CLIMA: Protestano le vittime dei gas serra

VITERBO, 4 dicembre 2009 (IPS) – “Arrabbiata” non è il primo aggettivo che viene in mente quando si incontra per la prima volta Nelly Damaris Chepkoskei.

La protesta di alcune vittime del cambiamento climatico Paul Virgo/IPS

La protesta di alcune vittime del cambiamento climatico
Paul Virgo/IPS

La 53enne keniota elargisce generosamente tempo e sorrisi, che illuminano il suo bel volto, e non perde l’occasione di fare battute, ridendo di cuore.

Ma si infiamma quando racconta come la sua vita da contadina sia cambiata negli ultimi 20 anni nel distretto di Kericho, Kenia occidentale.

È arrabbiata perché la scarsità di piogge ha ridotto drasticamente la produttività dei suoi campi; perché deve lottare per provvedere alla sua famiglia; e, soprattutto, perché è convinta che i suoi problemi siano dovuti al cambiamento climatico causato dai paesi ricchi, che bruciano carbonio e hanno uno stile di vita che, in confronto al suo, è a dir poco lussuoso.

“Era una zona ad alta produttività. Pioveva tutto l’anno. Ma ora le piogge possono non arrivare fino a novembre. La produzione di cibo è diminuita di tre quarti”, ha detto all’IPS alla conferenza “Greenaccord” tenutasi nella città di Viterbo, vicino a Roma.

“Il tè è la nostra coltura da reddito, il granturco è il cibo principale di cui alle volte vendiamo l’eccedente, (così come) i fagioli e gli ortaggi. Avevamo moltissimi capi di bestiame, ma ora l’erba è secca e possiamo tenere solo due o tre animali per la produzione del latte”.

“Di questi tempi, dobbiamo percorrere lunghe distanze per l’acqua. I torrenti più piccoli si sono prosciugati completamente. È ormai praticamente impossibile mantenere le famiglie. Non riesco neanche a mantenere mia madre. Non posso più mantenare i miei suoceri. Posso solo dare da mangiare ai miei otto figli. Se mi ammalassi, non potrei permettermi di andare in ospedale. Sì, questo ci fa arrabbiare”.

Nelly è tra le dieci persone che l’organizzazione ambientale WWF ha portato a fine novembre all’incontro di Greenaccord, da paesi come l’Australia, il Guatemala, la Mongolia e l’India, per testimoniare come il cambio climatico stia devastando le loro vite e per spingere i leader mondiali a prendere posizione alla conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite che si terrà a Copenhagen tra pochi giorni.

Gli esperti affermano che i più poveri subiranno maggiormente gli effetti del cambiamento climatico, specialmente nell’Africa sub-sahariana e nel sud Asia, in un mondo nel quale già molti soffrono di fame cronica, i cui numeri superano per la prima volta il miliardo, secondo la FAO.

In un dossier pubblicato a settembre, l’International Food Policy Reserch Institute afferma che la produzione di riso in sud Asia si ridurrà del 14 per cento a causa del cambiamento climatico entro il 2050, mentre le scorte di grano, riso e granturco nell’Africa sub-sahariana diminuiranno rispettivamente del 34, 15 e 10 per cento.

Come Nelly, Mbiwo Constantine Kusebahasa, 70 anni, un contadino proveniente dalla regione dei monti Rwenzori in Uganda, sta già subendo gli effetti del cambiamento metereologico. Prima aveva due stagioni all’anno di semina, marzo-aprile e luglio-agosto, per granturco, patate dolci, fagioli, manioca e verdure, mentre oggi a causa dell’imprevedibilità delle piogge non riesce più a pianificare il lavoro.

“Bisogna indovinare quando seminare perché le piogge non sono più quelle di una volta”, ci spiega. “Posso solo usare l’immaginazione e seminare alimenti. I raccolti sono molto, molto scarsi”.

“Si ripercuote anche sui miei figli, perché non riesco a pagare le loro tasse scolastiche. La fame è un problema in tutto il paese. E la causa è il cambiamento del clima. C’è molta meno pioggia. Molte persone si trovano nella mia stessa situazione. La maggior parte dei contadini è povera. Siamo infuriati anche perché conosciamo i fattori che sono all’origine della siccità”, ha affermato Kusebahasa.

Ma la siccità è solo uno dei problemi. L’incremento di eventi atmosferici quali tempeste e alluvioni colpisce i raccolti, e ulteriori minacce sono rappresentate dall’innalzamento dei livelli del mare e dalla scomparsa dei ghiacciai che alimentano gran parte dei più grandi fiumi del mondo.

“L’innalzamento di un metro del livello del mare significa l’innondazione di grandi aree dell’Asia”, ha detto Janet Larsen, direttore della ricerca dell’Earth Policy Institute, Stati Uniti.

“Lo scioglimento dei ghiacciai stagionali alimenta molti dei fiumi della regione, come il Gange e lo Yangtze, e se scomparissero, l’irrigazione ne risentirebbe…Copenhagen sarà anche una conferenza sulla sicurezza alimentare”, ha aggiunto Larsen.

Secondo il WWF, i suoi esperti hanno potuto verificare che Nelly, Constantine e gli altri testimoni vittime del clima subiscono realmente gli effetti dei fenomeni causati dal cambiamento climatico, e non da temporanee variazioni matereologiche. Inoltre, la diminuzione nella produzione di cibo non è l’unico impatto negativo.

Sia Nelly che Constantine, ad esempio, affermano che l’innalzamento delle temperature ha permesso alle zanzare di diffondersi nelle aree d’alta quota, favorendo l’incidenza dei casi di malaria.

Il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), agenzia delle Nazioni Unite per la povertà rurale con sede a Roma, afferma che i leader mondiali dovrebbero considerare tra le loro priorità le condizioni di persone come Nelly e Constantine nei dibattiti di Copenhagen, poiché i piccoli agricoltori e le loro famiglie nei paesi in via di sviluppo, che raggiungono i due miliardi, circa un terzo della popolazione mondiale, sono molto esposti.

Oltre ad un’azione decisiva per rallentare il surriscaldamento globale, ciò che queste persone chiedono agli stati e ai leader che si riuniranno a Copenhagen è un aiuto per potersi adattarsi ad un problema di cui non sono responsabili; fondi per investimenti nel settore agricolo per dar loro il know-how, gli strumenti e le sementi necessarie per salvare la produzione. Ciò che chiedono è un’opportunità, non elemosina.

“Vorrei dir loro (ai leader di Copenhagen) di insegnare a pescare, non di regalare il pesce. Non bisogna donare ciecamente, ma seguire le sorti della produzione sul terreno. I donatori spesso non controllano l’impatto delle proprie donazioni”, ha detto Nelly.

“Le nostre comunità in Africa devono essere educate, informate, rese più forti per resistere all’impatto del cambiamento climatico. Sarebbe meraviglioso se potessimo ad esempio acquistare per ogni casa uno strumento di raccolta per la poca acqua piovana che abbiamo, magari per l’irrigazione dei piccoli orti per produrre ortaggi. Bisogna dare agli africani le tecniche agricole per mettere il cibo in tavola e diventare forti”. © IPS