Donne indigene andine tessono il loro futuro

COCHABAMBA, Bolivia, 13 aprile 2012 (IPS) – La loro abilità e destrezza con i tessuti, esibiti durante le feste o nelle vetrine di prodotti artigianali per turisti, si sono trasformati per le donne indigene di Cochabamba, in Bolivia, nella speranza di sopravvivenza per sé stesse e le loro famiglie.

Tessuti tradizionali boliviani Psyberartist/CC BY 2.0

Tessuti tradizionali boliviani
Psyberartist/CC BY 2.0

“Ci hanno sempre discriminato dicendo che non contribuiamo economicamente, ma le cose cambieranno, adesso siamo organizzate. Nessuno ha mai considerato la nostra abilità con lana e filo, nonostante molte donne siano delle vere professioniste nella lavorazione dei tessuti”, ha dichiarato ad IPS la tessitrice Severina Aguayo, una contadina di 25 anni.

Vive nell’ayllú (comunità tradizionale indigena) Chalviri, nella provincia di Bolívar, situata a 4mila metri sul livello del mare, nel dipartimento centrale di Cochabamba, sede dell’omonima capitale.

Aguayo coordina l’organizzazione comunitaria delle tessitrici ed è tra le promotrici di un nuovo progetto sui tessuti indigeni avviato a febbraio in sette comuni delle quattro province di Cochabamba: Arque, Bolívar, Tacopaya e Tapacarí, che costituiscono la cosiddetta frangia andina del dipartimento.

Sono province rurali, di lingua quechua e scarsamente popolate – appena 100mila abitanti contro il milione e mezzo del dipartimento -, secondo i dati del 2010 dell’Istituto Nazionale di Statistica. In questa zona, tra il 98 e il 99 per cento della popolazione vive in condizioni di povertà e non può usufruire dei servizi primari.

Penalizzate da questa condizione di povertà, da terreni poco fertili in un’area di agricoltura di sussistenza, da temperature bassissime e dall’abbandono dello Stato, le donne di queste province si sono proposte di sfruttare il loro maggior potenziale: l’abilità con i filati.

Il loro obiettivo adesso è produrre tessuti utilizzando le tecniche ancestrali trasmesse di generazione in generazione, venderli e poter contare in questo modo su risorse economiche proprie, per migliorare la vita delle loro famiglie e della comunità, ha spiegato Aguayo.

Le esperienze passate hanno insegnato loro che da sole non potranno raggiungere questo obiettivo, che devono organizzarsi, coinvolgere le autorità locali e regionali per ottenere assistenza tecnica, e amministrare in prima persona le proprie produzioni, affinché non siano altri a beneficiare del loro lavoro, ha spiegato.

Le comunità andine di Cochabamba sono note per la qualità e la tradizione millenaria dei loro tessuti. Donne e uomini sono dei veri e propri artisti con i telai manuali che loro stessi hanno costruito, ed ogni tessuto, in particolare quelli di lana di pecora e di alpaca, è unico, e racconta i sentimenti e le esperienze di vita di chi lo ha creato.

I tessitori lavorano in casa propria. Qui tingono le lane con coloranti naturali fatti con erbe locali, disegnano gli indumenti e li tessono in telai orizzontali, a terra, costituiti da due tronchi, utilizzando strumenti ricavati da ossa di animali come lama e alpaca.

Nelle frazadas (coperte), chompas (maglioni), chalinas (sciarpe), chuspas (borse) o cinture si possono notare figure geometriche che rappresentano animali e piante, caratteristiche dei tessuti Mosoj Kawsay (in quechua “nuova vita”), prodotti esclusivi della frangia andina di Cochabamba, che variano a seconda dell’occasione e se il destinatario è uomo o donna, single o sposato.

La maggior parte della produzione è destinata all’uso familiare e la sua commercializzazione fino ad ora è limitata. Ma la situazione è migliorata con la nascita nel 2005 di un’Associazione di Artigiani Andini, formata da 200 membri, di cui il 90 per cento donne. L’associazione ha un proprio punto vendita nella capitale del dipartimento e vende parte della produzione in Europa e Stati Uniti.

L’esportazione è importante perché, ad esempio, una coperta che nel negozio di Cochabamba si vende a 20 dollari, all’estero viene commercializzata a più di 100, ha spiegato a IPS la direttrice dell’attività, Carmen Cardozo. “Il costo della produzione è elevato, per la lavorazione e il materiale, e gli abitanti della regione non vogliono pagarne il prezzo”, ha sottolineato.

“Vogliamo incrementare la produzione con il nuovo progetto, per assicurare primo di tutto la sovranità e la sicurezza alimentare delle famiglie di contadini attraverso questa attività e, in secondo luogo, generare risorse economiche affinché la donna non dipenda dall’uomo, abbia una propria autonomia e la facoltà di prendere le proprie decisioni”, ha detto Sabina Orellana a IPS.

Orellana, di origine contadina, è la responsabile della Direzione Generale per le Pari Opportunità del governo di Cochabamba. La sua esperienza in diversi progetti l’ha portata a riflettere sul fatto che quando le donne rurali dipendono dagli uomini, sono sempre dominate e discriminate.

“Non vogliamo far nascere delle liti tra uomo e donna, ma che la disuguaglianza che esiste tra i sessi si equilibri almeno in qualcosa, che le decisioni delle donne vengano rispettare e che dispongano di risorse economiche proprie”, ha puntualizzato.

Ha aggiunto che la frangia andina non ha altro potenziale ad eccezione dei suoi tessuti, perché non è possibile praticare l’allevamento di galline o altri animali per mancanza di pascoli e foraggio. Per l’agricoltura, manca l’irrigazione e le temperature estreme ostacolano le alternative alla patata e all’orzo destinati all’autoconsumo.

Ottenere entrate dalla vendita dei tessuti rappresenterà un “grande aiuto economico” per migliorare la situazione delle donne nelle comunità, perché non dispongono di altre risorse, ha detto Filomena Flores, una giovane dell’ayllú Chiñoata, ad Arque, che ora vive nella capitale della regione.

La Flores ha confessato a IPS che quando si trova in città non si dedica al lavoro di tessitura, ma lo fa quando torna nella sua comunità, dove ha imparato l’arte fin da molto piccola osservando sua madre, che fila durante le ore che le rimangono dopo i lavori nel campo e a casa.

Il governo di Cochabamba ha promosso diversi progetti di trasformazione produttiva con un’impostazione basata sull’appartenenza di genere. La Orellana ha però spiegato che i progetti precedenti avevano il problema di essere stati concepiti da tecnici, senza il coinvolgimento delle comunità e delle loro organizzazioni.

Inoltre, non assicuravano la reale partecipazione delle donne e alle riunioni erano solo gli uomini a partecipare e a decidere. Per rimediare a questi errori, il governo del dipartimento ha approvato la proposta del progetto di Miglioramento della Commercializzazione dei Tessuti Mosoj Kawsay.

La Aguayo è una delle promotrici di questo progetto, che coinvolge sette comuni delle quattro province andine. Dispone di un budget pari a 170mila dollari per quest’anno e il prossimo, e all’inizio potrà avvalersi dell’aiuto di 555 donne.

I finanziamenti provengono per il 75 per cento dal governo regionale, per il 20 dai comuni e per il 5 per cento dalle comunità, per poter garantire la sostenibilità ed evitare l’assistenzialismo.

Il progetto, oltre all’assistenza tecnica per recuperare le pratiche ancestrali, contempla la dotazione alle comunità delle risorse per la produzione dei tessuti e l’identificazione dei mercati nei quali commercializzarli.

Secondo Orellana, un aspetto fondamentale del progetto è il “yananti”, il tradizionale concetto andino di parità o equilibrio tra forze opposte e complementari, per cui uomini e donne devono dare lo stesso contributo all’impresa collettiva, avviata per beneficiare il nucleo familiare e la comunità nel suo insieme. © IPS