Il velo è un foulard sul capo

BRUXELLES, 20 aprile 2011 (IPS) – Mentre in Belgio politici, accademici, dirigenti d’impresa e femministe sono alle prese con il dibattito sulla legge che vieta di indossare il velo nelle istituzioni pubbliche e non solo, due imprenditrici stanno cercando di portare il tema del velo fuori dal dibattito politico del paese. Inge Rombatus e Fatima Rafiy gestiscono la boutique esclusiva di hijab Noor D’Izar, che offre alle donne “una soluzione alla moda senza guardare alle ragioni per cui si sceglie di indossare un foulard sul capo”, spiega Inge Rombauts.

Le figlie di Fatima Rafiy e Inge Rombaut indossano un foulard sul capo e un foulard con sciarpa intorno al collo Carmen de Vos

Le figlie di Fatima Rafiy e Inge Rombaut indossano un foulard sul capo e un foulard con sciarpa intorno al collo
Carmen de Vos

Fatima, che è musulmana e Inge, non musulmana, hanno le idee chiare su dove finisce la politica e comincia la moda. “Non vogliamo entrare nel dibattito politico, vogliamo andare oltre”, dice Rombauts. “Alle donne è sempre piaciuto avvolgersi in ogni tipo di abito e accessorio, dal sari al sarong, dal foulard al velo sul capo”.

“Non dovremmo isolare le donne musulmane che scelgono di indossare un velo o hijab, così come non dovremmo isolare una persona affetta da tumore che indossa un velo sul capo perché ha perso i capelli a causa di una chemioterapia. Noi vogliamo che il tema del velo resti fuori dal dibattito politico e offra alla donna moderna, che sia musulmana o non lo sia, un nuovo look contemporaneo”.

Parlando con alcune donne nella showroom di Noor D’Izar, nel centro di Anversa, emerge chiaramente che hanno un'idea chiara. “Non capisco perché la gente debba sentirsi minacciata da un foulard sulla testa. Personalmente, non sono né favorevole né contraria; le persone dovrebbero essere libere di fare la propria scelta”, dice Inge.

Accanto alla boutique, due adolescenti (che poi si scopre, sono le figlie di Inge e Fatima), si scambiano sorrisi di complicità. Una indossa un hijab color porpora, l’altra un foulard di pizzo a fiori anni ’70. Fatima, mentre sistema con abilità i foulard sul capo delle due giovani, aggiunge: “Non sarebbe bello se, invece di discutere del tema del velo ai due estremi opposti, pensassimo a una soluzione che sia accettabile sia per chi è contrario sia per chi è favorevole al velo nei luoghi pubblici?”.

Esistono tanti tipi diversi di foulard, ma adesso in Belgio il più controverso è l’hijab, un velo che copre la testa e il collo. Mentre alcuni paesi occidentali hanno cominciato a mettere un freno agli indumenti che coprono il volto, come il burqa o il niqab – laddove Irlanda e Olanda hanno vietato il burqa nelle scuole, e proprio di recente la Francia lo ha bandito dai luoghi pubblici – molti non sanno quale posizione prendere nei confronti dell’hijab, e che ruolo debba avere nel dibattito sulla libertà di scelta e l’emancipazione delle donne.

“Spesso le persone pensano che gli uomini musulmani costringano le proprie donne a indossare l’hijab, o che il Corano lo imponga, ma non è vero. Io ho cominciato a indossare l’hijab all’età di 24 anni, dopo essermi sposata e aver avuto la mia prima figlia”, racconta Fatima. “La decisione di indossare l’hijab è una scelta molto personale; ogni donna deve decidere per sé, se e quando indossarlo. Mia figlia Yassira (17 anni) ha deciso di non mettere il velo, e io rispetto la sua scelta. Se dovesse cambiare idea, rispetterò anche quella scelta”.

Inge condivide le opinioni della partner. “Ci sono uomini che chiedono alle loro donne di indossare l’hijab? Sicuramente ci saranno; così come ci sono uomini che chiedono alla propria moglie o compagna di mettere i tacchi alti e abiti sexy. Il gioco del potere tra i sessi non è esclusivo di una religione o cultura; funziona a livello individuale”.

Yassira indossa con disinvoltura un fazzoletto blu elettrico che può rappresentare la risposta perfetta a questo dilemma: un foulard che può essere indossato come un hijab oppure, con una piccolo movimento, può trasformarsi in una semplice sciarpa annodata al collo. Indossato così, non ha assolutamente l’aspetto di un hijab, eppure basta sistemarlo in modo diverso per farlo diventare un hijab tradizionale che ricopre la testa e il collo. “Non lo abbiamo inventato noi”, chiosa Inge, “le nostre clienti lo hanno sperimentato con i nostri prodotti e sono venute a proporci questa soluzione”.

La loro soluzione può forse rispondere all’interrogativo: indossare il velo o non indossarlo. Esistono poche altre espressioni in grado di infiammare tanto facilmente un dibattito così acceso.

Il velo è di per sé un simbolo religioso? Significa la repressione della donna in una società patriarcale, e dovrebbe essere bandito da scuole e istituzioni pubbliche? Le imprese possono chiedere alle proprie impiegate di togliere il velo sul posto di lavoro, relegandole a mansioni secondarie o perfino licenziandole se si rifiutano di farlo?

Il dibattito, che negli ultimi anni sta imperversando in tutta l’Europa occidentale, ha raggiunto il suo apice in Belgio all’inizio di marzo, quando il colosso olandese del commercio al dettaglio Hema ha licenziato una dipendente perché aveva cominciato a indossare il velo al lavoro – dopo aver chiesto il permesso alla direzione. L’impresa ha menzionato “la reazione negativa di alcuni clienti”.

La mossa si è rivelata un boomerang per l’azienda. Dai social media sono partite iniziative di protesta, e i clienti infuriati hanno organizzato un’azione di flash mob: alcune donne con indosso il velo hanno occupato uno dei negozi Hema.

Ad oggi, il Belgio non ha una legge uniforme sull’uso del velo o hijab nei luoghi pubblici. Le scuole sono autogestite, in quanto autorità locali, ma il partito conservatore fiammingo N-Va, principale partito del paese, di recente si è dichiarato favorevole al divieto di ogni simbolo religioso all’interno degli edifici del parlamento. Resta da vedere come esattamente verrà definito un simbolo religioso.

Anche la posizione dei gruppi femministi sul tema del velo in pubblico è controversa. Chi è a favore del divieto dice spesso di sostenere l’emancipazione delle donne musulmane, mentre chi si oppone sottolinea che il velo non esclude necessariamente l’emancipazione. E mentre molte femministe occidentali non sostengono il velo, molte altre non sono necessariamente favorevoli al divieto.

L’organizzazione femminista belga VOK (Vrouwen Overleg Komitee) è dell’idea che sia la libertà di religione che la libertà di parola siano valori democratici fondamentali che non possono essere violati. VOK pensa che la libertà di donne e giovani di fare la propria scelta sia fondamentale. © IPS