PENA DI MORTE-RUANDA: Con l’abolizione aumenta la sete di giustizia

KIGALI, 13 agosto 2007 (IPS) – Il Ruanda si è dato subito da fare per sfruttare il consenso internazionale per la recente abolizione della pena di morte nel suo paese, annunciando che cercherà di avviare al più presto l’estradizione delle persone sospettate del genocidio del 1994, rifugiatesi all’estero per evadere la giustizia.

“Abbiamo già firmato gli accordi di estradizione con molti paesi in Africa, Europa e Nord America. Speriamo che queste nazioni collaboreranno per processare tutte le persone sospettate di genocidio, o estradarle per portare il loro caso davanti alla giustizia del Ruanda”, ha dichiarato il ministro della giustizia Tharcisse Karugarama il 2 agosto. “Se ci sono altri paesi che possono aiutarci, li esortiamo a farlo”, aveva detto in precedenza all’IPS Karugarama.

La dichiarazione di Karugarama, giunta appena una settimana dopo l’abolizione formale della pena di morte, il 25 luglio, servirà in parte a pacificare le vittime del genocidio, deluse del fatto che i responsabili del “crimine ultimo” sfuggiranno ora alla morte per mano del plotone d’esecuzione.

44.204 ruandesi accusati di aver partecipato al genocidio vivono attualmente all’estero, secondo un rapporto giudiziario istituzionale pubblicato a maggio in Ruanda.

L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Louise Arbour ha sottolineato la necessità che il Ruanda continui a cercare giustizia, formulando uno dei primi e più sentiti omaggi alla decisione del paese di abolire la pena di morte. La sete di giustizia è ancora “lontano dall’essere sedata”, ha ammesso, aggiungendo che “con la promulgazione della legge che vieta la pena di morte, il Ruanda ha fatto un passo importante verso la garanzia del rispetto del diritto alla vita, compiendo al tempo stesso ulteriori progressi nell’assicurare alla giustizia i responsabili degli atroci crimini del genocidio del 1994”.

Per la maggior parte delle nazioni, l’abolizione della pena di morte in Ruanda è stato un requisito indispensabile per consentire l’estradizione delle persone sospettate di genocidio verso questo paese dell’Africa centrale. Le ultime esecuzioni di persone accusate di aver avuto un ruolo nel genocidio del Ruanda, dove gli estremisti hutu hanno ucciso più di 800.000 persone tra la minoranza tutsi e i moderati hutu, sono avvenute nel 1998. Ventidue persone riconosciute colpevoli di aver contribuito a pianificare gli omicidi sono state fucilate pubblicamente.

Da allora, tutte le altre persone accusate di partecipazione nel genocidio si trovano nel braccio della morte in attesa di esecuzione. L’abolizione della pena di morte significa che queste persone – insieme a tutti gli altri condannati a morte per altri crimini – verranno ora risparmiate e sconteranno il carcere a vita. In totale, circa 650 persone eviteranno la pena capitale.

Nel 1996, il Consiglio di sicurezza dell’Onu istituì il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR), per “contribuire al processo di riconciliazione nazionale”, e giudicare alcuni dei più gravi casi di genocidio. Il tribunale, che dovrà concludere i processi di circa 70 persone entro la fine del prossimo anno, potrà ora trasferire 17 casi al sistema giudiziario del Ruanda, come ha confermato all’IPS l’avvocato dell’accusa dell’ICTR Hassan Babacar Jallow.

Diciotto persone accusate dal tribunale sono ancora a piede libero.

Adesso il Ruanda può ben sperare che le forze di polizia di tutto il mondo collaboreranno nella ricerca di questi ed altri sospetti. “È nostro dovere in quanto forza di polizia fare tutto ciò che è in nostro potere per identificare e prendere in custodia questi latitanti, ricercati per la loro partecipazione a crimini tanto gravi” ha detto Jackie Selebi, presidente dell’Interpol, in occasione della 19esima Conferenza regionale africana della polizia internazionale tenutasi in Tanzania lo scorso mese. 186 nazioni sono membri dell’Interpol.

Sembra che anche i membri delle comunità ruandesi all’estero si batteranno con forza per attivare i processi di estradizione contro le persone sospettate di genocidio.

Appena qualche giorno dopo la notizia dell’abolizione, la comunità ruandese in Canada è stata la prima ad avviare una campagna per l’estradizione di Leon Mugesera, un ex estremista hutu al quale era stato concesso di stabilirsi in Canada quando la pena di morte era ancora in vigore in Ruanda.

Nonostante le rassicurazioni ufficiali che il Ruanda comincerà a chiedere il rientro di queste persone, molti dei sopravvissuti al genocidio, intervistati dall’IPS, si sono detti critici riguardo al divieto della pena di morte.

“Servirà solo ad incoraggiare le persone che vogliono il nostro sterminio”, ha detto Gisele Dusabe. “È un’umiliazione. Ho perso tutta la mia famiglia e fino a oggi non ho avuto nessun risarcimento”.

Ma Paul Kazoba, un tutsi fuggito in Uganda, ha espresso un diverso parere. “Dobbiamo ricostruire la nostra nazione” ha detto. “La vera riconciliazione è possibile soltanto se si rinuncia all’omicidio per rappresaglia”.

Un uomo che ha partecipato al genocidio degli hutu e ha confessato davanti ai tribunali della comunità “Gacaca”, istituiti per accelerare l’amministrazione della giustizia, si è detto favorevole al divieto della pena capitale. “Siamo profondamente pentiti per ciò che abbiamo fatto. L’abolizione della pena di morte favorirà senza dubbio la riconciliazione”.

Le corti Gacaca furono istituite per la prima volta nel 2001, quando più di 100.000 ruandesi erano in carcere in attesa di giudizio per i crimini legati al genocidio. Hanno risolto molti casi in seguito alle dichiarazioni di pentimento, e effettuato risarcimenti. Il sistema giudiziario statale ha continuato a seguire i casi delle persone accusate di aver pianificato e organizzato il genocidio.

Migliaia di ruandesi sono ancora in attesa di giudizio per crimini legati al genocidio, e Amnesty International si è detta preoccupata per le condizioni in cui vengono tenute queste persone. “Ci rallegriamo di questo passo intrapreso dal governo del Ruanda. È una svolta importante per la regione dei Grandi Laghi, in quanto è il primo paese dell’area ad aver abolito la pena di morte. Ma vogliamo richiamare l’attenzione sulle condizioni carcerarie terrificanti e disumane del Ruanda”, ha detto il ricercatore centro-africano Arnaud Royer.