Un museo a cielo aperto vive e cresce nelle favelas

RÍO DE JANEIRO , 26 aprile 2012 (IPS) – Dalla storia, la vita quotidiana e l’arte popolare, fino ai paesaggi più belli di questa città del sud-est del Brasile. Tutto questo fa parte del museo “vivo” creato dai leader comunitari di una favela per mostrare la sua memoria, il suo patrimonio culturale ma anche le piaghe che la affliggono.

Fabiana Frayssinet/IPS Fabiana Frayssinet/IPS

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“Un tempo, l’unica luce che avevamo nella favela (quartiere povero fatto di case ammassate l’una sull’altra) era quella naturale. Per questo i vicini si incontravano per chiacchierare per strada al chiaro di luna”, ha spiegato Rita de Cassia Santos Pinto, rispondendo alle domande di IPS seduta davanti al murale che fa parte del circuito de “las casas tela” (i muri delle case utilizzati come tele, base per i dipinti).

La Santos Pinto è una giornalista e spiega che per questo non ama essere intervistata. Ma quando si tratta della storia della sua comunità, non le mancano né entusiasmo né parole. Percorrendo ogni vicolo del Morro de Cantagalo, che tra le valli e i pendii delle colline forma un complesso territoriale insieme alle altre favelas Pavão y Pavãozinho, anche i muri e le case cominciano a parlare.

Un murale racconta la storia della samba, il genere musicale nato proprio nelle favelas; un altro riporta gli avvenimenti dell’epoca della repressione sotto la dittatura militare (1964-1985), sullo sfondo delle abitazioni senza intonaco tipiche di questi quartieri. Sono più di 20 i graffiti realizzati dagli artisti di Cantagalo o di altre zone di Río de Janeiro, che tracciano con forme e colori la storia della comunità.

Le “casas tela” fanno parte di un circuito turistico che può includere, su richiesta degli interessati, laboratori di sartoria e voli di aquiloni, lezioni di “cavaquinho”, uno strumento tipico dei ritmi brasiliani, fino alla visita a negozi di arte popolare e taverne locali.

“Vogliamo farla finita con l’esclusiva dei musei federali che ospitano solo mostre di artisti famosi”, ha sottolineato Santos Pinto, che oltre ad essere giornalista è anche guida turistica, direttrice sociale, “curatrice della memoria”, e una delle leader della comunità fondatrici del Museo della Favela (MUF).

Questo primo museo territoriale vivo cerca di recuperare e valorizzare l’identità dei suoi 20mila abitanti partendo dai loro racconti, integrandoli a quella realtà fino ad ora distante.

Dal nord-est alla favela

Uno dei manifesti esposti nella sede del MUF, che fanno parte di una mostra itinerante ospitata anche da altri musei tradizionali brasiliani, racconta la storia dei genitori di Santos Pinto, oggi ottantenni, dalla loro stessa voce.

Feliciano da Silva Pinto, un migrante del nord-est dello stato di Bahia che lavorava come elettricista in città, si innamorò di Eunice Santos vedendola scendere la collina tutti i giorni per riempire d’acqua una tanica di benzina che portava sopra la testa.

“Per conquistarla cominciò a regalarle l’acqua”, racconta la Santos Pinto ridendo.

È una delle tante storie sui poveri migranti che popolarono questo agglomerato di case modestissime, che oggi sono 5.300, collegate tra loro mediante un impenetrabile labirinto di viottoli e scalinate che sembrano interminabili per il visitatore che non è abituato salire in cima al morro (collina).

Con l’attuazione del Programma di accelerazione della crescita del governo di sinistra di Luiz Inácio Lula da Silva (2003-2011), fu costruito un ascensore, che oggi facilita la salita, di più di 60 metri, pari a un edificio di 23 piani, che prima gli abitanti della favela percorrevano a piedi.

“È sempre interessante poter conservare la memoria”, ha detto la giornalista, che nel suo lavoro, attraverso i racconti orali, tenta di ricostruire l’origine dell’insediamento “per dare voce a chi non l’ha mai avuta”.

La storia di questi tre quartieri si intreccia con quella dell’origine delle grandi città del Brasile. Dagli schiavi fuggitivi che si nascondevano nel massiccio di Cantagalo, alle prime costruzioni di centri rurali abitati nella prima decade del ventesimo secolo, dove vivevano gli immigrati interni in cerca di lavoro.

Le favelas sono cresciute incastonate tra i quartieri residenziali emarginati, alcune mete del turismo culturale di Río de Janeiro, come Ipanema e Copacabana, formate da grandi edifici spesso costruiti dagli stessi immigrati poveri e analfabeti, come i padri di Marcia de Souza, la direttrice culturale del MUF.

La Souza descrive altre iniziative del museo vivo, come l’elezione annuale di 12 “donne guerriere” della favela: sono coloro che “hanno vinto nella vita, affrontando difficoltà come la violenza, o l’educazione dei figli o che, anche con un figlio finito nel narcotraffico, sono riuscite a salvare il resto della famiglia e a tenerla lontana dalla violenza e dalle droghe”, ha raccontato a IPS.

Le donne ricevono un premio dal valore simbolico, quello della “valorizzazione della memoria”. La loro vita viene ricostruita attraverso fotografie, oggetti personali e racconti.

È tempo di pace

Questo gruppo di favelas era una delle zone più violente del sud di Río de Janeiro, con sparatorie quotidiane tra bande di narcotrafficanti, fino a quando, tre anni fa, sono arrivate le Unità di Polizia Pacificatrice (UPP), nell’ambito di un programma di presenza della forza pubblica sul territorio, unite a opere di migliorie delle infrastrutture e ad iniziative sociali.

Il MUF è un’organizzazione non governativa privata, a carattere comunitario creata nel 2008, prima dell’arrivo delle UPP, dopo aver affrontato molte sfide, secondo quanto dichiarano i suoi fondatori.

Oggi lamentano la mancanza di finanziamenti pubblici per la loro iniziativa e cercano persone o organizzazioni interessate ad investire in quello che loro chiamano “un’idea del futuro”.

I suoi componenti immaginano quel futuro come un insieme di gallerie a cielo aperto, “i cui azionisti siano gli stessi abitanti, contribuendo con immobili, opere e con il proprio sapere”.

L’idea è di trasformare Pavão, Pavãozinho e Cantagalo in un “monumento turistico carioca” sulla storia della formazione delle favelas, delle origini culturali della samba, della cultura del migrante delle zone del nord-est, delle arti visive e della danza.

Con questo spirito, e come parte delle attività attuali di questo museo vivo, architetti laureati e laureandi provenienti da altri stati brasiliani e da Argentina e Francia hanno aderito all’iniziativa.

Questo gruppo di persone realizzerà un intervento urbano per la riqualificazione di alcune aree. Si tratta di soluzioni che devono essere creative e che prevedano un investimento di risorse limitato, come l’installazione di uno schermo gigante per un cinema di quartiere, sulla terrazza del MUF, che è in realtà un grande deposito d’acqua. © IPS