Olimpiadi, ancora assenti le atlete saudite

SYDNEY, 14 maggio 2012 (IPS) – Mentre gli atleti di tutto il mondo si preparano alla fase finale degli allenamenti in vista della trentesima edizione dei Giochi Olimpici che si terranno a Londra a luglio, l’Arabia Saudita è l’unico paese a vietare la partecipazione delle donne.

Il Qatar e il Brunei, che avevano finora proibito alle donne di prendere parte all’ evento internazionale per motivi culturali e religiosi, quest’anno invieranno per la prima volta alle Olimpiadi le loro atlete.

L’Arabia Saudita non ha mai concesso alle donne di partecipare ai Giochi Olimpici: un divieto derivante da una rigida politica governativa che nega a donne e ragazze il diritto di praticare sport, che i religiosi conservatori temono possa portarle “sulla strada dell’immoralità”.

In un rapporto pubblicato a febbraio da Human Rights Watch si fa appello all’Arabia Saudita per tutelare il diritto di uguaglianza delle donne nello sport e si esorta il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) a far valere il suo statuto, che proibisce la discriminazione, o bandire il paese come già era successo con l’Afghanistan nel 1999, anche per l’esclusione delle atlete donne dalla competizione.

Christoph Wilcke, autore di ‘Steps of the Devil’ e ricercatore per il Medio Oriente di Human Rights Watch, ha affermato che è tempo che il CIO applichi le sue norme di partecipazione.

“L’Arabia Saudita sta violando le regole ma la domanda è se un divieto sarà d’aiuto o peggiorerà le cose”, ha detto Wilcke, residente a Monaco.

“La giuria sta discutendo la questione. Penso che due mesi prima dell’inizio dei giochi sia il momento giusto perché il CIO faccia valere le sue regole. L’Arabia Saudita vuole partecipare inviando un team formato da soli uomini. Ma la loro violazione è molto grave”.

Princa Nawwaf bin Faisal, presidente del Comitato Olimpico saudita, ha annunciato lo scorso novembre che ai Giochi avrebbe partecipato un team di soli uomini. Non escludeva la possibilità che le donne concorressero, ma che sarebbe avvenuto solo su invito di organismi esterni.

Ha poi aggiunto che le donne dovrebbero indossare un abbigliamento appropriato secondo i precetti islamici, essere accompagnate da tutori maschi e fare sport in modo che nessuna parte del loro corpo sia visibile, per non violare la Sharia, la legge islamica.

Diritti religiosi e culturali

In tutti i paesi arabi e musulmani le donne possono praticare sport con il sostegno dei loro governi e delle autorità sportive nazionali, ad eccezione dell’Arabia Saudita.

Il Comitato Olimpico saudita e le 29 federazioni sportive nazionali non prevedono una sezione femminile o competizioni aperte alle atlete donne.

“Non ci sarebbe nessun divieto religioso sulla pratica sportiva per le donne – ha spiegato Wilcke -. Chi sostiene il contrario ha una visione patriarcale e maschilista, secondo cui le donne devono restare a casa e non uscire”.

Il governo saudita ammette lezioni di educazione fisica solo nelle scuole statali maschili, e solo le palestre maschili hanno la licenza, per cui le strutture per le donne restano confinate nei centri benessere generalmente annessi agli ospedali.

Dei 153 circoli sportivi regolati dal governo, nessuno ha un team femminile.

Anthony Billingsley, docente di studi internazionali e Medio Oriente alla University of New South Wales di Sydney, ha dichiarato a IPS che anche se l’Arabia Saudita eliminasse il divieto alle donne di gareggiare, ci vorrebbero anni prima di avere delle atlete che possano competere a livello internazionale.

“Se vuoi essere un’atleta in Arabia Saudita, devi allenarti al chiuso in una struttura associata ad un ospedale o qualcosa di simile”, sostiene Billingsley, che ha vissuto e lavorato per diversi anni in Medio Oriente.

“Non ci sono reali opportunità per le donne di uscire all’aperto ed allenarsi seriamente a livello agonistico; correre o andare in bicicletta non basta. Il problema non è il tempo, ma il fatto che non hanno la possibilità di prepararsi, di crescere o di migliorare le proprie capacità.

Un giornalista di ABC Radio e docente presso la RMIT University di Melbourne ha detto che il divieto dell’Arabia Saudita alla partecipazione delle donne nello sport riflette una rigida interpretazione dell’Islam praticata con una visione teologica, secondo cui donne e uomini dovrebbero restare separati.

“Credo che i sauditi abbiano una concezione piuttosto conservatrice e molto tradizionale dell’Islam”, ha detto Nasya Bahfen a IPS.

“Per loro, l’idea di avere una donna sul campo, che corre sotto gli occhi degli uomini, è blasfema e anti-islamica. In altri paesi come l’Iran, invece, alle donne viene concesso di praticare sport ma non di assistere (a partite di football) o (di farsi vedere) su un campo da football. L’Iran in ambito sportivo non è poi così male rispetto all’Arabia Saudita in termini di segregazione”.

Gli sport sono una priorità?

La discriminazione verso donne e ragazze nello sport è solo una delle tante violazioni dei diritti delle donne in Arabia Saudita. Le donne non possono guidare veicoli e sono sotto la perenne tutela di un uomo: a tutte le età le donne saudite hanno bisogno del consenso di un tutore per ricevere cure mediche, per lavorare, per studiare o per sposarsi.

“L’Arabia Saudita può incamminarsi lentamente verso la modernità nella misura in cui affronterà seriamente le questioni legate ai diritti delle donne, dal tema della guida e altre priorità prima di tutto, al diritto di praticare sport a livello agonistico”, ha detto Bahfen.

“L’educazione è uno degli ambiti in cui si osserva una certa uguaglianza per le donne saudite. Anche se poi vengono confinate in lavori piuttosto tradizionali. C’è ovviamente un bisogno urgente di medici donne, infermiere e insegnanti, ma le donne non vengono praticamente incoraggiate a intraprendere carriere non tradizionali”.

Billingsley ha aggiunto che per cambiare lo status delle donne bisogna ancora fare enormi progressi dal punto di vista generazionale ed educativo.

Secondo Wilcke, la politica governativa cambierebbe in modo sostanziale se alle donne fossero garantiti i diritti fondamentali e un certo grado di potere politico.

“Sappiamo che non si può smantellare in tre mesi un sistema radicato di discriminazione”, ha detto Wilcke, riferendosi alla remota possibilità che le cose cambino prima dei Giochi Olimpici di luglio.

“Ma occorre volontà e uno sforzo immediato in questa direzione. Abbiamo suggerito di fissare una data entro la quale introdurre l’educazione fisica per le ragazze nelle scuole statali, e definire i tempi per l’apertura di una sezione femminile nei circoli sportivi gestiti dal governo e nelle federazioni sportive nazionali”.

“Sono misure semplici per gettare le basi strutturali di una partecipazione femminile allo sport, prima di avere atlete in grado competere alle Olimpiadi”, ha concluso. © IPS