INTERVISTA: "Il cibo non è un business ma un diritto umano"

NAZIONI UNITE, 16 novembre 2011 (IPS) – Le donne delle aree rurali e i piccoli produttori hanno un ruolo chiave nel provvedere alla sicurezza e sovranità alimentare, ma diverse multinazionali minacciano questi progressi, mettendo a rischio l’indipendenza alimentare della popolazione.

Janaina Stronzake, attivista e coordinatrice del Movimento dei Senza Terra (MST) in Brasile Tressia Boukhors/IPS

Janaina Stronzake, attivista e coordinatrice del Movimento dei Senza Terra (MST) in Brasile
Tressia Boukhors/IPS

Janaina Stronzake, del movimento internazionale contadino La Via Campesina, si occupa di sicurezza e sovranità alimentare attraverso il coordinamento di organizzazioni di piccoli e medi produttori, contadini, donne rurali e comunità indigene di Asia, Africa, America e Europa.

Le Nazioni Unite hanno sottolineato l’importanza delle donne delle aree rurali e dei piccoli produttori in occasione della Giornata mondiale della donna rurale e della Giornata mondiale dell’alimentazione, entrambe celebrate ad ottobre e incentrate sullo sviluppo agricolo nei paesi in via di sviluppo.

Riguardo alla creazione di un sistema alimentare mondiale più responsabile, Stronzake afferma che è indispensabile un “accordo tra i movimenti della base del nord e del sud politici, perché l’alimentazione non è un business ma un diritto umano”.

La corrispondente di IPS Tressia Boukhors l’ha intervistata sul ruolo di piccoli produttori e donne rurali nel raggiungimento della sicurezza e sovranità alimentare, in particolare in Brasile.

Seguono alcuni estratti dell’intervista.

D: Riguardo all’accesso al cibo in Brasile, cosa significa adottare un approccio basato sulla “sovranità alimentare”?

R: In Brasile abbiamo una politica pubblica che garantisce la sicurezza alimentare per garantire alla popolazione un accesso equilibrato agli alimenti. Ma questo non significa necessariamente sovranità alimentare.

Da una parte abbiamo programmi come Fame Zero, ma dall’altra abbiamo anche multinazionali che si stanno appropriando della terra, del sapere culturale e della biodiversità del Brasile.

Per esempio, attraverso i semi transgenici. Questo genere di biotecnologie sviluppate da imprese come Monsanto, Cargill o Bunge creano dipendenza da parte della popolazione.

Perciò, anche se la popolazione ha accesso al cibo, non sarà un cibo sano. Non è una produzione locale e non contribuisce all’empowerment locale della popolazione: la rende invece dipendente dalle multinazionali.

D: Il commercio equo promuove la sostenibilità e migliori condizioni di scambio per i produttori nei paesi in via di sviluppo. Può essere la soluzione per un commercio alimentare più responsabile?

R: Noi di Via Campesina non vogliamo che il cibo sia considerato una merce.

Il commercio equo è una delle componenti che possono porre rimedio alla fame nel mondo. Eppure, alcuni dati del 2009 mostrano una forte concentrazione del commercio di cacao, caffè e tè; perciò se si guarda al commercio equo senza considerare la sovranità alimentare di questi paesi, può anche nascere il problema delle monocolture, e del monopolio di una o di poche Ong che dominano gli scambi del commercio equo.

Nella lotta contro la fame nel mondo, le relazioni tra le persone non si possono basare solamente sul commercio.

D: Qual è il ruolo delle donne nella sovranità alimentare?

R: In questo ambito noi donne abbiamo un ruolo strategico. Storicamente siamo le artefici dei progressi nell’agricoltura e, oggi, siamo direttamente responsabili di nutrire la famiglia e la comunità.

Dobbiamo garantire che le donne continuino ad avere accesso alla sovranità alimentare e alle risorse naturali come acqua, sementi e piante. Le donne devono avere accesso alla terra; per questo serve una riforma agraria condivisa.

Perché le donne possano organizzarsi autonomamente, però, devono studiare per accedere all’istruzione e all’informazione. È necessario il sostegno di istituzioni e Ong.

Q: Le tecnologie possono contribuire a creare un futuro migliore per l’accesso al cibo?

R: Dipende di quali tecnologie si tratta. Se parliamo delle tecnologie delle multinazionali, come quelle transgeniche, le nanotecnologie o le biotecnologie sviluppate in laboratorio, non funzionerà: causano solo problemi.

Ci sono molti studi condotti in Brasile e America Latina sull’impatto di queste tecnologie su popolazione e ambiente.

Ad esempio, in una regione del Brasile sono state rilevate tracce di glifosato (un composto sintetico) nel 100 per cento dei raccolti, e tutte le donne che allattavano sono state contaminate da questo veleno.

Perciò quando parliamo di tecnologie, deve essere una tecnologia realmente sostenibile. Dobbiamo concentrarci sulle tecnologie locali, sviluppate e controllate dalle stesse comunità e che siano adatte specificamente per quella regione.

Sono “tecnologie sovrane”, non tecnologie che creano dipendenza.

Quindi se vogliamo tecnologie che migliorino la produzione, dobbiamo affiancarle a una strategia di sovranità alimentare. La tecnologia senza la sovranità alimentare non risolverà il nostro problema. © IPS