CAMBIAMENTI CLIMATICI: La nuova legge sulle foreste, una ‘catastrofe per i diritti umani’?

COPENHAGEN, 4 dicembre 2009 (IPS) – Il profilo nitido e ultramoderno del Bella Centre, cromato e vetrato, nella capitale danese Copenhagen, è tutto un altro pianeta rispetto alle fitte tettoie sospese sulle foreste tropicali dell'Uganda, della Repubblica Democratica del Congo o del Camerun.

David Gough/IRIN David Gough/IRIN

David Gough/IRIN
David Gough/IRIN

Ma è qui in Scandinavia, all'ombra delle pale rotanti della turbina eolica del centro congressi danese, che saranno messi a punto i fondamenti per una normativa internazionale sul controllo dell'inquinamento da gas serra (GHG nell'acronimo inglese). Il raggiungimento dell'accordo potrebbe determinare la gestione delle foreste africane nei prossimi decenni. E gli eventuali benefici per le comunità locali.

Se non sarà redatta correttamente, questa legge potrebbe causare una “enorme catastrofe per i diritti umani”, ha ammonito l'ambientalista danese Tove Maria Ryding in un briefing con la stampa a Copenhagen all'inizio del 2009, e potrebbe comportare “enormi violazioni” dei diritti delle comunità che dipendono dalle risorse forestali. La Ryding presiede il Group 92, una coalizione danese di Ong.

La deforestazione contribuisce alle emissioni di GHG del pianeta quasi per il 18 per cento, ed è una delle principali fonti di GHG provenienti dal continente africano, dove la deforestazione è causata soprattutto dal disboscamento per uso agricolo, dalla bruciatura di legna per la produzione di energia nelle abitazioni rurali e per la produzione di carbone vegetale per la cucina e il riscaldamento urbano.

Poiché il Protocollo di Kyoto – l'iniziativa mondiale atta a stabilizzare le GHG su un livello che permetta di evitare pericolosi cambiamenti climatici – scade nel 2012, entro dicembre i paesi firmatari tenteranno di mettere a punto una normativa sostitutiva. La gestione forestale avrà un ruolo centrale nelle trattativa, in particolare riguardo alla “riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado delle foreste” (REDD nell'acronimo inglese).

La componente REDD della proposta di legge corrisponde al tentativo di offrire un risarcimento finanziario ai paesi in via di sviluppo che ridurranno le emissioni da deforestazione. Sostenuto soprattutto dalla Banca mondiale, questo processo userà i mercati globali del carbonio per spostare i fondi dal Nord al Sud del mondo.

Tuttavia, il Comitato di coordinamento dei popoli indigeni africani (IPACC nell'acronimo inglese), che ha incontrato la Banca mondiale in Burundi lo scorso marzo, ha espresso in un documento la propria preoccupazione che il REDD “possa aggravare l'alienazione della terra alle popolazioni”, in una logica di “compensazione rivolta ai paesi e a pratiche sbagliate, perpetuando così la mercificazione della natura, e concentrandosi sugli stati anziché sui popoli”.

Al momento, il progetto di legge che approderà sui tavoli di Copenhagen per i negoziati conclusivi, riconosce i diritti delle comunità che dipendono dalle foreste; ma individua nei meccanismi statali il canale privilegiato di gestione dei fondi REDD e non illustra le modalità per convogliare il denaro alle singole comunità.

L'IPACC e il Group 92, ma anche altre organizzazioni analoghe, temono che i governi potrebbero recintare le foreste, negando l'accesso alle comunità che da secoli le utilizzano e dipendono dalle loro risorse.

L'attuale progetto di legge favorisce i Paesi in cui è già in atto una massiccia deforestazione, come il Brasile; paesi che possono cioè quantificare i risultati del rallentamento del degrado forestale. Non ne beneficiano, invece, i paesi che hanno preservato le foreste, come il Costa Rica e il Bhutan. Inoltre, il documento potrebbe risultare inefficace per prevenire pratiche di deforestazione che si spostano da un paese all'altro. È il caso, ad esempio, dei disboscatori illegali che, espulsi dal Brasile, potrebbero semplicemente spostarsi in un paese vicino.

“I punti chiave sono il diritto di possesso (per le comunità che dipendono dalle foreste), e il recupero dei loro diritti di detentori delle proprietà”, ha detto Julian Sturgeon, ambientalista e consulente di IPACC.

Tuttavia, seppure le comunità abbiano vissuto nella foresta e della foresta per secoli, nella maggior parte dei casi non vi è stata alcuna registrazione formale dei loro diritti.

“Non è mai stato scritto nulla per documentare che, per esempio, sono i Batwa del Ruanda a gestire le foreste. Eppure essi abitano in quest’area da 1500 anni, la loro vita e la loro cultura sono incentrate sulla gestione delle foreste”, continua Sturgeon.

Le comunità forestali hanno bisogno di vedersi garantire i propri diritti e l'accesso alle foreste, e devono essere incluse nella gestione, hanno dichiarato all'unisono varie organizzazioni che ne tutelano i diritti. Bisogna evitare, infine, un approccio unico e generalizzato, poiché ogni paese e comunità è un caso a sé.

“In Uganda, le principali cause della deforestazione sono l'espansione agricola, la fornitura di energia da biomasse per uso domestico e piccole industrie, come panetterie e forni per la produzione di mattoni; infine, il carbone vegetale, per le aree urbane prive di elettricità”, ha detto Xavier Mugumya, membro dell'Autorità ugandese per la tutela del patrimonio forestale, del Ministero ugandese per l'acqua e l'ambiente.

“Qui il taglio delle foreste è effettuato principalmente da piccoli gruppi di persone. I temi però sono politici, relativi allo sviluppo economico e alla povertà. Il REDD dovrebbe affrontarli tutti”, ha aggiunto Mugumya.

In mancanza di fonti di energia e di sostentamento alternative per le persone che conducono queste attività, l'adozione del REDD in Uganda non farebbe che emarginare comunità già fragili.

Brian Mantlana, membro dell'Istituto nazionale sudafricano per la Biodiversità (SANBI nell'acronimo inglese) e della delegazione sudafricana che contribuirà a definire la normativa nei dettagli a Copenhagen, ha detto che è necessario garantire alle comunità locali i diritti e i benefici derivanti dal REDD, prendendo in esame ogni singolo caso.

“Si tratta di temi nazionali, quindi l'implementazione del REDD in Perù è diversa da quella del Congo”. In Uganda, per esempio, quasi tutta la terra è di proprietà privata, mentre in Tanzania appartiene allo Stato.

Le foreste, infine, devono essere considerate ben più che semplici riserve di carbonio: sono anche sistemi che forniscono servizi ecosistemici, quali il riciclo di sostanze nutritive, ed ospitano un'ampia diversità di flora e fauna, regolano il deflusso delle precipitazioni e addirittura ne generano di proprie. Una serie di aspetti che la bozza del REDD ignora.

Ciononostante, i temi più scottanti nell'agenda dei detrattori del REDD sono una governance debole e l'inclusione delle comunità che dipendono dalle foreste. Se questi temi non saranno affrontati, ha ammonito l'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), “l'esito positivo del REDD sarà incerto, e – seppur involontariamente – le sue procedure potrebbero addirittura rafforzare la corruzione, minare i diritti umani e minacciare la biodiversità forestale”. © IPS