Pena di morte: Per volontà popolare

LONDRA, 4 ottobre 2011 (IPS) – Continua a prevalere l’idea che la persistenza della pena di morte nel mondo arabo sia dovuta a due motivi in particolare: perché fa parte della cultura islamica, e perché molti regimi sono innegabilmente autocratici. Ma per alcuni attivisti, questa pratica è ancora in vigore perché è la popolazione a volerlo. E ciò in sostanza la renderebbe un’istituzione democratica.

“Se la si esamina più a fondo, è una questione tribale”, afferma Tanya Awad Ghorra, dell’Università accademica araba per i diritti umani e la non-violenza (AUNOHR) di Beirut. “Perché il nostro è un mondo tribale. Abbiamo ancora le tribù, le tradizioni, la vendetta… fanno parte della nostra mentalità. Per questo si tende ad associarlo al Corano, ma guardando da vicino si capisce che è un modo per limitare la vendetta diretta fra le tribù”.

In questi paesi i regimi si limitano ad ascoltare la voce del popolo. “Sì, viviamo in un paese in cui la vendetta è considerata un atto naturale, è parte della cultura, perciò, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione nei paesi arabi, nessuno di questi ha sottoscritto la moratoria Onu del 2007, per il dissenso della popolazione. Perché nell’opinione pubblica la vendetta è una richiesta legittima”.

“Chiedete alle persone”, ha dichiarato Ghorra in un’intervista all’IPS in occasione di una recente conferenza organizzata dalla Penal Reform International (PRI) a Londra. “Per loro è naturale, è una necessità; domandatelo a chi ha visto uccidere un proprio familiare, “è un mio diritto, un mio diritto tribale, è la mia cultura, il contesto in cui sono cresciuto, chiedere vendetta è la mia storia. Se volete che sia il governo a ottenerla per me, mi sta bene. Ma voglio la mia vendetta”.

Per anni, AUNHOR ha condotto attivamente diverse campagne di sensibilizzazione contro la pena di morte. Ma Ghorra la definisce un’impresa difficile. “Puoi organizzare moltissime campagne, avere il sostegno di tutti gli europei e del mondo intero, ma se non punti a costruire un’opinione pubblica e ad istruire la popolazione, penso che non si faranno passi avanti”.

Una conquista importante si è ottenuta in Libano, dove si è svolta una campagna a livello nazionale per l’abolizione della pena di morte. In seguito alle guerre con Israele, il governo ha ripreso una legge da tempo dimenticata, secondo cui “l’assassino deve essere assassinato” e dal quel momento c’è stata una lunga serie di esecuzioni. “Questo ci ha spinto ad avviare la nostra campagna nazionale”.

Grazie a questa campagna abbiamo raggiunto due traguardi importanti: “Primo, l’abolizione di questa legge nel 2001. Siamo l’unico paese arabo ad esserci riusciti. Poi, nel 2004, il primo ministro rifiutò di firmare l’esecuzione nel caso di un condannato, affermando che la pena capitale andava contro le sue convinzioni. Da allora, il Libano ha adottato una moratoria verbale.

Tuttavia, ammonisce Ghorra, “si tratta di una misura debole, perché verbale, non scritta; i progetti di legge alternativi non sono ancora stati approvati dal parlamento e il Libano non ha ancora sottoscritto la moratoria Onu”.

Ora lo sguardo degli attivisti è rivolto ai cambiamenti che potrebbero scaturire dalla Primavera araba. Molti però si mostrano scettici, visto che in Egitto, Tunisia e Libia i gruppi e i partiti islamici stanno acquisendo sempre più potere. Tutto dipenderà dalla linea politica, moderata o radicale, che verrà adottata dai partiti islamici.

In Tunisia, gli attivisti prevedono che i gruppi islamici opteranno per politiche moderate. “Dal 1991 il paese ha assunto una posizione contraria alla pena capitale”, ha dichiarato all’IPS Amor Boubakri, professore associato in diritto pubblico presso l’Università di Sousse in Tunisia. “Anche se da allora sono state varate diverse leggi che prevedono la condanna a morte. L’ultima esecuzione risale al 2005”. Adesso la speranza è che la rivoluzione ci conduca verso l’abolizione.

Le decisioni prese dai governi provvisori poche settimane dopo la rivoluzione hanno ridato animo agli attivisti, sostiene Boubakri. “La più importante, la ratifica dello Statuto di Roma, con cui la Tunisia è divenuta paese membro della Corte penale internazionale. E sono anche stati adottati altri strumenti per la tutela dei diritti umani”.

In attesa delle elezioni dell’assemblea costituente, che si terranno il mese prossimo, gli attivisti stanno cercando di aprire un dibattito nazionale sulla pena capitale. “Esiste la possibilità che la prossima assemblea approvi l’abolizione”, afferma l’esperto.

La presa di potere dei partiti islamici non costituisce necessariamente un ostacolo, prosegue.”Questi partiti hanno un’ottima probabilità di rappresentare la maggioranza nella prossima assemblea, ma in Tunisia l’Islamismo è fondamentalmente un movimento moderato. Esistono anche alcuni movimenti radicali, ma il più importante è un movimento moderato che probabilmente opterà per la concezione turca dell’Islam”.

“Di conseguenza la posizione assunta dal partito islamico sui temi legati ai diritti umani è generalmente positiva, anche se non sappiamo di preciso come la pensino sulla pena di morte”. © IPS