SIRIA: Aumentano le proteste

BEIRUT, 18 aprile 2011 (IPS) – Nonostante le scarse notizie ufficiali provenienti dalla Siria, le informazioni che trapelano dagli attivisti sul campo rivelano uno scenario sempre più preoccupante. Mentre il governo mantiene la riservatezza sui risvolti delle proteste, le preghiere del venerdì continuano ad alimentare un dissenso che sembra sempre più diffuso in tutte le classi sociali.

“La popolazione è furiosa, soprattutto dopo che gli uomini arrestati nella città di Banyas sono stati rilasciati e hanno potuto raccontare delle torture subite”, spiega un attivista, che chiede di restare anonimo per ragioni di sicurezza.

Il 13 aprile, Al Jazeera riferiva di almeno 200 uomini residenti di Banyas fermati dalle forze di sicurezza. L’attivista racconta che giovedì scorso le donne della città hanno manifestato per chiedere il loro rilascio.

“La rivoluzione ha sviluppato delle sue dinamiche proprie. Quando il regime uccide dimostranti, aumenta la rabbia nelle strade, e questo suscita più proteste”, dice Anas al-Abdah, membro fondatore del gruppo d’opposizione siriano Movimento per la giustizia e lo sviluppo.

Negli ultimi giorni, le manifestazioni hanno visto affluire migliaia di persone, e i movimenti per la democrazia si stanno diffondendo ad altre città come Baida, Latakia, Douma (alla periferia di Damasco) e Homs. Nel villaggio di Ain Arab, nella Siria del nord, un gruppo di 600 curdi ha organizzato una protesta pacifica durata un’ora, riferisce l’AFP.

Domenica, Al Jazeera ha riferito che durante le proteste vicino alla città siriana di Homs almeno cinque persone sono state uccise. Ha citato alcune fonti del governo secondo cui due agenti di polizia sono rimasti uccisi nella città di Talbiseh domenica, e altre fonti secondo cui sarebbero stati uccisi dei manifestanti.

Amnesty International ha detto che il conflitto con la Siria ha causato fino ad oggi 171 morti, e sarebbero 972 gli arresti secondo una lista fornita da un attivista.

“Il regime ha scelto la strada della repressione violenta. A questo punto non può più tornare indietro, perciò sì, prevedo un grande spargimento di sangue. Ma sottolineo che la violenza viene perpetrata solo da una parte”, dice Abdah.

Venerdì scorso, il presidente Bashar al-Assad ha annunciato il rilascio di centinaia di dimostranti, eccetto quelli coinvolti in atti “criminali”. Il governo siriano sostiene che dietro gran parte delle violenze che colpiscono il paese ci sarebbero vere e proprie bande organizzate. L’agenzia di stampa ufficiale siriana Sana, citando fonti istituzionali, ha aggiunto che 19 persone, compreso alcuni membri delle forze di sicurezza, sarebbero stati uccisi da “bande armate”.

“Gli uomini armati sono pagati dal regime e sono noti come ‘shabiha’, vengono mandati nei quartieri delle città per attaccare i dimostranti”, racconta Abdah.

I media filo-statali parlano di un complotto esterno per rovesciare al-Assad, accusando Stati Uniti, Arabia Saudita e fazioni libanesi anti-siriane; accuse ridicole, secondo gli attivisti siriani.

Queste affermazioni non hanno fermato i manifestanti, che inizialmente dicevano di battersi per la libertà ma adesso chiedono un cambiamento di regime. “Anche se le proteste sono piuttosto limitate per numero e portata nelle grandi città come Damasco e Aleppo, il fatto che ci siano è di per sé molto significativo”, dice un attivista.

“La Siria sta assistendo a una rinascita della società civile, che attualmente è allo stato embrionale, alcuni leader comunitari locali cominciano ad emergere e a guidare i movimenti di protesta”, aggiunge Abdah.

In risposta, il governo siriano si muove su due piani diversi: da una parte reprime duramente i dimostranti, mentre dall’altro ha accettato di incontrare una delegazione di Daraa, una città divenuta il simbolo del dissenso siriano. Il presidente al-Assad ha promesso che la legge sullo stato d’emergenza, in vigore dal 1963, verrà abolita entro il 25 aprile. Attuare le riforme è ormai un passo assolutamente necessario per il regime, se vuole sopravvivere.

Ma nonostante le promesse di cambiamento, le violenze continuano. Nelle ultime settimane, alcuni casi di morte sospetta tra i militari sollevano dubbi sul fatto che i soldati vengano uccisi perché si rifiutano di sparare contro i manifestanti.

Per Abdah, nonostante la presenza di una élite militare fedele alla famiglia Assad, la grande maggioranza dell’esercito sarebbe composta da comuni cittadini siriani. “Cominciano le spaccature all’interno dell’esercito. Secondo alcune notizie confermate, alcune reclute e giovani ufficiali sarebbero stati uccisi per aver disobbedito agli ordini di sparare contro i dimostranti. Abbiamo i nomi di queste persone. E ci sono altre notizie sempre confermate di diserzioni tra le reclute per evitare di uccidere i civili”, aggiunge.

Se l’uso della forza estrema contro i civili continuerà, l’esercito si troverà di fronte a una scelta difficile: diventare parte attiva nella sanguinosa repressione, o prendere posizione contro le forze di sicurezza.

Ma in una recente dichiarazione, il ministro dell’interno siriano afferma che il regime potrebbe cambiare la sua strategia, e accenna a una possibile escalation nelle violenze contro i dimostranti: “Non c’è più spazio per l’indulgenza e la tolleranza nel far rispettare la legge, mantenere la sicurezza del paese e dei cittadini, e tutelare l’ordine pubblico. © IPS