GENDER: Il maschilismo nascosto tra la ‘o’ e la ‘a’

ROMA, 11 gennaio 2010 (IPS) – Cosa succede alla lingua e alla forma usata per riferirsi alle donne quando cominciano ad occupare posti di responsabilità? Dipende dalla lingua.

In italiano, la maggior parte delle donne preferisce titoli maschili, perché la versione femminile (quando esiste) è considerata ridicola, se non peggiorativa.

In spagnolo, una lingua molto vicina all’italiano, è diverso. Si tratta quindi di un problema grammaticale o sociale?

“Il problema non è solo il maschilismo della lingua, quanto la mancanza di attenzione al problema e di direttive su come denominare e interpellare le donne in modo corretto”, spiega Angelica Mucchi-Faina, docente di psicologia presso l’Università di Perugia. “La lingua rispecchia la società. Fino a pochi decenni fa, tutte le posizioni di potere e responsabilità pubblica erano occupate esclusivamente da uomini. Quindi i ruoli relativi sono stati definiti ‘al maschile’”, osserva.

Le lingue indoeuropee, come lo spagnolo e l’italiano, distinguono tra maschile e femminile, a differenza dell’inglese moderno, dove il genere grammaticale è assente.

“La discriminazione linguistica contro le donne si manifesta attraverso diversi canali”, sostiene José Luis Aliaga Jiménez, docente di linguistica dell’Università di Zaragoza, in Spagna. “Configurazione e funzionamento del genere grammaticale in lingue come lo spagnolo e l’italiano non sono forse l’elemento più importante, ma senz’altro il più significativo a livello simbolico”, ha sottolineato.

Quando ci si riferisce a ruoli importanti, in italiano si parla ad esempio del “ministro Mara Carfagna”, eppure si tratta del ministro delle pari opportunità, ed è una donna; mentre in spagnolo esiste solo il termine “ministra”.

“La maggior parte dei paesi ha fatto specifiche raccomandazioni per evitare il sessismo nella lingua e negli appellativi alle donne. Anche in Italia, nel 1986, la Presidenza del Consiglio dei Ministri promulgò raccomandazioni analoghe, ma invece di prenderle sul serio e di applicarle, sono state oggetto di sarcasmo e ilarità e poi dimenticate”, ha ricordato Mucchi-Farina.

“Contrariamente a ciò che è successo in altri paesi, in Italia non esiste una regola generale e ognuno può scegliere se usare neologismi come ‘ministra’ oppure il tradizionale ‘ministro’ per una donna”, spiega l’esperta.

Secondo Luisa Capelli, del partito L’Italia dei Valori, “l’abbandono della presunta neutralità universale, che si nasconde dietro al maschile, è un passaggio fondamentale verso l’affermazione di un’altra valutazione dell’esperienza femminile”.

“Non è vero che non esistono questi termini (per i ruoli di potere): ci sono fior fior di scritti di femministe, linguiste e semiologhe che.. hanno fatto una serie di proposte”, segnala Capelli. “Si dice ‘avvocata’ e ‘ministra’ ma nessuno lo usa… Rovesciare l’ordine simbolico è un lavoro assai faticoso che richiede lo sviluppo di un consenso esteso, basato su convinzioni profonde delle persone”, ha affermato.

Il sessismo nella lingua è stato identificato per la prima volta come un problema globale durante la prima Conferenza mondiale sullo stato delle donne (Messico, 1975), cui seguirono diverse proposte e direttive. Nel 1989, L’Organizzazione per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco) pubblicò l’opuscolo “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua”, per aiutare “autori e editori ad evitare di scrivere in modo tale da rafforzare atteggiamenti e presupposti discutibili sulle persone e sui ruoli di genere”.

Dagli anni ’80, Spagna e Italia hanno preso strade diverse.

Il “Manuale amministrativo non sessista” pubblicato nel 2002 dall’Associazione degli studi storici delle donne dell’Università di Malaga, Spagna, riassume il sentire comune: “Le lingue evolvono per rispondere alle necessità delle comunità che le utilizzano. In una società come la nostra, dove c’è una richiesta di eguaglianza, la lingua, come prodotto sociale, non solo deve riflettere l’eguaglianza, ma deve contribuire a promuoverla”, si legge.

Lo spagnolo, tuttavia, pur avendo diffuso l’uso del femminile per i ruoli di prestigio, non ha eliminato le discriminazioni nella lingua…

Il tema apparentemente banale dei titoli femminili è finito recentemente sulle prime pagine dei giornali quando Bibiana Aido, ministro per le pari opportunità della Spagna, ha usato in pubblico il termine “miembra” (membra).

Perché tanto scompiglio? È che questo termine ancora non esiste. Per ora.

“Nella maggior parte dei nomi personali”, afferma Aliaga Jiménez, “esiste una correlazione tra genere grammaticale e significato referenziale del ‘sesso’. È una correlazione culturalmente significativa”.Tutti i sostantivi che si riferiscono al sesso terminano con una variazione di genere, presto o tardi. Ed è in questo contesto che nascono le parole 'miembra', 'testiga' (testimone), poiché, secondo la regola spagnola comune, la terminazione in ‘-a’ definisce il genere femminile”.

“Testigo” e “miembro” sono al momento due eccezioni alla regola, e non hanno una variante femminile accettata ufficialmente.

“Le persone che non conoscono la storia della lingua sono quelle che si sentono oltraggiate dai neologismi, mentre accettano altre parole che hanno suscitato scandalo in passato”, dice Aliaga Jiménez. “L’idea che la lingua cambi solo in peggio non ha fondamenti linguistici”.

Secondo Irene Giacobbe, dell’Associazione Power Gender, la differenza con la Spagna è che in questo paese “c’è stata una presa di posizione chiara e precisa e una risposta positiva del governo (di José Luis Rodríguez) Zapatero”.

“Ma siamo in ritardo su tutto”, afferma. “L’Italia ha modificato le leggi che riguardano il diritto di famiglia negli anni ‘70.

L’abrogazione delle norme del codice fascista Rocco che definiva lo stupro un attentato alla morale e non un delitto contro la persona è stata modificata nel 1996. Questo è un paese in cui la storica fobia per il genere femminile è stata mascherata da un grande interesse per la maternità, e ci vuole un bel po’ per smantellarla”.

Cosa fare, allora?

“Il problema è la scarsa presenza di donne nei ruoli di potere”, ha aggiunto. “In questo paese c’è uno tra i più bassi numeri di donne negli organi dirigenziali delle aziende, un bassissimo numero di donne parlamentari…. I ragazzi e le ragazze, finché restano all’interno delle strutture scolastiche, pensano di essere uguali; la differenza la scoprono quando si affacciano per la prima volta sul mondo del lavoro. Le ragazze capiscono che anche se si sono laureate con il massimo dei voti e in tempi molto più brevi rispetto ai loro colleghi maschi, il sistema non le premia… Tutto questo è stato studiato e analizzato. Deve però diventare materia di dibattito pubblico”, ha sottolineato. ©IPS