PAKISTAN: Guardare alle donne per preservare la pace

KARACHI, 14 agosto 2007 (IPS) – “L'idea è fare in modo che non si ripeta mai più un altro 12 maggio”, ha detto Nasir Aslam Zahid, ex giudice e tra i membri della Commissione delle donne per la pace (WCP), costituita ad hoc in occasione del 60esimo anniversario dell’indipendenza del Pakistan, il 14 agosto.

Benché sia stata lanciata da un importante gruppo di pressione, il Women’s Action Forum, la WCP riunisce dottori illustri, membri della società civile, la “legal fraternity”, giornalisti e comuni cittadini “pacifici”, per “reagire alla violenza con la pace”, e in risposta alle violenze etniche che hanno colpito Karachi il 12 maggio scorso.

“Credo che la classe media urbana di Karachi abbia molta forza e, insieme alla società civile, possiamo dimostrare che bisogna sempre fare ricorso al dialogo, in quanto contrapposto alla violenza”, ha detto Tasneem Siddiqui, membro della Commissione e importante studioso dello sviluppo.

Con lo slogan “Puramn Karachi (Karachi pacifica)”, ben illustrato dalla Jehangir Kothari Parade, uno dei capisaldi più popolari di Karachi, la commissione promuove la tolleranza. “Là dove emergono le differenze, la tolleranza per la diversità di vedute e di identità deve essere incoraggiata”, si legge in una dichiarazione.

“L’intolleranza, l’odio e l’estremismo che hanno invaso la città stanno erodendo la società civile, le istituzioni politiche, democratiche e statali. Se questo tema non verrà affrontato, il processo elettorale, che non è altro che una modalità della democrazia, il rispetto della legge, i diritti e i doveri nei confronti dello stato e del cittadino perderebbero ogni valore”, si dice ancora.

“Temiamo che, se non agiremo ora, con le elezioni dietro la porta, la violenza scoppierà con un impatto molteplice e difficile da contenere”, hanno commentato Siddiqui e Zahid.

La faida del 12 maggio ha causato 45 morti e oltre 150 feriti, quando il Capo della Corte suprema del Pakistan (rimosso dal Presidente Pervez Musharraf) è arrivato in città per intervenire all’assemblea degli avvocati presso l’Alta Corte di Sindh.

“Abbiamo un solo punto in agenda, che è anche la nostra visione, che è la pace”, ha spiegato Kausar S. Khan, un altro membro della commissione. “La pace è il nostro obiettivo ed è anche la nostra strategia”.

“La pace diventa il parametro ultimo per valutare tutte le cose. Ciò non vuol dire che sia un compito facile, ma un vero sforzo per mantenere la pace dovrebbe rendere la gente un po’ più riflessiva su ciò che fa”, ha osservato Khan, aggiungendo che questo aiuterebbe a guidare il comportamento umano, soprattutto nelle “relazioni di potere asimmetriche”.

“Vogliamo far tornare indietro l’orologio, al tempo in cui questa era una città dinamica, vitale e multiculturale”, ha detto Siddiqui, osservando che negli ultimi 20 anni la città è rimasta nella morsa della violenza intermittente, con la perdita di vite preziose.

“Karachi è talmente incline alla violenza e agli scioperi… le perdite sono irreversibili. In uno sciopero, le più colpite sono le persone che vengono pagate a giornata. Se non lavorano per due giorni, il terzo giorno non ci sarà da mangiare per i loro figli”.

“È la città di tutti, e tutti hanno il diritto di vivere qui in pace”, ha detto Zahid, riferendosi alla carneficina del 12 maggio, quando il Movimento Muttahida Qaumi (MQM), il partito al governo del Sindh, ha dichiarato che la città era in mano ai Mohajirs (coloni di lingua urdu giunti dall’India settentrionale e rifugiatisi a Karachi dopo la Partizione dell’India nel 1947 per motivi religiosi), e che sarebbe stato vietato qualsiasi raduno in città.

Con membri sostenitori e fondatori uomini, come il giudice Zahid o Tasneem Siddiqui, la domanda che sorge spontanea è perché chiamarla commissione delle donne?

“Le donne sono meno inclini ai comportamenti violenti con la pistola in pugno, meno coinvolte nella corsa al potere in politica, e soffrono di più quando un uomo appartenente alla famiglia muore, come abbiamo visto il 12 maggio”, ha detto Nasreen Siddiqui, una donna della commissione che giudica problematico l’impatto della violenza sulle donne e i bambini.

Su un altro livello, ha aggiunto Nasreen Siddiqui, la voce delle donne viene ascoltata di più, ottiene maggiore credibilità quando si tratta di negoziare la pace, anche quando questo significa comunicare con i responsabili della violenza.

“Le donne (e certamente anche molti uomini) hanno più a cuore la pace rispetto a chi ha più a cuore la presa del potere. Credo che la parola ‘donne’ aiuterà la WCP a rimanere consapevole delle sue origini”, ha aggiunto Khan.

Ma non ci sono già abbastanza comitati e commissioni che dicono la stessa cosa? Nasreen Siddiqui non la pensa così: “Ci sono organizzazioni non governative (Ong) che lavorano per i diritti umani, ma nessuna di queste lavora in modo diretto, dedicandosi a promuovere la pace”, ha sostenuto.

Ai funzionari di governo federali e provinciali è stato dato un questionario, al quale rispondere sotto giuramento.

Tra le domande poste: “Chi è responsabile di far rispettare la legge e l’ordine in città? Quali sono le responsabilità della polizia e delle guardie? Gli agenti di polizia sono stati disarmati il 12 maggio? Se sì, per ordine di chi? Si trovavano nella condizione di comuni cittadini indifesi quando la gente è stata uccisa e la città bruciata? Se sì, per ordine di chi? Chi ha piazzato rimorchi e autocisterne per le strade, e quanti? Chi li ha rimossi, e per ordine di chi? È stato dichiarato lo stato d’emergenza negli ospedali? Il governo ha fatto qualcosa nei confronti delle persone ferite? Qual è lo stato delle proteste archiviate dalla polizia in relazione al 12 maggio? Come primo passo, la commissione intende avviare un dialogo con diversi partiti politici per adottare un processo democratico e includere la pace nel suo manifesto, assicurando che tutti i lavoratori non portino con sé né facciano uso di armi. “E non solo con i partiti politici, ma cercheremo il dialogo anche con qualsiasi altro gruppo locale che la WCP consideri un rischio per la pace in città”, ha aggiunto Khan.

“Dobbiamo fare di Karachi una città senza armi”, ha sottolineato Majida Razvi, un altro membro della commissione, sempre riferendosi ai fatti del 12 maggio, quando giovani abitanti della città sono stati visti brandire sofisticate armi automatiche.