Viviamo come se avessimo un pianeta e mezzo a disposizione

GINEVRA, 21 maggio 2012 (IPS) – Il nuovo Living Planet Report 2012 del WWF lancia l’allarme sulla notevole riduzione della biodiversità , in particolare nei paesi a basso reddito, e l’enorme aumento dell’impronta ecologica di quelli ad alto reddito.

Sam Smith, Jim Leape e Stuart Orr al lancio del Living Planet Report 2012 a Ginevra Isolda Agazzi/IPS

Sam Smith, Jim Leape e Stuart Orr al lancio del Living Planet Report 2012 a Ginevra
Isolda Agazzi/IPS

Pubblicato in vista del Vertice della Terra di Rio+20, il documento fa appello ai paesi del mondo per modificare i modelli di produzione e consumo e rivolgersi alle fonti di energia rinnovabili.

“La biodiversità del pianeta è diminuita nell’insieme del 28 per cento dal 1970, ma nei paesi a basso reddito la perdita è ancora più rilevante, raggiungendo il 60 per cento. “L’impoverimento dei sistemi naturali sta colpendo più duramente i paesi che possono permetterselo di meno”, ha affermato Jim Leape, direttore generale di WWF International, lunedì scorso a Ginevra, alla presentazione del Living Planet Report di quest’anno.

La pubblicazione più importante della nota organizzazione ambientalista, diffusa ogni due anni, monitora la biodiversità del pianeta e l’impronta ecologica dell’umanità, ovvero la pressione umana sulle risorse naturali quali terra e acque.

E si registra un aumento enorme dal 1961: “Stiamo usando il 50 per cento di più delle risorse di quanto la terra possa sostenere. Oggi viviamo come se avessimo a disposizione un pianeta e mezzo. Se continuiamo così, entro il 2050 avremo bisogno di tre pianeti. I nostri modelli di consumo sono insostenibili”, ha affermato.

In media, i paesi ad alto reddito hanno un’impronta ecologica cinque volte maggiore di quelli a basso reddito. Le dieci nazioni con l’impronta ecologica pro capite maggiore sono Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Danimarca, Stati Uniti, Belgio, Australia, Canada, Paesi Bassi e Irlanda.

Il rapporto è stato pubblicato cinque settimane prima della Conferenza della Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, o Rio+20, che si terrà a Rio de Janeiro, che darà seguito agli impegni presi nell’ambito dello sviluppo sostenibile al Summit della Terra tenutosi venti anni fa nella stessa città.

“È un momento importante per capire cosa sta accadendo sulla Terra”, ha aggiunto Leape. “Ci sono diverse proposte per fissare degli Obiettivi di sviluppo sostenibile e dare un nuovo messaggio al mercato, che includa indicatori ecologici e sociali per determinare il Prodotto interno lordo (PIL).

“Il mercato continua a dare segnali sbagliati, perché moltissimi costi non sono incorporati nel sistema dei prezzi. I prezzi dovrebbero dire la verità. I governi devono eliminare i sussidi ai combustibili fossili e impegnarsi per garantire un’energia pulita accessibile a tutti”.

Alla domanda se la green economy, tema centrale della conferenza, sia la soluzione giusta, Leape ha risposto che “la sfida principale è capire come muoversi verso una green economy. C’è un grande dibattito su questo termine; ad alcuni piace, ad altri no. Ma in qualche modo dobbiamo incamminarci su una strada che la Terra sia in grado di sostenere, e definire una nuova prosperità con le risorse del pianeta. Abbiamo bisogno di un modello diverso per lo sviluppo futuro”.

Dal rapporto emerge la convinzione del WWF che un’altra strada è possibile, e si delineano le soluzioni possibili. La prima è di preservare il capitale naturale proteggendo gli ecosistemi, la terra e l’acqua.

Sono stati fatti significativi passi avanti nel campo della deforestazione, ma la minaccia di una battuta d’arresto rimane. Mentre il Brasile, per esempio, è stato in prima fila nella lotta alla deforestazione negli ultimi anni, una nuova legge potrebbe fortemente indebolire la protezione delle foreste.

Un’altra proposta è osservare l’impronta idrica, un indicatore che consente di calcolare l’uso di acqua dal punto di vista della produzione. “Stiamo offrendo degli incentivi per parlare di acqua nell’economica”, ha spiegato Stuart Orr, direttore delle risorse idriche del WWF. “Lavoriamo a contatto con le imprese per aiutarle a calcolare la loro impronta idrica. Alcuni dei progressi più importanti in questo senso sono stati fatti in Africa”.

In Kenya, il WWF ha scoperto che il 10 per cento dello scambio estero è legato allo sfruttamento di un unico bacino fluviale.

Il gruppo ambientalista ha definito degli incentivi per una migliore gestione dei bacini fluviali, che hanno attirato l’interesse di diversi paesi.

“Abbiamo sviluppato degli standard per l’uso dell’acqua da parte delle imprese, e suggerito ai governi come raggiungere la sostenibilità dell’energia idroelettrica – ad esempio istituendo degli standard per lo sviluppo idroelettrico”, ha dichiarato Orr. “In Cina, abbiamo lavorato con il governo sulla collocazione di un bacino fluviale che comprende 270 fiumi nel paese”.

La produzione sostenibile sarebbe un’altra soluzione che parte dalle energie rinnovabili. “Non ci servono nuove tecnologie”, ha detto Sam Smith, a capo dell’iniziativa globale del WWF sul clima e l’energia. “Lo scorso anno, gli investimenti sulle energie rinnovabili sono stati maggiori di quelli sui combustibili fossili. In Spagna, il 61 per cento dell’elettricità è stato fornito dall’energia eolica (calcolato in una giornata ventosa di aprile)”.

Questo vale anche per i paesi emergenti. Il Messico ha fissato l’obiettivo che il 50 per cento della fornitura di energia del paese venga prodotta sfruttando fonti di energia rinnovabili entro il 2020, e il governo sta promuovendo l’utilizzo di energia eolica e pannelli solari. Anche in Africa, Sud Africa e Kenya sono state promosse importanti iniziative per l’energia rinnovabile secondo gli stessi principi.

L’efficienza energetica è considerata un’altra soluzione promettente. In Pakistan, grazie ad un’iniziativa promossa dal WWF in collaborazione con Ikea, 40mila agricoltori coltivano cotone con un metodo che riduce il forte impatto ambientale della produzione convenzionale di cotone. Secondo il rapporto, nel 2010, per 170mila ettari della produzione di cotone è stato usato il 40 per cento in meno di fertilizzanti chimici, il 47 per cento in meno di pesticidi, e il 37 per cento in meno di acqua.

Dal punto di vista del consumo, “ognuno di noi può fare la sua parte. Le società e i consumatori vogliono poter avere la libertà di fare scelte migliori”, ha affermato Leape.

Anche le certificazioni potrebbero essere una soluzione. In Cile, che rifornisce l’8 per cento del mercato della carta, il WWF sta lavorando insieme al governo e al settore della silvicoltura per rafforzare ed ampliare le competenze della certificazione del Forest Stewardship Council (FSC).

La stessa cosa vale per i pesci. Complessivamente, un incremento della pesca marina globale di quasi cinque volte, dai 19 milioni di tonnellate del 1950 agli 87 milioni del 2005, ha provocato uno sfruttamento eccessivo dell’industria ittica.

Il Cile fornisce il 30 per cento del mercato mondiale del salmone e il 13 per cento di quello del pesce foraggio. Il WWF promuove la certificazione del Marine Stewardship Council (MCS) nei paesi del Sudamerica, come importante meccanismo per assicurare che lo sfruttamento del pesce sia ecologicamente sostenibile e praticabile dal punto di vista economico.

“Le sfide evidenziate nel Living Planet Report sono chiare”, afferma Leape. “Rio+20 può e deve essere il momento per i governi di stabilire una nuova rotta verso la sostenibilità. Il Summit è un’opportunità unica per la coalizione di coloro che sono impegnati su questo fronte – i governi, le città e le imprese – per unire le forze e svolgere un ruolo fondamentale nel mantenere vivo il pianeta. © IPS