La guerra dell’acqua in Asia e America Latina

RIO DE JANEIRO, 17 aprile 2011 (Terra) (IPS) – I grandi paesi emergenti come Brasile e Cina continuano a costruire nuove centrali idroelettriche per spingere la loro espansione economica. Ma mentre in America Latina il fenomeno viene vissuto come un processo di integrazione, in Asia sta generando tensioni per lo sfruttamento dei fiumi in comune.

Agência Brasil Agência Brasil

Agência Brasil
Agência Brasil

Il Brasile, leader di questa strategia in America Latina, ha un accordo per costruire cinque centrali idroelettriche in Perù, e vorrebbe costruirne altre due analoghe legate ad accordi con la Bolivia: una joint venture tra i due paesi sul tratto del fiume Madeira che delimita la frontiera, e un altro impianto esclusivamente boliviano.

Gran parte dell’energia ricavata da tutti questi progetti verrà esportata in Brasile, dove il governo prevede un aumento della domanda di elettricità del 5,9 percento all’anno fino al 2019, quando si calcola che serviranno 167mila megawatt di capacità installata, di cui due terzi provenienti da fonte idroelettrica.

La costruzione di dighe fuori dal paese è un modo per eludere la forte opposizione di popolazioni indigene e gruppi ambientalisti della Amazzonia brasiliana, dove si concentra la quasi totalità del potenziale idroelettrico nazionale ancora inutilizzato.

Cachuela Esperanza, una cittadina nel nord della Bolivia e vicina al confine brasiliano, lungo il fiume Beni, riceverà una potenza di 990 megawatt, secondo un progetto della società di consulenza canadese Tecsult. Quasi l’equivalente dell’intera domanda di energia della Bolivia.

“Sarà un progetto vantaggioso solo se si esporterà più del 90 percento della produzione”, ha commentato Walter Justiniano, ingegnere specializzato di Guayaramerín, città al confine settentrionale della Bolivia con il Brasile. La distribuzione di energia all’interno della Bolivia, ha spiegato, richiederebbe infatti l’installazione di centinaia di chilometri di linee elettriche, visto che la città più vicina si trova a mille chilometri di distanza.

Intanto, il progetto della diga del Ribeirão, sul fiume Madeira, dovrebbe avere una capacità di 3mila megawatt: una potenza simile alla diga di Itaipú, la seconda centrale idroelettrica al mondo, costruita 27 anni fa dal Brasile alla frontiera col Paraguay. Il Paraguay non è mai riuscito a consumare più del 10 percento dell’energia prodotta da Itaipú, nonostante avrebbe diritto alla metà.

Questi due progetti sono ancora allo studio di fattibilità, sostiene Alberto Tejada, responsabile della produzione dell’azienda elettrica statale Empresa Nacional de Electricidad (ENDE).

Il progetto di Cachuela Esperanza dipende dalla valutazione di “questioni tecniche, politiche di sovranità, sicurezza e tutela ambientale”, ha detto il funzionario. “I negoziati e gli accordi per il finanziamento e la realizzazione non sono avanzati molto”, ha ammesso, anche se a gennaio il presidente boliviano Evo Morales si è detto intenzionato a promuovere lo sviluppo del progetto.

Il progetto sulle rapide Ribeirão dipende invece da un accordo fra Bolivia e Brasile, “che garantisca l’applicazione dei trattati sulla libera navigazione dei fiumi internazionali”, ha detto Tejada, e ha aggiunto che un’équipe di tecnici boliviani sta studiando il potenziale idroelettrico dei tre fiumi del bacino in comune con il Brasile, che servirà come punto di partenza per i negoziati.

I corsi d’acqua sui quali le dighe verranno costruite, sia in Bolivia che in Perù, sono affluenti dei grandi fiumi amazzonici brasiliani, come il Madeira e il Solimões.

Il buco nero dell’Asia

La situazione è molto più complessa in Asia, dove nell’altopiano del Tibet nascono i due grandi fiumi che scorrono verso l’India e il sudest asiatico. La crescente domanda della Cina aumenta il consumo di energia molto più velocemente che in Brasile, con i suoi 1,3 miliardi di abitanti e una crescita economica costante di oltre il 10 percento l’anno.

La Cina avanza in almeno 81 grandi progetti idroelettrici solo sui fiumi Mekong, Yangtze e Salween. Ma tutte queste dighe preoccupano i paesi vicini, che dipendono dagli stessi corsi d’acqua per i loro bisogni.

Cambogia, Laos, Tailandia e Vietnam hanno creato nel 1995 la Commissione del fiume Mekong (Mekong River Commission) per promuovere una gestione sostenibile e cooperativa del corso d’acqua.

Le 21 dighe cinesi preoccupano non poco i quattro paesi colpiti nell’estate 2009 da una grave siccità che ridusse così tanto il flusso del Mekong da far pensare ad uno sfruttamento eccessivo del fiume da parte della Cina.

Organizzazioni non governative come la Rete internazionale dei fiumi (International Rivers Network, IRN) hanno criticato duramente la debole resistenza opposta dalla Commissione del fiume Mekong di fronte alle pressioni cinesi.

Per di più, a marzo il Laos ha annunciato la costruzione della diga idroelettrica di Xayaburi, con una capacità di 1.260 megawatt, suscitando le forti proteste del Vietnam, che teme gravi danni all’agricoltura e all’allevamento ittico del delta del Mekong.

Ma Xayaburi è solo la prima delle 11 centrali che i governi di Cambogia, Tailandia e Laos progettano di costruire lungo il fiume Mekong, di cui nove solo nel Laos.

Simili le preoccupazioni dell’India rispetto alle nuove dighe costruite da Cina, Nepal e Bhutan sui fiumi adiacenti, dove l’India stessa cerca di fare leva sulla propria influenza per accedere all’elettricità a basso costo.

Anche in Birmania, le dighe costruite da Cina, Tailandia, India e Bangladesh offrono a questi paesi la possibilità di accedere a energia a basso costo senza doversi assumere le responsabilità di un impatto sociale, economico e ambientale negativo. I forti movimenti di opposizione contro la costruzione delle dighe in Tailandia, per esempio, rendono particolarmente attraenti i progetti in Birmania.

In Birmania sono attualmente in fase di implementazione 29 progetti per la produzione di energia idroelettrica, per una capacità totale di 19.413 megawatt, mentre altre 14, per una capacità di 13.971 megawatt, sono in fase di progettazione. Il novanta percento dell’intera energia generata è destinata all’esportazione.

A realizzare il maggior numero di dighe sono ovviamente le imprese cinesi, nel paese e nelle nazioni vicine, un altro esempio della crescita del gigante asiatico “grandissimo investitore nella regione”, afferma Carl Middleton, della campagna per il Mekong di IRN.

Il Brasile, un ruolo simile, su scala minore

Il Brasile gioca un ruolo analogo ma in scala minore in America Latina, dove nei principali progetti di costruzione di dighe sono coinvolte imprese come Odebrecht, Andrade Gutierrez, Camargo Corrêa e Queiroz Galvão.

Ma il paese latinoamericano tenta di esercitare un potere più sottile rispetto alla Cina, dove le imprese tendono a impiegare lavoratori cinesi per i progetti all’estero, limitando le assunzioni e la formazione di manodopera locale.

Quasi tutti i paesi dell’America del Sud hanno surplus di energia e disponibilità di fonti come petrolio, energia idroelettrica, gas naturale o carbone. Inoltre, “alcuni stati hanno le risorse naturali, ma non i capitali né la tecnologia”, spiega Daniel Falcón, diplomatico della Divisione risorse energetiche non rinnovabili del ministero degli Esteri brasiliano. Condizioni, aggiunge, che spiegano la spinta ad una “integrazione energetica” che, oltre alla “complementarietà”, incoraggia “una reciproca comprensione e familiarità tra i diversi paesi vicini”.

È uno dei principali temi affrontati dall’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) dal 2007, un blocco regionale che ha già definito linee direttrici e piano d’azione, e adesso sta negoziando un trattato sull’energia. “Non esiste nessuna iniziativa analoga al mondo, neanche nell’Unione europea”, ha assicurato Falcón.

Cachuela Esperanza porterà alla Bolivia nuove entrate fiscali, più energia per le attività produttive, e una migliore qualità di vita nell’area della foresta amazzonica nel nord del paese, oltre a ridurre l’uso di idrocarburi per generare elettricità e a limitare le emissioni di gas a effetto serra, sostiene il funzionario dell’azienda statale, Tejada.

Ma allo stesso tempo richiederà una diga grande “quasi quanto quella di Itaipú”, che inonderà aree di foresta pluviale in Bolivia, avverte l’ingegnere Justiniano. In questo, l’esperto concorda con altri detrattori della costruzione di dighe idroelettriche “brasiliane” in Bolivia e Perù, secondo cui sarebbero superflue e non farebbero che distruggere la ricca biodiversità caratteristica di questi due paesi. © Terra www.terranews.it

*Con il contributo di Franz Chávez (La Paz) e Keya Acharya (Bangalore)

** Articolo pubblicato sul quotidiano ecologista Terra il 16 aprile 2011