé e la propria famiglia.

Una delle grandi sfide dell’UNICEF è offrire agli ex bambini soldato nuove opportunità che li dissuadano dal tornare indietro. Dopo la prossima serie di liberazioni, i giovani potranno scegliere tra andare a scuola, possibilità per la quale opteranno molti tra i più giovani, osserva Ibrahim, o imparare un mestiere. Il mercato del lavoro molto limitato nel paese fa sì che i più grandi vengano incoraggiati a sviluppare le proprie capacità in settori come la falegnameria, la cui richiesta è in aumento nelle città in rapida crescita. In futuro, riceveranno una formazione in due campi, nel caso in cui il primo non si riveli abbastanza remunerativo.

L’UNICEF e altre organizzazioni stanno lavorando anche per offrire nuovi stimoli per impedire ai bambini soldato di riarruolarsi. Tra questi c’è anche un progetto di allevamento di bestiame, in cui agli ex bambini soldato vengono affidate delle capre da allevare e nutrire.

Perché il programma funzioni, ha dichiarato Ibrahim, gli stimoli devono essere “significativi”.

Il nuovo piano d’azione del Sudan meridionale è stato firmato ufficialmente il 16 marzo dal ministro della Difesa del paese, dalle forze di pace delle Nazioni Unite nel Sudan del Sud – UNMISS, UNICEF e da Radhika Coomaraswamy, la rappresentante speciale del Segretario Generale di Children and Armed Conflict.

Da quando il Sudan meridionale ha ottenuto l’indipendenza lo scorso anno, il paese ha continuato a subire sporadici episodi di violenza. Nel nord, le ostilità con il Sudan sono incessanti e diverse zone del paese – in particolare lo stato di Jonglei – hanno vissuto continui conflitti fra tribù per i diritti fondiari e il bestiame.

Coomaraswamy ha dichiarato che la maggior parte dei bambini soldato si concentra nel nord del paese, dove le violenze sono più frequenti.

Il Sudan del Sud è stato a lungo presente nella lista dell’Onu prima della sua indipendenza nel luglio del 2010. La prima formazione dello SPLA è stata tra i primi gruppi inclusi nella lista quando fu stilata nel 2002.

Nel 2006 il Sudan del Nord e del Sud hanno firmato un accordo di pace globale che ha messo fine a decenni di conflitti e spianato la strada all’indipendenza del Sudan meridionale. Allora, lo SPLA si era impegnato in un piano d’azione per la liberazione dei bambini soldato, ma non aveva messo in atto completamente quanto si era proposto.

Nel 2009, le organizzazioni di controllo non avevano trovato nessun bambino soldato nel gruppo principale dello SPLA, nonostante fossero ancora presenti nelle milizie.

Coomaraswamy ha spiegato che il rinnovato impegno del paese è dovuto all’importanza della lista delle Nazioni Unite e dalle pressioni dei partner internazionali.

E anche se l’Onu non ha mai sanzionato il Sudan meridionale per il suo coinvolgimento, sostiene che c’è sempre una possibilità che questo accada. La Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, ha ricevuto sanzioni per lo stesso motivo.

Coomaraswamy ha detto che il suo ufficio sta negoziando con RDC, Myanmar, o Birmania, e Somalia – gli unici governi militari che ancora non hanno sottoscritto un piano d’azione di questo tipo.

*Andrew Green scrive dal Sudan meridionale grazie a una borsa di studio dell’International Reporting Project, un programma di giornalismo indipendente con sede a Washington, D.C. © IPS